Il banchetto di vendita di un 'acquarolo' siciliano, conservato presso il Museo 'G.Pitrè' di Palermo. L'immagine è tratta dal numero 65 della rivista 'Sicilia', edita da Flaccovio Palermo |
ReportageSicilia ringrazia Paolo Di Salvo per la collaborazione nella scrittura di questo post e per la concessione di materiale tratto dal suo archivio documentario
Il bene acqua rappresenta da sempre una risorsa preziosa per la Sicilia, anche in tempi in cui il problema della sua gestione e del suo risparmio non investiva ancora la coscienza dell’intera comunità internazionale.
Il bene acqua rappresenta da sempre una risorsa preziosa per la Sicilia, anche in tempi in cui il problema della sua gestione e del suo risparmio non investiva ancora la coscienza dell’intera comunità internazionale.
Ancora ai nostri giorni, vi sono province isolane in cui la distribuzione non è quotidiana – quelle di Agrigento e di Caltanissetta, dove sono in vigore i turni di erogazione - o paesi in cui – come Vittoria – è stata da pochi mesi avviata l’adozione dei contatori dell’acqua in edifici pubblici e privati.
A leggere le cronache quotidiane della mala amministrazione, poi, la Regione Siciliana non ha certo brillato in molti interventi nel settore delle risorse idriche, soprattutto per evitarne la dispersione o, addirittura, il furto ( episodi che hanno riguardato qualche anno fa il territorio di Gela ).
L’ultimo esempio di cattiva gestione – quello cioè del mancato completamento delle infrastrutture di importanti bacini idrici nell’isola, previsto da un finanziamento strutturale europeo di 610 milioni di euro per il periodo 2000/2006 – è stato oggetto di una recente segnalazione della Corte dei Conti regionale.
I vecchi emiri arabi ed i loro tecnici che ebbero in mano la gestione dell’acqua nella Sicilia di mille anni fa, insomma, riuscirono a fare meglio di buona parte della classe dirigente regionale dei nostri tempi. Risale infatti al periodo della dominazione araba la costruzione in Sicilia, sopra e sotto il livello del terreno, di numerose reti di captazione e canalizzazione dell'acqua.
Un gruppo di donne trasporta quartare contenenti acqua nelle campagne agrigentine di Montallegro. La fotografia è tratta dal volume 'Sicilia' edito dal TCI nel 1932 |
Questi canali (qanat) venivano realizzati con pendenze e dimensioni tali da limitare l'erosione del suolo e ridurre l'evaporazione dell’acqua che, una volta incanalata, veniva sollevata in superficie per mezzo di norie a tazze o senie e, successivamente, accumulata in apposite cisterne (gebbie) per essere, infine, distribuita.
In epoca recente, prima della realizzazione delle reti cittadine di distribuzione idrica, venivano utilizzati per l’approvvigionamento, oltre a contenitori di terracotta (quartari e lanceddi), i carri-botte.
Infine, c’erano i chioschi e l’acquaiolo ambulante. Dei primi, rimane ancora qualche traccia in città e paesi della Sicilia, anche se ai loro clienti vengono offerte per lo più bottiglie di birra, bevande gasate o succhi di frutta industriali dai nomi esotici. E’ scomparsa del tutto invece la figura dell’acquaiolo, relegata ormai alla testimonianza di vecchie fotografie od alla memoria dei siciliani più anziani.
Ciò che rimane ai nostri giorni attuale, piuttosto, è il caro-acqua che chiama in causa le tariffe isolane, fra le più alte in Italia. Dati forniti dall’Osservatorio di Cittadinanzattiva indicano infatti che negli ultimi 5 anni, il costo medio è aumentato del 17 per cento.
Proprio Agrigento – capoluogo di provincia dove la distribuzione procede a turni - è la città isolana dove l’acqua ha il prezzo annuo più alto, addirittura 11 volte in rispetto a Milano ( 445 euro ): un esempio – anche nel settore delle risorse idriche - dei mille paradossi siciliani.
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