lunedì 3 giugno 2013

LA TARGA FLORIO DI BORGESE

Vincenzo Florio, Auto in corsa, 1958,
olio su cartone telato

Più di uno scrittore siciliano ha dedicato qualche pagina delle proprie opere alla Targa Florio.
La gara madonita non è stata solo un appuntamento unico dell'automobilismo internazionale; le difficoltà ed il prestigio del circuito stradale, la partecipazione della popolazione all'evento e la sua ambientazione paesaggistica ne hanno fatto una pagina non secondaria nel costume della storia popolare siciliana.
Fra quanti hanno scritto in quest'ottica della Targa Florio vi è Giuseppe Antonio Borgese ( 1882-1952 ), lo scrittore di Polizzi Generosa autore del romanzo "Rubè" ( 1921 ).
Nei suoi scritti, Borgese considerò che la gara delle Madonie era "di grande richiamo non solo ambientale, ma anche storico, archeologico, artistico, letterario, in cui, ancora ieri come oggi, la natura e la cultura ancora talvolta si alternano, più spesso si intrecciano, offrendo sempre un susseguirsi di emozioni uniche e irripetibili". 
La considerazione dell'intellettuale polizzano trovarono più ampie argomentazioni in un articolo pubblicato dal quotidiano "l'Ora", fondato non a caso da Ignazio Florio a Palermo nell'aprile del 1900. Borgese ne fu collaboratore insieme ad altri personaggi di primo piano della letteratura dell'isola ( Rosso di San Secondo, Luigi Capuana ); quel reportage - ripubblicato nel 2005 dal saggio "Una Sicilia senza aranci" edito da Avagliano Editore, a cura di Ivan Pupo - dimostra il profondo rapporto tra l'evento Targa Florio ed i paesi delle Madonie.
 L'articolo di Borgese comparso sull'"l'Ora" - che divaga sui tanti aspetti sociali, economici e di costume del territorio del tempo - non riporta la data di pubblicazione.
Dai riferimenti sul tracciato di gara - la "via" della corsa - si può tuttavia comprendere che lo scrittore di Polizzi Generosa lo scrisse quando i piloti si sfidarono sul Grande Circuito delle Madonie tra il 1906 ed il 1911 ed ancora nel 1931.

Vincenzo Florio, Auto in corsa, tribune, 1958,
olio su tavola


Lo scrittore Giuseppe Antonio Borgese.
La fotografia è tratta dal volume di Guglielmo Lo Curzio "Questi siciliani", edito nel 1989 da Mursia
  
  
"Ai lettori dell'Ora, pei quali lo sport occupa il primo posto dopo la politica internazionale, non dispiacerà saper qualcosa dei paesi che attraverseranno gli automobili nella prossima primavera, disputandosi i ricchi premi e la Targa Florio.
Io ne scrivo proprio dal centro del circuito, sebbene questo paese dal duplice nonme non sia propriamente sulla via della gara. Ma la strada nazionale che da Termini sale fino a Petralia Soprana, che s'alza ad oltre millecentoquaranta metri dal mare e ove la corsa raggiungerà il suo apogeo altimetrico, poco prima dell'umile villaggio di Castellana si biforca, procedendo per appena quattro chilometri verso tramontana, finchè raggiunge questo borgo annidato sopra una selvaggia roccia di mille metri. Il quale ebbe il suo onorifico epiteto di generosa dalla magnificenza con cui riscattò i suoi privilegi parecchie volte conculcati dalla boria dei re aragonesi, e fu assai importante e popoloso nel Medio Evo come c'insegna perfino il Baedeker, ed ebbe un castello e una moschea e poi fu degno, in una celebre occasione, d'ospitare il Parlamento del Regno. Anch'oggi ha le sue poche ma non spregevoli glorie: ché si vanta di aver dato i natali al cardinale Mariano Rampolla e più ancora si vanta di custodire in una sua piccola chiesa purtroppo staticamente mal sicura un meraviglioso trittico fiammingo che se non è merita indubbiamente di essere opera di Van Dyck.

Vincenzo Florio, Auto in corsa, 1953
acquarello su carta

E' naturale perciò ch'io conosca mediocremente le vie, sulle quali la vegnente primavera udrà un insolito frastuono. E più naturale è ch'io abbia accolto con meraviglia mista a contentezza il programma del nuovo circuito, lieto che finalmente si sappia dai forestieri e anche un pò dagli italiani non essere la Sicilia un solo pezzo di costa senza territorio, a un di presso come i nostri possedimenti in Benadir. La storia e l'arte, la vita civile e persin l'agricoltura furono sempre marittime, nell'isola, e l'interno si può dire ancor oggi inesplorato e tenebroso come un hinterland africano. Pure non è a credere che solamente Taormina sia pittoresca e che dietro i goethiani aranceti non si stenda che lo squallore e la morte, le terre dei fasci e il casino di Grammichele.

Ezio Castellucci, L'attesa sul circuito, 1907
acquarello

Gli chauffeurs del prossimo maggio si lasceranno alle spalle Termini, la città bianca di memorie puniche e siracusane, che alza la testa verso un gran monte dalla cima ricurva e bagna i suoi piedi in un golfo degno di ecloghe elleniche, e saliranno verso la montagna attraverso Cerda e la saracena Caltavuturo, acquattata sotto le spaventose rovine di un castello, ove per certo nidificano i corvi.

Vincenzo Florio, Tribune di Cerda, senza data
olio su tela

Il primo tratto della via non ha nulla da esaltar gli occhi dei gareggianti, che del resto rimarrebbero fissi sul volante in ogni caso: appena si saran lasciata addietro la costa albeggiante d'olivi e nereggiante d'aranceti entreranno nel tristo paese del latifondo, tinto di bassa verdura a primavera, giallo in estate, nero nell'autunno, deserto tutto l'anno fuor che nel mese della falce e nel mese dell'aratro.

Duilio Cambellotti, Targa Florio 1907
bozzetto per la rivista Rapiditas

Di tratto in tratto qualche coppia di bufali, qualche armento di magre cavalle baie; qua e là un filo d'acqua pigra che si rigonfia in bolle asmatiche nel meato della cannella borraccinosa e poi verdeggia nella vasca rude, ove i muli immergono malvolentieri il muso; e, dov'è l'acqua, una piccola casa ceneregnola senza finestre e lì presso un alberello striminzito curvo sulla sua radice come un contadino invecchiato sulla marra, le cime calve, umili e prolisse s'alzano a fatica da valli aperte come lenti sbadigli, entro cui biancheggiano i letti aridi dei torrenti: immagini di una campagna romana, ma senza quel soffio di tragedia.

Duilio Cambellotti, Targa Florio 1907
bozzetto per la rivista Rapiditas

Più tardi però il paese si slarga, dando adito alla vista fin sulle montagne azzurre del mezzogiorno e sulla eccelsa Castrogiovanni. E dopo, oltrepassato il bivio di Polizzi e le due Petralie, la strada costeggia la catena delle Madonie, nome classicamente sonoro di montagne belle come gli Appennini abruzzesi, ombroso di faggi, ricovero di falchi, canore d'acque criscianti e di nomi eroici come il piano della Battaglia, che parecchie volte ricorre in memoria dell'ostinata resistenza mussulmana alle armi crociate del conte Ruggero. Dopo Isnello, ritorna alla vista di tra i boschi il mare, che s'apre ampio e soave innanzi a Collesano. I corridori vedranno olivi ampii e nodosi com'elci, ville alte sul piano come nidi d'aquile, borghi biancheggianti su rupi precipitose e Termini pendula sul golfo.

Margaret Bradley,  Tribune di Cerda, 1930
olio su tela

La via percorre latifondi e boschi. Tra un paio d'anni, quando sarà compiuta la novissima via tra Polizzi e Collesano, che è provinciale, ma saldissima, larga, ben levigata e superiore per cento rispetti alla nazionale tra Petralia e Geraci, si potrà forse con qualche utilità modificare ancora una volta il circuito. Il punto culminante non oltrepasserà i mille metri, ma in compenso i forestieri e gli italiani stessi conosceranno la più florida oasi della Sicilia interiore; contrade di nomi pittoreschi e soavi come Drispo Bianco, Chiaretta, Santa Venera, felici d'acque e d'ombre, deliziose d'una cultura multiforme in cui la severità della montagna imminente è mitigata dal vento marino che s'incanala lungo la greca valle dell'Imera e il fico d'India fa siepe al bosco d'Avellani, l'olivo si torce fra il castagno e l'arancio, l'agave africano non disdegna la compagnia della nordica quercia. Sarà una buona occasione per imparare che anche in Sicilia ci sono zone di agricoltura razionali o quasi, nelle quali vige la mezzadria toscana e magari il fitto olandese.

Margaret Bradley, Tribune di Cerda, 1930
olio su tela

Del resto, le terre che traverseranno gli automobili, non han nulla di barbarico. Qualche paese, tra cui il mio, si permette il magro lusso d'un illuminazione elettrica intermittente secondo la magra o la piena delle fiumane; tutti o quasi tutti son forniti di fognature ed acqua potabile; Petralia Sottana è una piccola città industriosa, dove strepita un grande mulino idraulico fabbricato secondo tutte le regole dell'arte, che fornisce paste e farine a tutta la popolazione del circuito.
Vera miseria non c'è dacché l'emigrazione ha rialzato automaticamente il salario dell'artigiano a tre lire e cinquanta e quello contadino a quasi due lire. Nelle montagne che s'alzano sulla strada c'è ancora qualche lupo, ma non ci sono più briganti da un pezzo. La stessa oscurità dei nomi che vi son passati sotto gli occhi è un ottimo indizio dell'indole di questa brava gente - contadini dal mento centurionesco e borghesi dal labbro saraceno - anime cortesi e miti, cervelli acuti e saggi, che tollerano ancora le sfuriate dei padroni, non invidiano la celebrità di Castelluzzo, non desiderano le visite dell'onorevole Todeschini, non scannano i cappelli e non danno grattacapi alla prefettura. Si può dire che anche i crimini privati vi sono pressocché sconosciuti: l'uomo di marina, il mafioso tracotante e amico dei fatti coi pantaloni larghi e il berretto a sghembo è tenuto in orrore da questi montanari, i quali, se qualche volta rubano, rubano un paniere di fichi e una pollastra.

Il passaggio di una vettura sul circuito della Targa Florio.
L'immagine è tratta dal I volume dell'opera "Sicilia"
edita da Sansoni-Istituto Geografico De Agostini

Col che non si vuol dire che queste forre siano un ignorato Eden di civiltà; la civiltà è tardigrada quassù, e lontana dodici ore di diligenza, che tante ce ne vogliono dalla stazione di Cerda a Petralia Soprana. E che diligenza! un quid medium fra una grande trappola di topi e una gigantesca scatola di fiammiferi, gialla canarino all'esterno e verdeggiante all'interno del velluto smesso dai vagoni ferroviari, fornita di certi finestrini di legno con due bucherelli vetrati e regolarmente incrinati, dai quali permea certa luce che non basterebbe a un ergastolano e certi riscontri che basterebbero a fare un guaio nei polmoni a padre Agostino. Non ci manca, per far l'opera completa, altro che una targhetta la quale avvisi a caratteri cubitali esserci là dentro posto per dodici persone, quegli ingenui passeggeri i quali a occhio e croce giudicano che ci vanno appena sei ragazzi.
Dicono che la corsa primaverile abbia a preludere a un servizio pubblico di automobili, di cui lo stesso Florio si farà iniziatore. Veramente questa buona gente è affezionata, in fondo all'anima, a un certo suo progetto ferroviario d'antica data e d'indefinita scadenza; ma, alla peggio, si contenterebbero dei teuff-teuff, sebbene non li conoscano che di fama, e, per giunta, di cattiva fama.
I baroni di quassù non han soldi da sperperare in macchine pericolose, e preferiscono dondolarsi alla meglio sopra un mansueto cavallo bastardo o, anche meglio, sopra una cavalla, che cumula la virtù di fare una bella figura tra i campieri e di partorire i puledri che poi si vendono. Un certo signore volle una volta profanare il sacro silenzio di queste vie, percorrendole in una vetturetta; ma dovè tante volte tornare a Palermo per riparare le più bizzarre e incredibili panne, che toccò la meta della sua impresa dopo circa una settimana, mentre la diligenza, come vi dicevo, ci mette solo dodici ore. E i montanari aspettano con grand'ansia la primavera per persuadersi che le macchine vanno davvero più leste della corriera postale".        

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