venerdì 21 luglio 2017

MEMORIE DEL CONTADINO CHE RITROVO' LE MURA DI GELA

Ritratto di Vincenzo Interlici, scopritore nel 1949  e poi singolare custode delle fortificazioni della colonia greca

La singolare figura di Vincenzo Interlici,
il contadino gelese scopritore e custode
delle storiche mura della colonia greca.
Le immagini di ReportageSicilia
ripropongono una fotografia di Federico Patellani
pubblicata il 27 ottobre del 1955 dal settimanale "Tempo"

Fra i molti nomi di bizzarri personaggi siciliani consegnati alla notorietà storica figura quello di Vincenzo Interlici.
Nel 1948, questo contadino gelese scoprì per caso nel suo terreno uno dei più importanti manufatti archeologici nell'Isola: un tratto di ciò che si sarebbe rivelato essere il bastione murario dell'antica Gela.
Negli anni a venire - mentre la fortuita scoperta richiamava nella cittadina nissena insigni studiosi e teste coronate - Interlici assunse l'ufficioso ruolo di custode della poderosa opera costruita nel IV secolo da Timoleonte.
Fu una investitura concessagli dopo l'esproprio del terreno, in considerazione del senso di attaccamento dimostrato dall'anziano contadino verso quei resti della città dorica fondata da coloni di Rodi e Creta.
Con pittoresco orgoglio nel ruolo di scopritore e "proprietario" del muro, Vincenzo Interlici così raccontava ai visitatori la storia della millenaria opera di edilizia militare:

"Questa era terra mia e ci avevo una vigna.
Finita la guerra e tornato salvo, volevo farmi una casetta e mi misi a scavare per le fondamenta.
Così trovai l'ostacolo, il muro della fortezza.
Qui c'è lo sperone che difendeva il lato Sud: guardate com'è lavorata la pietra, e sopra guardate il cammino di ronda. 
Ho trovato anche monete, una d'oro e molte d'argento.
Qui si vede un canale di scolo per l'acqua, però io sono di idea diversa: di qua si buttavano frecce per colpire le caviglie dei soldati nemici.
In fondo c'è la fornace dove quelli allora si cuocevano tutte le loro robe..."



Il personaggio venne così descritto in una didascalia che accompagnò una fotografia di Interlici realizzata da Federico Patellani e pubblicata il 27 ottobre del 1955 dal settimanale "Tempo"
    
"Vincenzo Interlici - scrisse il giornalista Enrico Emmanuelli - mostra l'ultima meraviglia dell'archeologia siciliana: il grande muro di fortificazione di Gela.
Vincenzo Interlici era il proprietario della zona sabbiosa sopra Capo Soprano, ed un giorno decise di costruirsi una casetta in quella splendida posizione.
Scavando per le fondazioni, il suo piccone batte ad un tratto contro una pietra, quella che il singolare proprietario indica ora con un bastone.
Così Vincenzo Interlici scoprì la prima pietra di questo muro.
Un poco per il fatto che il terreno non gli è stato ancora pagato, un poco perché il re di Svezia e l'ambasciatore d'Inghilterra in visita si sono complimentati con lui ed hanno scherzosamente paragonato la sua scoperta a quella più famosa di Cristoforo Colombo, si è convinto del suo buon diritto a non muoversi dal posto.
Vincenzo Interlici non ha mai vissuto altrove, considera il muraglione di sua proprietà, e lo sorveglia di giorno e di notte.
Di giorno, armato di bastone, e con in testa un berretto dallo strano fregio, che nulla ha a che fare con quelli dei custodi di monumenti in organico alle Soprintendenze.
Di notte con una doppietta, intento a percorrere i bastioni come una sentinella di un forte dei film di Far West.
Vincenzo Interlici forse non è stato pagato del terreno perché non vuole essere pagato, non vuole cioè essere espropriato dal suo sogno di unico padrone di questo muro che diventa ogni giorno più famoso nel mondo degli archeologi e degli appassionati di cose antiche"



Due anni dopo, nel suo "Viaggio in Italia" ( Mondadori, 1957 )  Guido Piovene aggiunse ulteriore colore alla descrizione del contadino-custode:

"Il piccolo proprietario che rinvenne le pietre è diventato il custode del muro.
Fa parte della serie comica e commovente dei custodi fanatici delle antichità siciliane.
Ritto davanti al muro, racconta le battaglie, rifacendo nella sua mimica i gesti dei guerrieri; e, da buon popolano della Sicilia, li divide non già in cartaginesi e greci, ma in saraceni e paladini, come nelle pitture dei carri o al teatro dei 'pupi'" 

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