ReportageSicilia è uno spazio aperto di pensieri sulla Sicilia, ma è soprattutto una raccolta di immagini fotografiche del suo passato e del suo presente. Da millenni, l'Isola viene raccontata da viaggiatori, scrittori, saggisti e cronisti, all'inesauribile ricerca delle sue contrastanti anime. All'impossibile fine di questo racconto, come ha scritto Guido Piovene, "si vorrebbe essere venuti quaggiù per vedere solo una delle più belle terre del mondo"
martedì 30 luglio 2024
lunedì 29 luglio 2024
IL MILLENARIO EVENTO CHE AVVIA LA RACCOLTA DELLE MANDORLE
Mandorle col mallo. Fotografie Ernesto Oliva-ReportageSicilia |
"Anche il mandorlo doveva essere coltivato nell'isola prima della colonizzazione greca. Io non ne ho documento sicuro, forse per mia ignoranza", ammise il geografo Ferdinando Milone in "Sicilia. La natura e l'uomo" ( Paolo Boringhieri, Torino, 1960 ). La sua millenaria diffusione in tutta la regione fu oggetto di un primo analitico studio nel 1871, ad opera del botanico di Avola Giuseppe Bianca. Nel "Manuale della coltivazione del mandorlo in Sicilia", edito in occasione dell'Esposizione Agraria di Agrigento, ne individuò nell'Isola almeno 752 tipi, concentrati soprattutto ad Avola, Palma di Montechiaro, Girgenti, Mascali, Noto e Siracusa.
Da sempre, il tempo della raccolta estiva delle mandorle è scandito da un evento che è stato così ricordato da Simonetta Agnello Hornby in "Un filo d'olio", edito nel 2011 a Palermo da Sellerio:
"A differenza delle altre colture - olive, uva, pistacchi - le mandorle possono essere lasciate sull'albero. Non a lungo, però; quando il mallo si spacca non si può più rimandare. Bisogna raccoglierle..."
lunedì 22 luglio 2024
SE ANCHE L'ACQUA DIVENTA UN MITO DELLA SICILIA DEL PASSATO
giovedì 18 luglio 2024
IL PESCE SPADA, I RAGIONAMENTI E LE VERITA' SICILIANE AMATE DA BARZINI JUNIOR
Il banco del pescespada ad Agrigento. Fotografia di Silvano Cappelletti tratta dal periodico "Il Mondo" del febbraio 1965 |
"La Sicilia, così come è, mi piace. Mi ci sento a mio agio. Amo tutto, il pesce spada arrosto, la sottigliezza dei ragionamenti, il sole implacabile, gli aranceti dalle foglie verdi-nere lustre, il mare immobile di stoppie d'oro da orizzonte a orizzonte senza una macchia di ombra, le città barocche, gli immensi tonni, i gelati, i pupi, le antichissime e stanche famiglie nei loro palazzi in disfacimento, gli uomini nuovi e nervosi che vogliono sembrare milanesi ( e ci riescono quando tengono gli occhi chiusi, perché gli occhi li tradiscono ), la povera gente rassegnata e saggia, la pazienza, il senso guardingo e spietato della vita, le verità che sanno solo i siciliani, il greve sapore dei vini, i proverbi che usa Milazzo ( Silvio, allora presidente della Regione, ndr ), l'accettazione dignitosa della morte. Amo queste cose, e molte altre ancora, al punto di difenderle qualche volta contro i siciliani, i quali sono capaci di fare alla loro isola e a loro stessi accuse così gravi che costerebbe la pace di un continentale che le ripetesse, anche perché sono quasi tutte vere..."
Nel giugno del 1959, 6 anni prima di dedicare 29 pagine del suo saggio "Gli italiani" edito da Mondadori alla Sicilia - un racconto quasi del tutto incentrato sul tema della mafia - Luigi Barzini junior rivelò la sua incondizionata attrazione per l'Isola e per i siciliani. L'inviato del "Corriere della Sera", figlio d'arte del grande Barzini e formatosi negli Stati Uniti prima del ritorno in Italia, dal 1958 al 1968 fu deputato liberale, ricoprendo anche l'incarico di componente della Commissione Parlamentare sul fenomeno della mafia. Da cronista, Barzini junior lavorò più volte in Sicilia: nel 1937, ad esempio, per seguire la visita di Mussolini, sul cui conto avrebbe in seguito espresso in seguito giudizi negativi costatigli un periodo di carcere. Negli anni dell'adolescenza, di ritorno ed in partenza per gli Stati Uniti, per motivi familiari avrebbe frequentato con regolarità Palermo, tornandovi da adulto "molte volte a far nulla, per andare in giro a vedere cose e ascoltare le incredibili e terribili storie vere che tutti i siciliani sanno". In città, il giornalista milanese aveva come riferimenti la libreria Flaccovio e "gente che vedo, ad intervalli, da anni". Il suo dichiarato rimpianto fu quello di non avere avuto l'occasione di incontrare Giuseppe Tomasi di Lampedusa, per discutere del successo de "Il Gattopardo".
"L'abbiamo tutti letto troppo tardi - scrisse ancora Barzini nel 1959, considerando i mali e i pregi degli italiani come un'iperbole di quelli siciliani - per potergli dire quanto importante fosse, e farci capire il fondo della nostra vita e della nostra storia. Solo i siciliani pensano di essere diversi da tutti noi. Noi continentali sappiamo che l'isola è come quegli specchi concavi che servono a radersi, in cui si vede la nostra immagine ingrandita spietatamente, difetti e virtù..."
domenica 14 luglio 2024
IDENTITA' SCONTATA E IDENTITA' SCONOSCIUTA DELLE EGADI
Case a Marettimo. Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia |
L'estate offre ad un gran numero di visitatori l'occasione di frequentare le isole Egadi, mettendone sotto pressione le sue stesse risorse ambientali e la qualità dei servizi. In queste condizioni, la fruizione turistica di luoghi che per gran parte dell'anno vivono una dimensione di sostanziale isolamento non consente di conoscerne l'identità più vera, vissuta dagli egadini per buona parte dell'anno. Il volto delle Egadi - oltre a quello più noto di Favignana, con il richiamo obbligato al nitore della sabbia di Cala Rossa - è anche quello affatto estivo offerto da Marettimo, la più lontana isola dell'arcipelago, rocciosa e inaccessibile per la massa dei turisti da spiaggia. Qui, la costa di ponente si erge a strapiombo su un mare che nei giorni invernali gli scarica contro ondate violente, formatesi e cresciute in vigore centinaia di chilometri al largo.
"Sono isole ambivalenti e polisemiche - ha scritto il fotografo paesaggista e naturalista Antonio Noto in "Isole Egadi" ( Favonia Editrice, Favignana, 2015 ) - che racchiudono un senso e il suo contrario, il positivo e il suo opposto: luoghi di libertà e di isolamento, separatezza ed inclusione, il lontano e l'ignoto , il vicino e il troppo noto, paradiso e luogo di incatenamento. Staccate dalla terraferma, marcano una separazione dal mondo di ogni giorno. Per la loro reale natura esse suggeriscono una identità individuale, opposta ad un destino collettivo. La terraferma è il luogo della vita ordinaria; esse, invece, sono il luogo dello straordinario e della complessità. Un lembo di terra circondato dal mare, una barca senza movimento lavata dalle onde, è il simbolo perfetto dell'uomo, allo stesso tempo protetto dai suoi compagni e infelicemente separato da essi. Nei lunghi mesi invernali, quando il vento soffia potente e nessun attracco è possibile, forte si avverte il senso della lontananza e della separazione rispetto al resto del mondo, soprattutto nella ieratica Marettimo..."
giovedì 11 luglio 2024
CONSOLO ED IL RICORDO DELL'ASSEDIO AL "VILLAGE MAGIQUE" DI CEFALU'
Fotografia tratta dalla rivista "Palermo" edita dalla Provincia di Palermo nel febbraio del 1964 |
"Uscivano intanto dal villaggio delle belle ragazze francesi. Appena fuori, venivano assalite da ragazzotti del luogo che se le caricavano sulla motoretta e partivano a tutto gas..."
Così il 5 novembre del 1971 Vincenzo Consolo ha raccontato sulle pagine del settimanale "ABC" gli anni in cui il "Village Magique" ( dal 1957 trasformato in un "Club Méditerranée" ) consegnò alla storia di Cefalù il fenomeno del gallismo siculo alimentato dalla presenza di comitive di turiste francesi.
Oggi quel fenomeno di costume è un ricordo sbiadito nei racconti degli anziani cefaludesi; come scolorita è buona parte della bellezza ambientale di una Cefalù diventata nel frattempo uno dei luoghi isolani del turismo di massa.
sabato 6 luglio 2024
USTICA, L'ISOLA SFUGGITA ALL'EROSIONE DEL TURISMO DI MASSA
Ustica, Cala Santa Maria, foto tratta da opera citata nel post |
Dalla costa palermitana della Sicilia - e specie da quella fra Terrasini e Cinisi - non è infrequente scorgere nitidamente sull'orizzonte del Tirreno l'isola di Ustica. Appare allora assai vicina; ed in effetti, tranne che nelle giornate di cattivo tempo, è facilmente raggiungibile grazie a regolari collegamenti navali, utilizzati però da un numero non eccessivo di turisti. Distante circa 35 miglia nautiche da Palermo, questa nera terra di roccia vulcanica venne liberata dalla fama di luogo di confino carcerario - anche politico - nell'ottobre del 1961. L'evento, richiesto a gran voce dalla popolazione usticese, diede il via ad una serie di iniziative che avrebbero determinato ad Ustica uno sviluppo turistico del tutto diverso da quello che ha caratterizzato - non sempre in maniera proficua per l'ambiente - buona parte delle altre isole minori della Sicilia. Già alla fine degli anni Cinquanta, il paesaggio marino divenne il fulcro di questo processo di promozione. L'Associazione Pescatori Dilettanti Subacquei scelse in quel periodo Ustica come luogo di gare di pesca, dando di fatto inizio alla Rassegna Internazionale delle Attività Subacquee, appuntamento che negli anni successivi avrebbe coinvolto anche studiosi di archeologia, giornalisti, scrittori, fotografi e documentaristi provenienti da tutta Europa. Seguirono l'organizzazione del Premio Tridente d'Oro e lo sviluppo di tematiche che fecero di Ustica una delle prime località siciliane in cui si affrontarono i temi della tutela dell'ambiente: un'attenzione che in seguito, nel novembre del 1986, favorì la costituzione nell'isola della prima riserva marina insulare della Sicilia.
"... In effetti proprio a quegli anni - ha sottolineato Gin Racheli, scrittrice ed appassionata di mare che fu anche responsabile della Commissione Piccole Isole di Italia Nostra ( in "Le isole minori della Sicilia", Giuseppe Maimone Editore, Catania, 1989 ) - può farsi risalire l'avvio dello sviluppo sia economico che culturale dell'Isola: non soltanto decollò il turismo, ma un certo tipo selettivo di turismo che privilegiò persone ed iniziative dedicate allo sport e alla cultura del mare, e scoraggiò la massa devastante che ogni estate aggredisce, ad esempio, le Eolie.
In parte ciò dipese dalla natura delle coste che non concede spiagge sabbiose; ma molto più determinante fu l'approccio meno avido e più riflessivo degli Usticesi al turismo, la loro permanente fedeltà all'economia agricola che automaticamente poneva il turismo come attività complementare e non prevalente. Forse giocò in tale felice congiuntura il fatto che questa comunità è ancora culturalmente attiva e giovane, mentre, quando il turismo si presentò alle sponde eoliane o a quelle delle Egadi, trovò una situazione culturale locale poco alimentata, decadente e molto più vecchia. Perciò a Ustica il rapporto fra isolano e turista si prospettò fin dalle prime battute come uno scambio dinamico e paritetico e non come un ambiguo gioco di sfruttamento, prima a senso unico e poi reciproco. Quanto a espressione di una matura e salda identità sociale, la comunità usticese è simile a quelle di Pantelleria e di Linosa..."
La fotografia riproposta nel post è tratta dal bimestrale "Vie Mediterranee" edito a Palermo nell'ottobre del 1959
martedì 2 luglio 2024
"MAIDDE" E BARACCHE DOPO IL TERREMOTO DEL BELICE
Fotografia di
Franz Tomamichel,
opera citata nel post
".... Su grandi assi era distesa una poltiglia di pomodori che, al sole, doveva condensarsi in purea. Le baracche ai piedi del villaggio furono erette da organizzazioni di soccorso per i terremotati del 1968..."
Così il fotografo Franz Tomamichel lasciò una testimonianza di storia della Sicilia nei mesi successivi al terremoto del Belice, allorché i circa 70.000 sfollati vennero in buona parte e per lunghi anni trasferiti in baraccopoli allestite in diversi comuni dell'Isola.
Nella fotografia, pubblicata nell'opera "Sicilia" ( Edizioni Silva, Zurigo, 1971 ) ed accompagnata dai testi di Jakob Job, le baracche di ferro - luoghi di esistenza precaria ed incerta - fanno da sfondo allo scorcio di una ordinaria scena paesana in una strada assolata. Come in una quinta teatrale, vi si osservano i panni stesi al vento, la salsa di pomodoro spalmata sulle "maidde" di legno ed un gruppo di bambini in compagnia di una donna sull'uscio di una casa.
lunedì 1 luglio 2024
IL GIARDINO DI SAN GIOVANNI DEGLI EREMITI CHE ALIMENTO' LA GRAZIA IN BRAUDEL
Il chiostro di San Giovanni degli Eremiti. Foto di Filippo Martorana pubblicata dalla rivista "Sicilia" nel dicembre del 1963 |
"La grazia si impadronì di me, dolce, penetrante come profumo di gelsomino, a San Giovanni degli Eremiti, vecchia moschea dalle cupole rossastre che il chiostro, che si è impadronito del suo spazio, divora con il suo peristilio e il suo giardino ( allora inselvatichito ): oggi è in ordine"
Così nel 1982 Fernand Braudel ricordò l'impressione suscitatagli nell'agosto del 1932 a Palermo da uno dei monumenti più noti della Sicilia di età normanna: quella chiesa di San Giovanni degli Eremiti che offre motivo di attrazione anche per il suo chiostro sorto nel secolo XIII, annesso allora ad un convento benedettino. Nel 1914, Giulio U. Arata nell'opera "Atlante di storia dell'architettura arabo-normanna e del Rinascimento in Sicilia" osservò che
"Dove il tetto copriva le severe corsie, dove le lastre di marmo coprivano i pavimenti, hanno preso posto lussureggianti pergolati e profumati rosai; e tutta una vegetazione tropicale lo riveste di mille colori".
Definito nel 1963 dallo storico dell'arte Cesare Brandi come "un giardino da Graal", il patrimonio arboreo del chiostro è stato nei mesi scorsi oggetto di una radicale riqualificazione. Un progetto finanziato dal FAI di Palermo vi ha piantumato un fico, simbolo del Giardino dell'Eden; un melograno, citato nel giardino del Cantico dei Cantici; un ulivo, ricordo dell'Orto di Getsmani; una palma, a rappresentare l'ingresso di Gesù a Gerusalemme; un agrume, pianta tradizionalmente legata alla civiltà araba, oltre a cespugli di mirto ed alloro.