Le immagini riproposte in questo post furono scattate nel 1949 a Sciacca sul set del film "In nome della legge", diretto dal regista genovese Pietro Germi; ReportageSicilia le ha rintracciate nel volume "Mediterranea, Almanacco di Sicilia 1949, Industrie Riunite Editoriali Siciliane".
Una fotografia di scena del film "In nome della legge", girato a Sciacca nel 1949 e diretto dal regista genovese Pietro Germi. ReportageSicilia ripropone nel post alcuni scatti realizzati durante i set ed in origine pubblicate nell'opera "Mediterranea, Almanacco di Sicilia 1949", edito Industrie Riunite Editoriali Siciliane |
Le immagini riproposte in questo post furono scattate nel 1949 a Sciacca sul set del film "In nome della legge", diretto dal regista genovese Pietro Germi; ReportageSicilia le ha rintracciate nel volume "Mediterranea, Almanacco di Sicilia 1949, Industrie Riunite Editoriali Siciliane".
Tratto dal romanzo "Piccola pretura", scritto un anno prima dal magistrato palermitano Giuseppe Guido Loschiavo, il film ebbe come protagonisti gli attori Massimo Girotti - reduce dal successo di "Ossessioni" e qui interprete del pretore Schiavi - Charles Vanel e Camillo Mastrocinque.
Pietro Germi dietro la cinepresa. "In nome della legge", tratto dal romanzo "Piccola pretura" del magistrato palermitano Giuseppe Guido Lo Schiavo, fu il primo dei numerosi film realizzati nell'isola dal regista ligure |
La vicenda si impernia sulla figura di un giovane pretore inviato in servizio nel piccolo centro di Capodarso dominato dagli interessi del mafioso Passalacqua e dei notabili della zona, in un assoluto clima di omertà.
Germi completò la sceneggiatura di "In nome della legge" nell'agosto del 1948, avvalendosi della collaborazione di Federico Fellini; quindi partì per la Sicilia alla ricerca dei luoghi dove ambientare il film, scegliendo infine la cittadina agrigentina.
Scena d'ambiente a Sciacca |
Secondo quanto scritto dal giornalista palermitano Franz Maria D'Asaro, il regista - che alle spalle aveva soltanto due lungometraggi, "Il testimone" e "Gioventù perduta" - era sbarcato nell'isola senza grandi entusiasmi, "senza una spinta, senza una emozione, diciamo pure in malafede".
Altra foto di scena, nel paesaggio siciliano a suo tempo descritto da Germi come "miracolosamente sopravvissuto, dove in tutto c'è il senso della tragedia" |
"Sembra ancora di sentirlo - si legge nel saggio di D'Asaro intitolato "C'era una volta la Sicilia", edito da Thule nel 1979 - stupito con se stesso nello scoprirsi così pieno di emozioni, così fragile, così bisognoso - lui taciturno genovese - di abbandonarsi alla voluttà di confidare il suo amore per una Sicilia che non aveva immaginato tanto ammaliatrice.
Massimo Girotti - sopra e sotto - protagonista del film nella parte del pretore Schiavi. L'attore marchigiano era reduce dal successo nel film "Ossessioni" |
Un paese di frontiera al confine di tre mondi: la Grecia, l'Africa, l'Europa.
Uno scenario miracolosamente sopravvissuto, dove in tutto c'è il senso della tragedia, del mistero, dell'avventura. e il valore evocativo dei nomi, arabi e spagnoli, dei paesi siciliani: Agira, Lercara Friddi, Agrigento, Misilmeri, Favara...
Ora, pensando al film, c'è un'emozione che mi sollecita qualcosa che mi canta dentro".
Negli anni successivi, l'isola avrebbe ospitato altre cinque volte il regista ligure, circostanza che avrebbe dato un'impronta determinante alla sua produzione cinematografica.
Il rapporto di Germi con la Sicilia avrebbe segnato anche le vicende personali, complice il sofferto rapporto con un'attrice catanese oggi ricordata come una sfortunata meteora del cinema italiano: Daniela Rocca, nota per la sua straordinaria interpretazione della moglie di Fefè ( Marcello Mastroianni ) in "Divorzio all'italiana", diretto dallo stesso Germi.
Charles Vanel, l'attore francese che interpretò il ruolo del mafioso Passalacqua |
"In nome della legge" venne accolto subito positivamente dalla critica.
Su "L'Unità", ad esempio, il giornalista Gianni Puccini scrisse all'epoca che il film "è un ritratto fedele, documentato e drammatico della Sicilia: la Sicilia dell'interno, che si raggiunge a fatica per mezzo di una ferrovia stentata e antiquata, e di una sgangherata corriera che traballa su strade polverose e scabre, in mezzo ad un paesaggio disperato, bombardato dal sole pieno; e dove una società contorta e primitiva languisce in un medioevo sanguinoso e immobile".
Simili giudizi e la stessa produzione del film mobilitarono invece l'indignazione di una buona parte della politica siciliana, miope se non connivente con la mafia: i deputati democristiani Giovan Battista Adonnino - avvocato licatese - e Filadelfio Caroniti - messinese di San Fratello - presentarono addirittura una interrogazione parlamentare nella quale "Il nome della legge" veniva giudicato "immondo, bugiardo e calunnioso".
I due politici, dando prova di una retorica anacronistica ed ipocrita, affermarono che il film "getta discredito sulle autorità statali e sulla civiltà millenaria della Sicilia".
Pietro Germi respinse queste accuse, spiegando di avere cercato di mettere in luce "alcune caratteristiche della struttura sociale siciliana: il feudalesimo dominante, la miseria dei lavoratori, la mafia al servizio dei baroni".
Nel 1963, nel saggio intitolato "La Sicilia nel cinema", Leonardo Sciascia avrebbe così giudicato "In nome della legge", partendo dal romanzo ispiratore ed aggiungendo una notazione di natura ideologica riguardante l'intera opera di Germi:
" Il Loschiavo, magistrato, partecipa di un'opinione sulla mafia piuttosto diffusa nella classe colta siciliana, la mafia come forza ex lege ma con profonda aspirazione alla legge, alla giustizia, e dunque disponibile per una trasmutazione in forza d'ordine; Germi, trovandosi di fronte ad un'interpretazione della mafia come quella del Loschiavo o, più esattamente, a una materia narrativa improntata a un sostanziale ottimismo e nei riguardi dell'uomo in generale e della mafia in particolare, veniva a scoprire che il West il cinema italiano lo aveva in casa, a portata di mano; che la mafia, tutto sommato, e la Sicilia del feudo, potevano essere assunte nei moduli del western: con personaggi un pò fuori della legge ma pronti a rientrarvi, il buon pretore al posto del buon sceriffo, la plaga del feudo in luogo delle selvagge solitudini dell'ovest..."
"...Germi, socialdemocratico in politica, è nell'arte incline ad un ottimismo in cui individuali rivoluzioni sentimentali vengono a surrogare e ad elidere istanze rivoluzionarie collettive.
Come Frank Capra rispetto al new deal, egli ha fede nella nuova democrazia italiana, nei governi con l'onorevole Saragat alla vicepresidenza: che, è vero, non tirano fuori niente di simile al new deal, ma comunque consentono compromissioni tra la bontà e la legge, tra i bisogni e la speranza...".
"... La scoperta della Sicilia da parte di Germi equivale alla scoperta di una frontiera nella storia nazionale, una specie di frontiera americana nella storia d'Italia: e diciamo nel senso che la nozione di frontiera ha assunto passando in America dalla storia, e dalla teoria storica, al cinema: un mondo, cioè, di sentimenti primordiali che esprime e costituisce da sé la legge e che a suo modo, nella speranza, cammina verso la Costituzione.
Nobilissimo intendimento, e non del tutto astratto: solo che i problemi della Sicilia nella storia d'Italia hanno diversa articolazione...".
Pietro Germi respinse queste accuse, spiegando di avere cercato di mettere in luce "alcune caratteristiche della struttura sociale siciliana: il feudalesimo dominante, la miseria dei lavoratori, la mafia al servizio dei baroni".
Nel 1963, nel saggio intitolato "La Sicilia nel cinema", Leonardo Sciascia avrebbe così giudicato "In nome della legge", partendo dal romanzo ispiratore ed aggiungendo una notazione di natura ideologica riguardante l'intera opera di Germi:
" Il Loschiavo, magistrato, partecipa di un'opinione sulla mafia piuttosto diffusa nella classe colta siciliana, la mafia come forza ex lege ma con profonda aspirazione alla legge, alla giustizia, e dunque disponibile per una trasmutazione in forza d'ordine; Germi, trovandosi di fronte ad un'interpretazione della mafia come quella del Loschiavo o, più esattamente, a una materia narrativa improntata a un sostanziale ottimismo e nei riguardi dell'uomo in generale e della mafia in particolare, veniva a scoprire che il West il cinema italiano lo aveva in casa, a portata di mano; che la mafia, tutto sommato, e la Sicilia del feudo, potevano essere assunte nei moduli del western: con personaggi un pò fuori della legge ma pronti a rientrarvi, il buon pretore al posto del buon sceriffo, la plaga del feudo in luogo delle selvagge solitudini dell'ovest..."
"...Germi, socialdemocratico in politica, è nell'arte incline ad un ottimismo in cui individuali rivoluzioni sentimentali vengono a surrogare e ad elidere istanze rivoluzionarie collettive.
Come Frank Capra rispetto al new deal, egli ha fede nella nuova democrazia italiana, nei governi con l'onorevole Saragat alla vicepresidenza: che, è vero, non tirano fuori niente di simile al new deal, ma comunque consentono compromissioni tra la bontà e la legge, tra i bisogni e la speranza...".
"... La scoperta della Sicilia da parte di Germi equivale alla scoperta di una frontiera nella storia nazionale, una specie di frontiera americana nella storia d'Italia: e diciamo nel senso che la nozione di frontiera ha assunto passando in America dalla storia, e dalla teoria storica, al cinema: un mondo, cioè, di sentimenti primordiali che esprime e costituisce da sé la legge e che a suo modo, nella speranza, cammina verso la Costituzione.
Nobilissimo intendimento, e non del tutto astratto: solo che i problemi della Sicilia nella storia d'Italia hanno diversa articolazione...".
Una locandina del film. L'immagine è tratta da siciliafilm.wordpress.com |
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