ReportageSicilia è uno spazio aperto di pensieri sulla Sicilia, ma è soprattutto una raccolta di immagini fotografiche del suo passato e del suo presente. Da millenni, l'Isola viene raccontata da viaggiatori, scrittori, saggisti e cronisti, all'inesauribile ricerca delle sue contrastanti anime. All'impossibile fine di questo racconto, come ha scritto Guido Piovene, "si vorrebbe essere venuti quaggiù per vedere solo una delle più belle terre del mondo"
lunedì 31 maggio 2021
giovedì 27 maggio 2021
L'EDILIZIA DI CUBI E DADI DI S.ELIA IN UNA PAGINA DI DANIEL SIMOND
La borgata di S.Elia. Foto tratta da "Sicilia" di Daniele Simond, opera citata |
Il paesaggio fra capo Zafferano e monte Catalfano costituiva sino a qualche decennio fa uno dei più interessanti litorali del palermitano, tanto da fare scrivere nel 1955 a Carlo Levi che "è il luogo più bello dove un corpo umano possa stendersi al sole". La bellezza allora decantata dallo scrittore in "Le parole sono pietre. Tre giornate in Sicilia" è stata sfregiata dal solito accumulo di edilizia invasiva e dall'inquinamento del mare, che pure, ancor oggi, conserva qualche angolo di residua suggestione ambientale. Dalla sommità di monte Catalfano, si osserva quella che nel gennaio del 1929 Roberto Lojacono definì sulla rivista del TCI "Le Vie d'Italia" "la borgatella peschereccia di S.Elia, che divide con Porticello i prodotti dell'inesausto mare". Il suo aspetto edilizio quasi primitivo - visibile sino ai primi anni del secondo dopoguerra e fonte di una condizione di isolamento - venne così descritto da Daniel Simond in "Sicilia" ( Salvatore Sciascia, Caltanissetta-Roma,1956 ):
"Dal quadrivio di S.Flavia, una strada fa il giro di capo Zafferano. Sopra ad esso, un contrafforte del monte Catalfano conserva le rovine di quella che fu la fenicia, poi la romana Solunto. Sono scale, pavimentazioni stradali, cisterne, sei colonne doriche ancora in piedi, di una casa romana. Esse dominano delle vaste piantagioni di limoni e di olivi, mentre le vigne ricoprono la pianura di Bagheria.
La vista domina, dall'altro lato, le case di un villaggio di pescatori, Sant'Elia, cubi bianchi, un giuoco di dadi sulla riva del mare; e spazia su tutto il golfo di Imera, da capo Zafferano allo scoglio di Cefalù..."
domenica 16 maggio 2021
UN NUOVO POSSIBILE TRAGUARDO PER LA TARGA FLORIO?
E' il 16 ottobre del 1955. Dinanzi le gremite Tribune di Cerda sfila una delle Mercedes SLR che dominarono la 39a Targa Florio. La foto è tratta dall'archivio dell'assessorato regionale al Turismo |
Trovare un rivolo di finanziamento fra i fondi europei, nazionali e regionali che dovrebbero risollevare l'economia della Sicilia dopo la pandemia. Quindi, disporre un bando internazionale per attuare il progetto, tutelandolo da interessi particolari e malaffari: la completa ristrutturazione dei 72 chilometri dello storico "Piccolo Circuito delle Madonie", sconciati da decenni di abbandono, dalle frane e dall'abitudine di noi siciliani a vagheggiare i buoni propositi piuttosto che a realizzarli: una "colpa del fare" tutta isolana, alimentata in modo avvilente dalla tara del campanilismo e degli interessi di bottega. Poiché i buoni propositi non sono mai abbastanza, l'occasione potrebbe inoltre ridare dignità strutturale alle Tribune di Cerda e rimediare a recenti scempi; uno su tutti, la visibilissima e incontrastata devastazione del monumentale ponte di Scillato, uno dei tratti stradali distintivi dei 72 chilometri del tracciato. La sistemazione del "Piccolo Circuito" costituirebbe in primo luogo un atto di attenzione verso la popolazione delle Madonie, che potrebbe usufruirne per le normali esigenze quotidiane. Il ripristino della viabilità sarebbe poi uno straordinario prologo alla possibilità di sfruttare pienamente in Sicilia e per la Sicilia in chiave turistica l'eredità storica rappresentata in tutto il mondo dalla Targa. Lo stesso Vincenzo Florio, del resto, fu consapevole che la sua manifestazione motoristica avrebbe fatto conoscere al mondo le Madonie, facendo diventare Termini Imerese prima e poi Cerda luoghi che da troppo tempo sono solo nostalgici sinonimi di Targa Florio. Una consultazione di Youtube dimostra oggi quanto lo storico circuito stradale sia oggetto di attenzioni ed interesse da parte delle case automobilistiche, spesso "venute giù" per presentare o promuovere i propri modelli lungo i tratti ancora praticabili di un tracciato così apprezzato da Ettore Bugatti in una lettera scritta a Vincenzo Florio:
"Un costruttore il quale segua regolarmente la Targa Florio, può attingervi tutta una serie di insegnamenti che gli sarebbe possibile di ottenere altrimenti sia pure attraverso prove e collaudi au pista o in laboratorio. Tutte le ricerche che la partecipazione alla Targa rendono necessarie, concorrono direttamente al miglioramento generale dell'automobile moderna"
Una rivalutazione della Targa - evento che non immeritatamente potrebbe ottenere il riconoscimento di Patrimonio Mondiale dell'Unesco - potrebbe così diventare una sfida per dimostrare che la Sicilia è capace di guardare al futuro fattivo, andando oltre le celebrazioni per ciò che è stato il glorioso passato della corsa su strada. Nell'Isola, il tempo cammina lento e si trascina il peso di vecchie e spesso dannose abitudini; il recupero dei 72 chilometri ( 72, non 720! ) potrebbe rappresentare una benefica fuga in avanti, dando dimostrazione che la Targa Florio è un patrimonio tuttora vitale per la Sicilia e per quei siciliani eventualmente capaci di valorizzarne la trascurata eredità.
mercoledì 5 maggio 2021
L'IMPREVEDIBILE ELOGIO DEI GUIDATORI PALERMITANI DI UNA GIORNALISTA INGLESE
Piazza Pretoria, a Palermo, assediata dalle automobili. La fotografia di Enzo Sellerio venne pubblicata nel giugno 1964 da "Panorama" |
Tre anni prima che un film di Roberto Benigni sancisse in maniera definitiva che la piaga più grave di Palermo è il traffico ( "tentacolare e vorticoso", secondo una celeberrima battuta ) la giornalista inglese Gay Marks - all'epoca residente nel capoluogo dell'Isola - ricordò che quella "piaga" faceva da tempo parte del folklore della Sicilia. In "Le mie isole. Divagazioni semiserie di una inglese in Sicilia", edito nel 1988 da La Zisa, la Marks diede però della questione una sorprendente interpretazione; tanto più inaspettata perché - come sottolineato dalla stessa giornalista - "noi inglesi ci vantiamo di essere i migliori autisti del mondo":
"... Non posso fare a meno di menzionare il famigerato traffico palermitano, ormai entrato nel folklore dell'isola insieme a 'ciuri ciuri', il carretto siciliano, il mare e così via. Diversamente dal turista inglese che resta semplicemente senza parole davanti allo spaventoso spettacolo del traffico, io sono riuscita a raggiungere una specie di intesa con le automobili; da tempo ho smesso di avvilirmi e di disperarmi e ho cominciato invece a cercare i suoi lati positivi. Talvolta sono davvero affascinanti.
L'altro giorno, per esempio, sono rimasta incantata dal ragno che scendeva dall'alto del parabrezza a pochi centimetri dai miei occhi. Ero rimasta ferma così a lungo nel traffico che questo aveva avuto il tempo non solo di costruire tranquillamente la sua tela, ma anche di scendere per un giro di esplorazione senza il minimo timore di essere interrotto o disturbato.
Le attese in macchina offrono anche la possibilità di osservare a fondo i cittadini. Contrariamente a quello che si dice all'estero o anche nel nord Italia, ritengo che i palermitani siano degli ottimi guidatori. Non ci vuole niente a portare la macchina in una strada larga e poco frequentata, ma manovrare in un vicolo in pochi centimetri di spazio come siamo costretti a fare qui è tutta un'altra cosa, che richiede una destrezza non indifferente. Non solo; noto che la stragrande maggioranza dei palermitani riesce a rimanere calma nonostante lo stress; che non esce fuori dalla macchina alla prima occasione per ammazzare chi gli ha tagliato la strada...
... Non ci sono dubbi che l'inglese trovi notevoli difficoltà nel guidare a Palermo, proprio perché gli mancano le doti dell'inventiva e della fantasia al volante. Se il palermitano è scorretto nel guidare ( e non c'è dubbio che lo sia ) è perché è costretto ad esserlo. In condizioni che fanno rizzare i capelli ad uno straniero egli, il palermitano, riesce non solo a sopravvivere ma persino ad andare avanti...
... La macchina mi sembra un ottimo simbolo di quella forza e determinazione essenziale per riuscire a Palermo..."
martedì 4 maggio 2021
VISIONI EOLIANE DI VINCENZO CONSOLO
L'isola eoliana di Lipari. Fotografia di Patrice Molinard pubblicata dall'opera "La Sicile" edita a Parigi da Del Duca nel 1955 |
Appaiono e scompaiono all'orizzonte, svelate o nascoste dal mutare delle condizioni di luce e del tempo atmosferico; di Alicudi e Filicudi, capita a volte di scoprirne i profili già dalle colline palermitane di Giacalone, sospese in un indistinto orizzonte fra il cielo ed il mare del Tirreno. Le isole Eolie sono una visione quasi esoterica lungo la costa e le montagne che da Palermo conducono sino a Messina; la loro stessa presenza nel paesaggio siciliano sembra quasi giustificare l'appellativo - condiviso con altri arcipelaghi del Mediterraneo al centro delle rotte millenarie dell'uomo - di "isole del Mito".
Di questa natura delle Eolie ha così mirabilmente scritto Vincenzo Consolo in "L'olivo e l'olivastro" ( Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1994 )
"Dal làstrico sul giardino verso il mare - il noce, l'arancio vaniglia, il melograno, il fico bìfero e il fico messinese, la palma e il banano, il mandarino e il cedro, il portogallo, il ficodindia e l'gave, l'edera e la vite sul muro della stalla, il gelsomino attorno all'arco, le siepi d'asparago, di mirto, la sènia sferragliante, l'asino cieco che gira all'infinito - dal làstrico si vedevano le isole. Ora remote, lievi, diafane come carta o lino, ferme o vaganti in mare, ora avanzanti, prossime alla costa, scabre e nitide, allarmanti - malo tempo, malo tempo! - Ed era sempre un mondo separato, remoto e ignoto..."
sabato 1 maggio 2021
HIMERA, LA BELLEZZA "NETTA E LINDA" DESCRITTA DA CESARE BRANDI
Il tempio di Himera. Foto di Josip Ciganovic pubblicata dall'opera "Sicilia" del Touring Club Italiano, Milano, 1961 |
Nel luglio del 1965, Cesare Brandi visitò l'area archeologica della città di Himera, patria di Stesicoro e teatro di una famosa battaglia in cui, nel 480 avanti Cristo, Gelone di Siracusa e Gerone di Agrigento sconfissero i cartaginesi di Amilcare. Dinanzi ai pochi resti del tempio riscoperto a partire dal 1929 all'esterno dell'antica cinta urbana, Brandi ne ricavò impressioni affatto sminuite dalla pochezza materiale dell'edificio:
"Non è molto famoso, perché le sue colonne sono ridotte a spunzoni e in Sicilia ce ne sono ben altri, di templi, con le colonne intere. Tuttavia è una rovina di grande bellezza, così netta e linda: e i suoi spunzoni di colonne sembrano piuttosto dimoiati come fossero fatti di neve. Il sole l'invade quasi l'allagasse, e mai rovina è parsa più luminosa pur senza essere accecante..."
"... La bellezza del luogo... resterà bellezza che rivaleggia solo con quella di Solunto, da cui si apre un panorama folto di limoni e falcato dal mare. Qui c'è la costa quasi rettilinea fin a Cefalù, e, sotto, la fascia costiera coltivatissima, a piccole prese e braci sottili, dai mille verdi acidi o carnosi, che evoca contemporaneamente i fondi di Paolo Uccello e quella specie di squisite centuriazioni che sono i quadri di Vieira Da Silva"