“La vera attrattiva delle Egadi è Levanzo… Non è che uno scoglio erto, bellissimo. La crosta grigia della pietra scopre qua e là le focature come di brace sotto la cenere, filari di fichi d’india e di agavi aggiungono una tinta così sommessa di verde che è appena un tono sopra al grigio della pietra… Le coste di questo scoglio sono varie, piene di motivi inattesi, e c’è anche un faraglione, meno grande di quelli di Capri, ma sempre un bello spuntone di roccia come una piramide sbriciolata…”
Così, nel 1970, il professore Cesare Brandi – fondatore dell’Istituto Centrale del Restauro di Siena e docente di Storia dell’arte medievale e moderna nell’Università di Palermo prima, e poi di Roma – descrisse nell'opera 'Sicilia mia' edita da Sellerio nel 1989 la più piccola fra le isole trapanesi delle Egadi.
Di Levanzo, Brandi sottolineò allora che, “ancor più delle Eolie, se si toglie il gruppo di case al piccolo porto, sembra che non ci sia stata orma umana. Ed invece – notava ancora il celebre critico d’arte, riferendosi alla presenza delle note incisioni e le pitture preistoriche della grotta del Genovese – sono stati prima qui che in Val Padana, i nostri lontanissimi antenati”.
Un simile giudizio si trova espresso in un reportage pubblicato dal mensile del TCI ‘Le Vie d’Italia’, nel febbraio del 1955, nel quale si legge che l’isola – allora collegata a Trapani dal vecchio vapore ‘Lampedusa’, il lunedi, il martedi, il sabato e la domenica - “è forse quella che più risponde all’ideale dell’uomo che cerca il primitivo e la natura. Non ha che trecento abitanti – scriveva l’anonimo articolista – ed in breve si conoscono tutti i lavori e gli orizzonti di questa gente. Anzitutto il lavoro della pesca; poi c’è la pastorizia e le vigne che i Parodi hanno piantato sull’altopiano che sovrasta il paese, e che ci è sembrato l’angolo più ridente dell’isola. C’è qualche bottega per l’acquisto dei generi di prima necessità, ma l’acqua è di cisterna. Fatti pochi passi fuori dall’abitato non si vede più nessuno, a volte si ha l’illusione di essere gli unici abitanti della terra…”.
Di fatto, ancor oggi Levanzo conserva la stessa aspra e naturale bellezza descritta da Cesare Brandi e dalla rivista del TCI; e pur se l’isola conserva un suo geloso gruppo di estimatori che la frequentano in tutti i mesi dell’anno, da qualche stagione le sue limpide e fredde calette ospitano crescenti gruppetti di bagnanti dai biondi capelli e di lingua scandinava: turisti svedesi, che hanno conosciuto Levanzo grazie ad uno degli episodi televisivi del commissario Montalbano, che in quest’isola ha ospitato uno dei suoi set.
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