venerdì 19 aprile 2013

L'ETNA DI GUSTAVO TOMSICH

Lo spettacolo dell'eruzione sul versante Nord Est dell'Etna,
nel luglio del 1960.
La fotografia - come le altre del post -
è tratta dalla rivista "Amicizia" del tempo
e corredò un reportage del giornalista e scrittore Gustavo Tomsich

Le fotografie riproposte nel post da ReportageSicilia sono tratte dalla rivista mensile “Amicizia”, edita a Milano nel luglio del 1960. 
Le immagini ritraggono tre tipologie di attività artigiane ed ambulanti allora ancora diffuse in alcuni paesi etnei: quelle dei “pirriaturi” ( i cavatori di pietre laviche ), dei “nivaroli” ( i raccoglitori di neve ) e degli acquaioli.
L’autore del reportage – intitolato “Gente dell’Etna” –  fu il giornalista e scrittore di origini slovene Gustavo Tomsich, a suo tempo collaboratore del “Tempo settimanale” e dell’”Illustrazione italiana”; a lui bisogna forse attribuire anche le fotografie che corredarono l’articolo.
Tomsich visitò l’area etnea in coincidenza con l’eruzione che in quei giorni – come avrebbe riferito un cinegiornale dell’Istituto Luce – produsse “massi grandi come autobus” nella zona del cratere e sui versanti Nord Est: nella prima pagina del reportage, una fotografia documenta “il gigantesco fungo di vapori e lapilli lanciato dall’Etna il 17 luglio, visto da Zafferana”.
Malgrado la violenza e la spettacolarità dell’evento vulcanico – testimoniata dalla fotografia di “gruppo di turisti e gente del luogo” in osservazione del fenomeno – Tomsich non perse l’occasione per documentare la quotidiana vita di lavoro alle pendici dell’Etna. 
“Della sua gente – scriveva il giornalista – si parla soltanto quando un’eruzione ne minaccia le case; dei suoi problemi, neppure in queste circostanze. E’ gente che di problemi ne ha comunque molti, ma non li sente eccessivamente perché il più grosso è il fatto stesso di vivere su un vulcano che non ha funzione decorativa come tanti altri, e ai cui imprevedibili capricci nessuno può porre rimedio. E quando un guaio di tale portata è accettato impassibilmente, gli altri sono rose e fiori…”.
Di quella gente che lavorava intorno al vulcano, Tomsich indica anzitutto gli acquaioli.

Nel suo racconto sulle attività intorno alle pendici dell'Etna,
Tomsich descrisse le figure di alcuni protagonisti
della vita quotidiana del tempo: primo fra tutti, l'acquaiolo

“Vanno con i loro variopinti carretti-botte a prelevare l’acqua alle rare sorgenti e la distribuiscono un po’ in tutti i paesi, da Nicolosi a S.Alfio la Bara, da Mascalucia a Zafferana. C’è anche chi la compra anche dove esiste l’acquedotto perché usava farlo in passato".
A seguire, il reportage illustra il lavoro dei “nivaroli”.

Un "nivarolo" estrae blocchi di ghiaccio alle alte quote del vulcano:
saranno poi trasportati  a bordo di carretti sino ai principali paesi etnei e utilizzati - noterà Tomsich - anche per allungare "i forti vini dell'Etna".
La diffusione dei frigoriferi porterà presto alla scomparsa di questi protagonisti della vita economica locale 

“Per il medesimo motivo, la neve del vulcano è preferita al ghiaccio prodotto industrialmente… Ogni mattina verso mezzogiorno, una carovana di carretti grondanti d’acqua discendono da oltre duemila metri di altitudine verso i centri abitati. Sono carichi di sacchi di neve. 
Dove la prendono, se d’estate sull’intero massiccio dell’Etna non se ne vede traccia? Dalle ‘nivarole’, che sono vere e proprie miniere di neve rese invisibili da una camicia di lava farinosa. Questo materiale vetroso ha un elevato potere isolante del calore, e basta che uno strato di pochi centimetri venga steso alla fine dell’inverno perché questo si conservi per l’intera estate. Il personale dell’Istituto di Vulcanologia dell’Università di Catania ha recentemente scoperto un giacimento vecchio di almeno un secolo!

Un gruppo di "nivaroli" carica i blocchi di ghiaccio
all'interno di sacchi di juta.
In precedenza, le "nivarole" erano state protette dallo scioglimento
coprendole con polvere lavica e sterpi
Un tempo le ‘nivarole’ alimentavano un florido commercio: i velieri trasferivano la neve perfino in Egitto, dove era venduta a prezzi favolosi. 
Ora siamo agli sgoccioli: le ‘nivarole’ si contano sulle punte delle dita ed è probabile che fra qualche anno il ghiaccio e più ancora il frigorifero avranno il definitivo sopravvento. 
I carrettieri che si dedicano alla distribuzione della neve sono però convinti che tale calamità è lontana perché il suo uso nelle case come nei locali pubblici sopravvive più che altro perché quella neve ha un sapore del tutto particolare che la rende adatta ad allungare e rinfrescare i forti vini etnei”.
Infine, il cronista di “Amicizia” descrive i “pirriaturi”, altra categoria di lavoratori etnei che di lì a pochissimi anni sarebbe stata cancellata dalla produzione industriale.

L'obiettivo di Gustavo Tomsich fissa l'immagine
di due "pirriaturi"di blocchi lavici.
Al termine del lavoro di estrazione, i grossi conci venivano rifiniti per essere utilizzati nella costruzione di cortine murarie, strade ed elementi portanti di edifici

“La lava era in passato un materiale molto ricercato, ma è poi divenuto antieconomico perché il suo elevato peso specifico ne rende costoso il trasporto e difficile l’impiego nella moderna edilizia. Si scava la terra sotto il filone di lava compatta, preventivamente puntellato. 
Al momento giusto si tolgono i puntelli e il lastrone si spezza sotto il suo stesso peso. Comincia allora il duro lavoro di squadratura dei blocchi e dele mattonelle, che viene fatto con colpi secchi e precisi di mazza”.
Gesti e capacità manuali – quelle descritte 53 anni fa da Gustavo Tomsich e restituite alla memoria dal suo racconto – che non fanno più parte dell’ambiente etneo.
  

        

  

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