martedì 7 maggio 2013

L'INGANNO SICILIANO DELLA CACCIA ALLE BALENE

"Porto siciliano", opera del 1967
del pittore palermitano Piergiorgio Zangara

La storia dell’imprenditoria siciliana è stata spesso legata alla scialba storia della politica regionale, dando corso a progetti fallimentari ed in cui il carattere clientelare-mafioso ha determinato lo spreco di enormi risorse finanziarie.
La casistica riserva anche dei casi bizzarri e poco conosciuti. Uno di questi riguarda la promozione di una flotta peschereccia che – agli inizi degli anni Cinquanta dello scorso secolo - avrebbe dovuto far partire da Palermo la caccia alle balene nei lontanissimi mari dell’Antartide.
“L’iniziativa – ricorda Matteo G. Tocco nel saggio “Libro nero di Sicilia”, edito da Sugar Editore nel 1972 – era stata assunta dalla società industriale “Antartide”, costituita a Palermo con le consuete agevolazioni fiscali e con le azioni al portatore. La società di proponeva di costruire una grande nave-fattoria con una stazza di 22.500 tonnellate, completa dei più moderni e perfezionati macchinari atti a garantire un primo ciclo di lavorazione di una balena nel giro di 50 minuti”.


Una nave baleniera in attività nel periodo in cui nacque a Palermo la società siculo-austriaca "Antartide", che avrebbe dovuto promuovere un'analoga attività di pesca e di commercio dei prodotti derivati.
Il velleitario progetto - che portò nel 1951 all'avvio della costruzione della nave baleniera "Trinacria" - si concluse in un nulla di fatto e in uno spreco di risorse economiche.
L'immagine è tratta dalla "Rassegna Enciclopedica Labor 1935-1951" 

La “Antartide” poteva contare su capitali siciliani ed austriaci ed in tempi brevi commissionò la costruzione della nave-fattoria “Trinacria” ai Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone.
La chiglia dell’unità navale – la cui lunghezza complessiva avrebbe dovuto superare i 200 metri - venne impostata il 28 luglio del 1951. 
Una volta varata, la “Trinacria” avrebbe dovuto accogliere un equipaggio di 80 uomini e 40 specialisti nella caccia e nella lavorazione delle balene issate a bordo.  
Scrive ancora Matteo G.Tocco che “catturata la balena a mezzo di naviglio minore” – 12 imbarcazioni anch’esse di proprietà della società “Antartide” – “essa sarebbe stata trascinata verso la nave-fattoria, issata a bordo, squartata, sezionata, e, divisi i grassi dalle carni, passata per ulteriori elaborazioni al macchinario sussidiario e conservata in frigoriferi colossali. Tutte le parti delle balene così pescate, e così lavorate, sarebbero state sbarcate a Palermo e avviate a un complesso di impianti consistente in serbatoi per la conservazione dell’olio di balena, e per la sua raffinazione con successivo indurimento. Infine, le parti non grasse sarebbero state avviate verso tre altri stabilimenti rispettivamente idonei alla produzione della farina di balena, alla fabbrica di estratti di dadi per brodo e alla composizione degli elementi per la produzione di colla”.


Il porto palermitano della Cala, in un'immagine tratta da  un opuscolo dell'Ente Provinciale per il Turismo di Palermo
alla fine degli anni Cinquanta dello scorso secolo.
Il progetto dell'"Antartide" prevedeva la costruzione in città di diversi stabilimenti per la lavorazione e la trasformazione
dei prodotti derivati dalle balene  

Il progetto di creare un’industria baleniera in Sicilia, insomma, sulla carta sarebbe dovuto andare incontro alle richieste dei mercati internazionali e garantire migliaia di posti di lavoro. Le industrie nazionali e forse anche quelle del Medio Oriente avrebbero potuto rifornirsi a Palermo di materie prime per la produzione di olii e grassi alimentari, di sapone e liscivie, di farmaci e di cosmetici. 
Lo stesso presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana del tempo, Angelo Bonfiglio, accolse l’impostazione della nave-fattoria “Trinacria” in cantiere dichiarando “per noi siciliani, questa giornata è veramente fatidica!”.
In realtà, il progetto di creare una flotta siculo-austriaca per la caccia alle balene si confrontava con un mercato quasi del tutto monopolizzato da Norvegia, Inghilterra, Giappone, Unione Sovietica, Olanda e Germania. 
Agli inizi degli anni Cinquanta una ventina di società di quei Paesi si spartivano il mercato baleniero mondiale, grazie anche ad un’esperienza decennale ed a reti commerciali evolute.
“Inutile dire – conclude Tocco - che la nave “Trinacria” non vide mai la luce e con essa abortirono i sogni siciliani di possedere una flotta baleniera!”. 
Non sappiamo quanti soldi siano allora stati spesi – ed a vantaggio di chi - per portare avanti il velleitario ( ed ingannevole ) proposito di far cacciare dalla "Trinacria" cetacei nelle acque dell’Antartide. Certo è che tra le pagine di vecchi libri dedicati alla storia dell'isola si riscoprono impensabili esempi dell’atavico spreco di risorse economiche da parte dei siciliani.





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