lunedì 31 luglio 2017

I RAGAZZINI PORTATORI DI SEDIE A CATANIA


L'immagine riproposta da ReportageSicilia si deve ad un dimenticato scatto catanese di Federico Patellani.
Venne pubblicata nell'ottobre del 1955 dal settimanale "Tempo" e ritrae il virtuosistico trasporto di sedie da parte di due ragazzini nei pressi di via Etnea: un gioco in strada di equilibrismo dietro al quale si racconta forse una storia di lavoro minorile nella Catania all'epoca definita la "Milano del Sud".
E' probabile che le sedie fossero appena uscita dalla bottega di uno dei molti artigiani che in quegli anni lavoravano nel reticolo di strade presenti alle spalle della principale arteria urbana di Catania.
Il soggetto dei giovanissimi trasportatori di sedie avrebbe avuto qualche anno dopo in Sicilia una più famosa replica, questa volta a Palermo
Nel 1960, Enzo Sellerio fissò l'immagine di un ragazzino e di un bambino in strada ciascuno con una sedia sulla testa: documento anch'esso che testimonia l'attività nell'Isola di allora di molti artigiani, categoria oggi quasi del tutto scomparsa nella Sicilia del 2017.

sabato 29 luglio 2017

L'INSOLITO VIAGGIO DELLE MENADI E DEI SATIRI A SAN CIPIRELLO

Particolare della testa di una delle due statue di menadi
scoperte fra le rovine del teatro di monte Iato, nel 1972.
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
sono tratte dalla rivista "Sicilia Archeologica"
pubblicata dall'EPT di Trapani nell'agosto del 1973
Giorno e notte, per due settimane del 1972, i carabinieri della stazione di San Cipirello furono costretti ad assecondare le preoccupazioni del sindaco.
Avuto il via libera dalla caserma di Monreale, si misero a presidiare a turno i resti di quelle quattro strane figure umane ancora sporche di terra.
La voce della loro scoperta si era già sparsa in paese e la curiosità coinvolgeva anziani e bambini. 
Il rischio di un  trafugamento era però dietro l'angolo: la disgraziata eventualità avrebbe creato motivi di imbarazzo con Sovraintendenza e con il gruppo di archeologi stranieri da qualche mese accasati a San Cipirello.  
Fino ad allora, il maresciallo aveva avuto a che fare con i corpi dei mafiosi ammazzati nelle campagne del circondario, o con le ricerche delle vittime della "lupara bianca"; nulla ora sapeva di statue femminili di menadi e di satiri appena dissotterrati dalle vecchie rovine del monte Iato.


Una delle due menadi.
Le quattro sculture sono datate al 300 avanti Cristo.
Gli studiosi svizzeri, guidati da Hans Peter Isler, avevano cavato per giorni pietre e fango indurito dai piedi della gradinata del teatro: una fatica ripagata dal recupero delle quattro sculture in tufo datate al 300 avanti Cristo.
Erano tutte formate da tre blocchi, con il retro ed un lato grezzi perché originariamente incastrati in un muro.
Finito il lavoro di scavo, si era presentato il problema di portare via quelle pesanti sculture sino a San Cipirello: un tragitto non lungo, ma privo di una strada carrabile in grado di favorire il trasporto.
L'incertezza sul da farsi ed il presidio dei carabinieri ebbero fine solo quando un paio di proprietari di pale meccaniche si convinsero a mettere a disposizione i loro mezzi.
In tre giorni fu tracciata sua "strada d'urgenza" che dalla zona del teatro, sul monte Iato, permise di trasferire le pesanti statue sin quasi al paese: imbracate con corde e protette da telai in legno, le millenarie sculture furono caricate su carrelli-rimorchio agganciati alle pale meccaniche. 


Uno dei due satiri
con la testa mutilata nel medioevo
Dopo quell'avventuroso viaggio, le quattro statue furono sistemate in un magazzino comunale; in seguito, avrebbero trovato l'attuale collocazione all'interno dell'Antiquarium "Case D'Alia":

"La scoperta - avrebbe scritto Hans Peter Isler, all'epoca direttore dell'Istituto di Archeologia dell'Università di Zurigo, su "Sicilia Archeologica" di aprile-agosto 1973 - portò avanti pure i progetti per un Antiquarium locale che è stato preparato provvisoriamente a San Cipirello, di modo che i ritrovamenti potranno essere salvaguardati in prossimità del luogo di ritrovamento.
Le indispensabili spese furono coperte mediante una colletta organizzata dal Comune tra la popolazione di San Cipirello, la quale portò risultati sorprendenti"


Il trasporto a valle del monte Iato delle statue
a bordo di carrelli agganciati a pale meccaniche.
In fondo, la strada tracciata dai proprietari dei mezzi
per agevolare il trasferimento verso San Cipirello
Lo stesso archeologo svizzero - per quarant'anni direttore degli scavi a monte Iato - così descrisse le statue su quel numero di "Sicilia Archeologica":

"Le sculture sono lavorate ad alto rilievo.
Le figure femminili portano un peplos dorico ed una corona d'edera con foglie e frutti, mentre i maschi indossano una gonnella di pela ed una tenia di edera che cinge diagonalmente il torso.
D'una delle due figure maschili manca il blocco con la testa, mentre testa e braccia alzate dell'altra sono assai mutilate, essendo questo blocco stato riadoperato nel muro medievale che si sovrappone alla scena.
Si riconoscono però ancora la barba e gli orecchi equini che contraddistinguono i satiri, come la corona d'edera le menadi.
Tale iconografia bene si adatta alla decorazione di un teatro, edificio dedicato a Dionisio..."



domenica 23 luglio 2017

QUANDO LA TORRE DI MONDELLO NON ERA ANCORA UN ALBERGO

L'estremo rilievo costiero ad Ovest del golfo di Mondello
in una fotografia realizzata da Nino Teresi
e pubblicata nel settembre del 1959 dal mensile "Sicilia",
edito dall'assessorato regionale al Turismo e Spettacolo
Qualche tempo prima del settembre del 1959, il fotografo Nino Teresi  documentò per la rivista "Sicilia" lo scenario palermitano dell'estrema punta occidentale del golfo di Mondello.
Dal ponte di un'imbarcazione in navigazione verso la Fossa del Gallo - antichissimo luogo di transito di navi lungo la costa tirrenica siciliana - Teresi fissò l'immagine di un promontorio non ancora intaccato dalla prossima costruzione di un grande albergo.



Si scorge l'erta scogliera della punta sulla quale si impone il volume cilindrico della Torre chiamata "Fico d'India", all'epoca regno di capre e pecore al pascolo: dalla sua sommità, si ammira ancor oggi ad oriente uno straordinario paesaggio verso capo Zafferano e Cefalù.   

sabato 22 luglio 2017

L'AVARO AFTER DEGLI SCRITTORI DELL'ISOLA

Uno dei manifesti di Leonardo Sciascia
affissi nei mesi scorsi
sui muri del centro storico di Palermo da "E Il Topo".
La fotografia è di ReportageSicilia
Leonardo Sciascia è morto da 28 anni, Gesualdo Bufalino da 21. Vincenzo Consolo - terzo scrittore a completare con gli altri due un trio siciliano d'eccezione - ci ha lasciati il 21 gennaio di cinque anni fa.
Si può dire che con la morte di Consolo si è chiusa la straordinaria e lunga stagione degli scrittori isolani, iniziata da Verga e proseguita per tutto il Novecento.
Certo, grande diffusione meritano da tempo i romanzi di Camilleri; tuttavia, lo scrittore agrigentino ha incardinato il suo successo seriale sulla caratterizzazione di un commissario che non compete per materia narrativa e per statura civile con l'ispettore Rogas o con il Vice di sciasciana memoria ( "Il contesto" e "Il cavaliere e la morte" ). 



Da qualche anno, la letteratura siciliana è così rappresentata da un buon numero di scrittori che le tradizioni antologie letterarie inserirebbero fra gli "altri".
Bravissimi scrittori da un punto di vista letterario, s'intende; ma raramente capaci di narrare vicende e personaggi che raccontano dalla Sicilia il disagio ed il malessere di un'intera società italiana. 
      

venerdì 21 luglio 2017

MEMORIE DEL CONTADINO CHE RITROVO' LE MURA DI GELA

Ritratto di Vincenzo Interlici, scopritore nel 1949  e poi singolare custode delle fortificazioni della colonia greca

La singolare figura di Vincenzo Interlici,
il contadino gelese scopritore e custode
delle storiche mura della colonia greca.
Le immagini di ReportageSicilia
ripropongono una fotografia di Federico Patellani
pubblicata il 27 ottobre del 1955 dal settimanale "Tempo"

Fra i molti nomi di bizzarri personaggi siciliani consegnati alla notorietà storica figura quello di Vincenzo Interlici.
Nel 1948, questo contadino gelese scoprì per caso nel suo terreno uno dei più importanti manufatti archeologici nell'Isola: un tratto di ciò che si sarebbe rivelato essere il bastione murario dell'antica Gela.
Negli anni a venire - mentre la fortuita scoperta richiamava nella cittadina nissena insigni studiosi e teste coronate - Interlici assunse l'ufficioso ruolo di custode della poderosa opera costruita nel IV secolo da Timoleonte.
Fu una investitura concessagli dopo l'esproprio del terreno, in considerazione del senso di attaccamento dimostrato dall'anziano contadino verso quei resti della città dorica fondata da coloni di Rodi e Creta.
Con pittoresco orgoglio nel ruolo di scopritore e "proprietario" del muro, Vincenzo Interlici così raccontava ai visitatori la storia della millenaria opera di edilizia militare:

"Questa era terra mia e ci avevo una vigna.
Finita la guerra e tornato salvo, volevo farmi una casetta e mi misi a scavare per le fondamenta.
Così trovai l'ostacolo, il muro della fortezza.
Qui c'è lo sperone che difendeva il lato Sud: guardate com'è lavorata la pietra, e sopra guardate il cammino di ronda. 
Ho trovato anche monete, una d'oro e molte d'argento.
Qui si vede un canale di scolo per l'acqua, però io sono di idea diversa: di qua si buttavano frecce per colpire le caviglie dei soldati nemici.
In fondo c'è la fornace dove quelli allora si cuocevano tutte le loro robe..."



Il personaggio venne così descritto in una didascalia che accompagnò una fotografia di Interlici realizzata da Federico Patellani e pubblicata il 27 ottobre del 1955 dal settimanale "Tempo"
    
"Vincenzo Interlici - scrisse il giornalista Enrico Emmanuelli - mostra l'ultima meraviglia dell'archeologia siciliana: il grande muro di fortificazione di Gela.
Vincenzo Interlici era il proprietario della zona sabbiosa sopra Capo Soprano, ed un giorno decise di costruirsi una casetta in quella splendida posizione.
Scavando per le fondazioni, il suo piccone batte ad un tratto contro una pietra, quella che il singolare proprietario indica ora con un bastone.
Così Vincenzo Interlici scoprì la prima pietra di questo muro.
Un poco per il fatto che il terreno non gli è stato ancora pagato, un poco perché il re di Svezia e l'ambasciatore d'Inghilterra in visita si sono complimentati con lui ed hanno scherzosamente paragonato la sua scoperta a quella più famosa di Cristoforo Colombo, si è convinto del suo buon diritto a non muoversi dal posto.
Vincenzo Interlici non ha mai vissuto altrove, considera il muraglione di sua proprietà, e lo sorveglia di giorno e di notte.
Di giorno, armato di bastone, e con in testa un berretto dallo strano fregio, che nulla ha a che fare con quelli dei custodi di monumenti in organico alle Soprintendenze.
Di notte con una doppietta, intento a percorrere i bastioni come una sentinella di un forte dei film di Far West.
Vincenzo Interlici forse non è stato pagato del terreno perché non vuole essere pagato, non vuole cioè essere espropriato dal suo sogno di unico padrone di questo muro che diventa ogni giorno più famoso nel mondo degli archeologi e degli appassionati di cose antiche"



Due anni dopo, nel suo "Viaggio in Italia" ( Mondadori, 1957 )  Guido Piovene aggiunse ulteriore colore alla descrizione del contadino-custode:

"Il piccolo proprietario che rinvenne le pietre è diventato il custode del muro.
Fa parte della serie comica e commovente dei custodi fanatici delle antichità siciliane.
Ritto davanti al muro, racconta le battaglie, rifacendo nella sua mimica i gesti dei guerrieri; e, da buon popolano della Sicilia, li divide non già in cartaginesi e greci, ma in saraceni e paladini, come nelle pitture dei carri o al teatro dei 'pupi'" 

martedì 18 luglio 2017

IL BAMBINO GOMMISTA NELLA SICILIA DI MEZZO SECOLO FA


Riparazione di una camera d'aria in una bottega nel paese di S.
A lavorare, un bambino di nove anni, 
costretto a sostenere da solo la famiglia.
Il reportage su questa storia di difficile sopravvivenza 
nella Sicilia del 1967
venne pubblicato dal settimanale "Vie Nuove", 
a firma del fotografo Alberto Sciacca

Un giorno di cinquant'anni fa il fotografo Alberto Sciacca raccontò sulle pagine del settimanale "Vie Nuove" una storia che documentava le difficili condizioni economiche dell'Isola nell'Italia proiettata verso gli ultimi anni del suo "boom" economico.
Percorrendo una strada della Sicilia occidentale, Sciacca attraversò il paese di S.; il suo sguardo fu attratto da una tavola di ferro dove grandi ed incerte lettere di vernice rossa indicavano la scritta:
"Riparazione gomme anche stivale"
Spinto da quella curiosità che muove l'istinto di ogni buon cronista, il fotografo scoprì che in una buia ed angusta bottega si nascondeva il racconto di una piccola storia di caparbia sopravvivenza.
Gestore, padrone e unico lavoratore era un bambino di nove anni, costretto dalle ristrettezze economiche della numerosa famiglia a prendere anzitempo il posto di lavoro del padre, morto qualche tempo prima.


Il racconto e le fotografie di Alberto Sciacca documentano così una vicenda di povertà - decorosa e dignitosa, ma pur sempre povertà - nella Sicilia di mezzo secolo fa: una storia certamente privata ( tale da imporre l'omissione dei nomi dei luoghi e delle persone ), ma in grado di rappresentare la persistente condizione complessiva di disagio economico dell'Isola. 
Quel bambino di nove anni, frattanto, grazie a quella straordinaria prova di determinazione infantile, gestisce oggi una più moderna officina da gommista: un epilogo agrodolce nel racconto di quella vita di precoci sacrifici tramandata dalle fotografie di Alberto Sciacca.  

 "'Riparazione gomme anche stivale' dice l'insegna.

'Anche stivali?', gli chiedo.
'Stivali, ombrelli, giocattoli, tutto'


E' sicuro, deciso, di poche parole.
Lo sguardo vigila e scivola da tutte le parti, come se da ogni parte potesse arrivare un pericolo.
La madre a mezzogiorno viene in officina e gli chiede se può mettere giù gli spaghetti, ma lui dice di no, che ancora ha da lavorare, che aspettino e la madre se ne torna a casa.
Quando ha finito chiude l'officina e si avvia.
Lo seguo e ora sembra non sentire più fastidio per la mia presenza, forse si è convinto che non posso essere evitato.
A tavola lo aspettano per cominciare, lui si siede al posto che era del padre e mangiano in silenzio.
La madre serve lui prima degli altri e lui secco dice sì e no e la madre non insiste e non insistono gli altri.
Quando finiscono lui va via, sulla strada e allora i bambini cominciano a chiacchierare e nella stanza vuota l'atmosfera si rilassa.
E' proprio come se un padre severo, di quelli antica, fosse uscito di casa ed invece ad uscire è stato un bambino di nove anni.

'Signora, perché a Giuseppe ha dato anche una fettina di mortadella e agli altri solo gli spaghetti?', chiedo a R.P. e so quale sarà la sua risposta.
'Perché lui lavora' - mi fa lei - 'deve essere forte.
Se lui si indebolisce qui non mangia più nessuno.
Se lui si ammala cosa facciamo tutti noi?
E poi lui è un uomo, gli uomini debbono mangiare di più.
Capisce?'

E si vergogna un pò quando dice queste cose e guarda da un'altra parte.
Ma io ad insistere.


'Signora, in fondo è un bambino di nove anni, lo trattate come fosse un adulto, aspettate che sia lui a dare gli ordini'.
'Li dà, li dà - fa lei - gli ordini li dà.
E' lui che comanda, tutti gli ubbidiscono, i fratelli, io, la nonna, tutti.
Volevo mandare le bambine più grandi a servizio e lui ha deciso di non perché diceva che in casa a lavorare ne basta uno.
Un dottore voleva fare entrare il più piccoli in un collegio ma si è opposto perché dice che lui può mantenere tutti nella sua casa e che quel dottore mandi la sua di figlia in collegio.
E' orgoglioso, è come il padre che era un uomo, è un uomo anche lui, senza di lui non si prendono decisioni in questa casa'

Il piccolo Giuseppe è tornato per mettere la tuta, sono due e deve ricominciare a lavorare in officina.
Lo trovo che sta rabberciando un vecchio ombrello nella sua officina che è grande sì e no sei metri quadrati.
Mi guarda, vede le macchine fotografiche, chiede a se stesso chi sono e cosa voglio e poi, visto che non riesce a trovare una risposta sensata, esce e scompare.
Lì dentro c'è tutto, un buco senza comodità, ma ci si può lavorare bene, c'è quello che serve per riparare gomme d'automobile.
Nella casa accanto vivono M., G., R., C., S., O., il più piccolo tre anni la più grande sedici e poi la loro madre R.P. quarantaquattro anni e la nonna B.P, sessantotto anni.

'Signora  e allora? Allora come ha fatto?'

R.P. mi guarda con quei suoi occhi nocciola e non sa cosa dire, è tutta vestita di nero e non sa cosa rispondere, è magra e piccina e non sa cosa raccontarmi.
Sta piangendo lì, così.
Mi guarda e piange.

'Allora?'
'Allora Giuseppe mi disse: stai tranquilla madre, stai tranquilla, ci sono qua io, stai tranquilla. Allora Giuseppe mi disse: stai tranquilla, madre, stai tranquilla, ci sono io, stai tranquilla'
Enzo cioè prese ad aprire l'officina di gommista tutte le mattine alle sette e si mise ad aspettare le automobili che avevano forato e qualcuno si fermava.
'Dov'è tuo padre?', chiedevano gli automobilisti che ancora non lo sapevano.
'Ci penso io - rispondeva Giuseppe - ci penso io, è lo stesso, mio padre non c'è, è lo stesso'


Non era lo stesso per lui perché il padre era morto ma era lo stesso per chi doveva riparare una gomma.
Giuseppe era solo preoccupato se per un giorno nessuna macchina si fermava, spiava allora dietro la porta e sperava che qualcuno lo cercasse.
Il lavoro non era più un gioco per lui: sapeva riparare gomme e voleva farlo.
Lavorare, voleva lavorare, dieci, dodici ore.

'Quante gomme al giorno?', chiedo ad Giuseppe che è tornato e mi sbircia da dietro la porta.
'Anche quindici, venti, certi giorni'
'E' faticoso?', gli chiedo.

Non risponde.
Scappa ancora poi e io resto con la madre in quella stanza che sembra l'interno di una cassa vuota.
E lei mi dice:

'Ma cosa avremmo potuto fare?
Il bambino aveva imparato il mestiere dal padre, sapeva già riparare gomme a quattro anni e allora è rimasto in officina'

Sei bambini, due donne e una piccola officina di gommista a S., Sicilia, 1967".