Il 14 maggio di 1962 il quartiere palermitano della Kalsa ospitò le prime riprese de “Il Gattopardo” di Luchino Visconti: centinaia di comparse misero in scena l’ingresso delle truppe garibaldine in città, che ebbe storicamente luogo fra il 27 ed il 30 maggio del 1860.
Per la durata di quattro mesi, le maestranze della Titanus e della Twentieth Century Fox lavorarono alla produzione del film ispirato al romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: la storia di quella colossale produzione cinematografica – la cui durata complessiva fu di tre ore e 20 minuti, e che l’anno successivo vinse la Palma d’Oro a Cannes – rimane ancor oggi fra le più ricche di aneddoti nella storia del cinema italiano.
In questo post, ReportageSicilia ripropone alcuni episodi riguardanti la produzione del film tratti dagli archivi dei quotidiani La Stampa, l’Unità e dalla rivista “Sicilia” edita nel settembre del 1962 dall’Assessorato regionale al Turismo, allo Sport ed allo Spettacolo. Da quest’ultima rivista sono tratte alcune immagini del set firmate dal fotografo di scena Giovanni Battista Poletto.
Altri suoi scatti relativi alla produzione del film di Visconti sono pubblicati in http://www.fondazione3m.it/photogallery.
Promotore della trasposizione cinematografica del romanzo di Tomasi di Lampedusa fu il patron della Titanus, il produttore napoletano Goffredo Lombardo. Fu lui ad acquistare a caro prezzo i diritti dell’opera letteraria, a scegliere Visconti come regista e ad imporgli l’attore americano Burt Lancaster nel ruolo del principe don Fabrizio Salina, sbaragliando le candidature del russo Nikolai Cercassov e dell’inglese Laurence Kerr Olivier.
Sembra che il giudizio preliminare del regista di origini milanesi su Lancaster – da lui definito “un cowboy o un gangster” e per questo poco adatto a interpretare il ruolo di un aristocratico siciliano – non fosse del tutto positivo.
Di fatto, al termine della lavorazione de “Il Gattopardo”, l’opinione di Visconti cambiò: il rapporto di reciproco rispetto sul set fra regista e protagonista contribuì non poco al successo dell’opera.
I costi di produzione del film furono all’epoca stratosferici, e mai del tutto indicati con chiarezza.
Lombardo – che per finanziare le riprese avrebbe venduto numerosi appartamenti di sua proprietà a Roma, sulla collina Fleming – indicò una cifra di tre miliardi di lire.
Visconti - che alloggiò a Palermo all'interno della Tonnara Bordonaro - ridusse invece i costi ad un miliardo e 900 milioni, 400 dei quali avrebbero rappresentato il compenso per Burt Lancaster, volato in Sicilia dalla sua villa a Beverly Hills.
Gli unici dati contabili certi sono quelli da mettere in relazione alla maniacale ( e dispendiosa ) attenzione di Visconti durante la lavorazione del film. Qui l’aneddotica de “Il Gattopardo” si fa ricca di esempi: le camicie indossate sul set da Lancaster richieste ad un negozio di Londra, i fiori freschi ordinati via aerea da Sanremo, la riproduzione di interi servizi di argenterie, piatti e bicchieri, la ricostruzione di arredi con l’utilizzo di autentici damaschi o la commissione di 500 paia di guanti.
La scena forse più famosa del film – il lunghissimo valzer di Giuseppe Verdi girato in 18 sale di Palazzo Ganci – impegnò attori, tecnici ed addetti alla produzione, dalle 18.00 alle 5.00 del mattino, per quaranta torride sere dell’estate palermitana. Visconti pretese di accendere tutti i candelabri con candele vere, aumentando i supplizi di protagonisti e comparse che indossavano costumi dagli spessi panneggi. Burt Lancaster fu costretto a ballare sotto l’effetto di iniezioni antidolorifiche mentre Claudia Cardinale arrivò alla conclusione delle riprese con la vita segnata dalle stecche di balena degli abiti imposti dal regista.
Oltre che per le polemiche sui costi finali del film, “Il Gattopardo” di Visconti fece all’epoca parlare di sé per una querelle tipicamente siciliana.
La Titanus aveva infatti previsto che una parte delle riprese dovessero essere girate a Palma di Montechiaro. Di parere opposto furono però gli amministratori comunali del centro agrigentino che , forse per la militanza comunista di Visconti, opposero una lunga lista di ostacoli di natura burocratica; paletti rafforzati – sembra – dalle richieste di esosi “rimborsi” provenienti da non identificati don del paese.
La questione fu oggetto di una denuncia in sede di conferenza stampa a Palermo, da parte dello stesso Luchino Visconti; alle sue dichiarazioni di fuoco contro l’amministrazione di Palma di Montechiaro, definita “fascista”, si aggiunsero quelle per nulla ortodosse di Burt Lancaster.
Interpellato su eventuali timori personali per il rischio di una minaccia mafiosa, l’attore vantò la sua amicizia con Joe Di Maggio e la protezione che quell’amicizia con il campione del baseball gli avrebbe assicurato dai “picciotti” siciliani.
Abbandonato il progetto di utilizzare Palma di Montechiaro, la produzione scelse infine come luogo alternativo di riprese il paese palermitano di Ciminna: qui furono girate le scene dell’arrivo del principe Salina a Donnafugata, del plebiscito e del Te Deum.
Altri ciak de “Il Gattopardo” ebbero luogo nel palermitano a Bellolampo e Piana degli Albanesi, negli studi romani della Titanus – sulla circonvallazione Appia – ed all’interno di Palazzo Chigi di Ariccia: qui Alain Delon e la Cardinale diedero vita all’inseguimento amoroso nelle soffitte della villa di Donnafugata.
Infine, fra le tante pieghe della storia della produzione de “Il Gattopardo”, c’è l’ennesima e poco conosciuta vicenda del fallimento di un progetto che prometteva di creare una Hollywood siciliana.
Sull’onda del successo che il film ebbe in Italia – con un incasso record di 96 milioni di lire nei primi 3 giorni di proiezione – Goffredo Lombardo annunciò l’intenzione di costruire nell’isola una “città del cinema”.
Il proposito – che avrebbe dovuto contare sull’appoggio della Regione – non ebbe alcun seguito, secondo la consuetudine di quel “peccato del fare” che fa abortire buona parte dei tentativi di buona e sana impresa in Sicilia.
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