Difficile scrivere di un fiume esistente nella realtà fisica del suo territorio, eppure così assente dalla percezione che gli abitanti hanno della sua stessa esistenza; accade a Palermo – città dove il vivere quotidiano si ammanta spesso della logica dell’assurdo – con il fiume Oreto.
Da molti decenni, il corso d’acqua che per meno di 20 chilometri scorre dalle colline della ex Conca d’Oro verso la costa tirrenica di Sant’Erasmo, attraversando i quartieri urbani orientali, è un elemento paesaggistico estraneo alla coscienza del cittadino palermitano.
L’Oreto si snoda invisibile su un letto nascosto da canneti e si scopre soprattutto dai ponti che ne scavalcano il corso verso il mare, inquinato ed imbruttito da rifiuti di ogni sorta. Soffocato dagli scarichi fognari abusivi e dai reflui di scarto di aziende industriali ed agricoli, il fiume di Palermo non è stato neppure un riferimento per cartoline turistiche, opere letterarie o artistiche prodotte in città ( ad eccezione dei riferimenti allegorici e mitologici presenti nei marmi nella cinquecentesca fontana di piazza Pretoria ).
Periodicamente, le autorità comunali, qualche istituto universitario di ricerca scientifica od un'associazione naturalista rilanciano i propositi di una “riqualificazione ambientale” dell’Oreto, favoleggiando l’istituzione di una riserva o la creazione di un parco fluviale. Le buone intenzioni sono rimaste tali almeno dal 1957, quando Giuseppe Caronia, a proposito della stesura del nuovo piano regolatore di Palermo sottolineò “un episodio che ritengo di estremo interesse nella distribuzione del verde nel nuovo piano: la creazione di un grande parco sulle rive dell’Oreto, che risulterebbe ricco di accidentalità naturali estremamente suggestive”.
Di fatto, le uniche suggestioni offerte oggi dal corso d’acqua che sino a qualche secolo fa era ancora in parte navigabile, sono quelle del suo completo degrado ambientale. L’abbandono e gli squarci di miracolosa vita naturale ancora presenti nel fiume sono stati di recente raccontati da Igor D’India, giovane filmaker palermitano, nel documentario ‘Urban adventure’ http://www.igordindia.it/ie/index.php
Come spiega l’autore – che ha percorso a ritroso il letto dell’Oreto, sfidando l’inquinamento e giganteschi topi - il corso d’acqua ospita ogni sorta di rifiuto, “compresi carcasse d’auto e copertoni con i quali si potrebbe creare un museo, perché sono pezzi d’epoca, ma anche mobili, veicoli ed elettrodomestici”. Triste e fino ad oggi immodificabile sorte, quella del fiume di Palermo, e che potrà forse mutare quando e se la città avrà ritrovato la coscienza collettiva della sua esistenza.
Di fatto, le uniche suggestioni offerte oggi dal corso d’acqua che sino a qualche secolo fa era ancora in parte navigabile, sono quelle del suo completo degrado ambientale. L’abbandono e gli squarci di miracolosa vita naturale ancora presenti nel fiume sono stati di recente raccontati da Igor D’India, giovane filmaker palermitano, nel documentario ‘Urban adventure’ http://www.igordindia.it/ie/index.php
Come spiega l’autore – che ha percorso a ritroso il letto dell’Oreto, sfidando l’inquinamento e giganteschi topi - il corso d’acqua ospita ogni sorta di rifiuto, “compresi carcasse d’auto e copertoni con i quali si potrebbe creare un museo, perché sono pezzi d’epoca, ma anche mobili, veicoli ed elettrodomestici”. Triste e fino ad oggi immodificabile sorte, quella del fiume di Palermo, e che potrà forse mutare quando e se la città avrà ritrovato la coscienza collettiva della sua esistenza.
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