domenica 7 aprile 2019

L'INQUIETA DEVOZIONE DINANZI LA LAVA DELL'ETNA

Nel novembre del 1950, un gruppo di donne di Milo
invoca l'intervento di sant'Andrea per fermare la lava dell'Etna.
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
sono tratte da un reportage pubblicato nel dicembre del 1950
dal settimanale "L'Europeo"
"In quella primavera una fiumana infuocata scese per i fianchi del vulcano, come altre volte.
Devastò le campagne e laggiù ricordano un'altra eruzione avvenuta cinquant'anni prima; anzi, se ne ricordano tre da che la Sicilia è abitata dai greci..."

Così è ricordata l'eruzione dell'Etna del 425 avanti Cristo dallo storico ateniese Tucidide, che forse vi assistette personalmente; delle altre tre a cui fa riferimento, quella del 475 è descritta da Eschilo e da Pindaro, le altre due risalgono a quattro secoli prima.
Dai secoli più remoti nella storia delle sue eruzioni, l'Etna suscita insomma le attenzioni dei cronisti, calamitati sin alle pendici del vulcano dall'affascinante e pauroso spettacolo di uno dei più violenti fenomeni naturali, cui la tecnologia umana può ancor oggi contrapporre solo una rete di semplice vigilanza.
In tempi più recenti, le eruzioni dell'Etna ( e le devastazioni provocate al territorio ) sono diventate motivo di puntuale spettacolarizzazione mediatica.


La circostanza si verificò anche nel lontano 1950, quando - a partire dalla sera del 25 novembre e sino alla metà del gennaio del 1951 - una violenta eruzione creò serio allarme lungo il versante Nord Est del vulcano.
Per molti giorni, gli abitanti delle frazioni di Milo, Fornazzo e Rinazzo furono costretti a sfollare in 5 tendopoli.
Le pendici del vulcano diventarono così il set di numerosi reportage giornalistici, destinati a cogliere anche gli aspetti del secolare rapporto fra le popolazioni locali e la forza incontrollabile dell'Etna.


Di questo legame, nel dicembre del 1950 l'inviato de "L'Europeo" Tommaso Besozzi colse l'impaurita ed a volte risentita reazione devozionale in occasione di un evento che mise a rischio l'incolumità di abitazioni ed attività economiche:

"La storia dell'Etna, che fu per il mondo greco il vulcano per eccellenza, è disseminata fin dalla remota antichità di superstizioni; la differenza principale tra le leggende e i riti esorcistici dell'antichità greco-romana e quelli dell'era cristiana, è nel fatto che nei tempi pagani le eruzioni del vulcano hanno per protagonisti delle entità divine o semidivine la cui ira e il cui capriccio è da sedare coi riti esorcistici, mentre nei secoli cristiani il dramma delle popolazioni sub-etnee minacciate dalla collera del vulcano ha come personaggi i santi il cui intervento contro la forza diabolica o di natura si ottiene, o meno, coi riti propiziatori e col merito dei fedeli.
Ad ogni nuova eruzione, si assiste all'uscita delle statue variopinte dei santi, che o su carri o a spalla vengono portate verso il fonte della colata di lava.
Le immagini atteggiate con enfasi ingenua all'estasi o al martirio sostano circondate dai fedeli tesi nell'aspettativa, che nel prolungarsi del pericolo può mutarsi in esigenza imperiosa e poi in delusione collerica.
San Giuseppe col bastone fiorito, santa Lucia cieca che ostenta in una coppa i suoi occhi strappati, san Biagio con piviale e mitra, san Rocco col cane, sono acclamati o insolentiti.

Salvataggio di botti di vino
prima dell'arrivo della lava
Durante l'eruzione del 1928, gli abitanti di Puntalazzo e quelli di Mascali portarono in processione le statue dei rispettivi protettori, san Vito e san Leonardo.
Puntalazzo si salvò, Mascali scomparve per intero.
La statua di San Leonardo fu lasciata a bruciare dalla lava.
Vi fu un vero esodo di fedeli dal partito dell'uno al partito dell'altro santo.
In un gruppetto di profughi una donna chiamava inutilmente suo marito a pochi passi di distanza, "Nardu, Nardu!".
Il marito per un poco fece il sordo, poi si voltò incollerito:
"Chi chiamavi, a mia? Io nun mi chiamu chiù Nardu, mi chiamu Vitu. Vitu!" 

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