giovedì 28 novembre 2013

FASCEDDI, ZIMMILI E FIRRIZZI: L'ARTE DEI CANNISTRARI

L'arte dei "cannistrari" in un'assolata
scalinata nel centro storico di Monreale.
La fotografia è attribuita a Publifoto
ed è tratta dal I volume dell'opera
"Sicilia", edita nel 1962 da Sansoni e
dall'Istituto Geografico De Agostini

Un tempo in vendita nelle fiere paesane, da molti anni ormai fanno parte di quel genere di oggetti di uso agricolo e pastorale rintracciabili nei mercatini antiquari o nei ripostigli delle vecchie case rurali.
"Firrizzi", "panari", "cartedde", "coffe", "cavagne", "cufini", "zimmili" e "fasceddi" raccontano il lavoro artigianale un tempo assicurato in Sicilia dall'abilità dei "cannistrari", capaci di creare cesti, canestri e panieri di diverse fogge utilizzando giunco, vimini e canna.

Sopra e sotto, diversi esemplari
di cesti e cestini monrealesi
realizzati in giunco e canne.
Queste fotografie sono state
realizzate da Arno Hammacher
e pubblicate nel 1966 nel saggio
"Repertorio dell'artigianato siciliano",
edito da Salvatore Sciascia 



"Tra i diversi tipi - ricordava nel 1966 il saggio "Repertorio dell'artigianato siciliano", edito da Salvatore Sciascia per l'Unione delle Camere di Commercio, Industria ed Agricoltura della Regione Siciliana, con prefazione di Vittorio Fagone - sono particolarmente usati i 'cufini', di grandi dimensioni ( talvolta alti sino ad un metro e mezzo ), costituiti di canna e giunco intrecciati; le 'cartedde', canestri di proporzioni relativamente ridotte che hanno il fondo e i manici in giunco, ma spesso anche tutto il corpo; i 'panari', panieri di giunco, canna e vimini di forme assai varie a seconda della destinazione; così quelli usati per il trasporto del pesce hanno il fondo molto piatto e un manico alto, mentre sono piccoli e profondi in proporzione quelli destinati alla conservazione della frutta.

Le "fasceddi" erano costruite
in diverse dimensioni
ed erano utilizzate dai pastori
nella preparazione delle forme
di formaggio e di ricotta.
Nella fotografia che segue,
il rivestimento di una
bottiglia



La fabbricazione di cesti è attività diffusa in tutta l'isola; però nella Sicilia occidentale sono apprezzati i cesti prodotti a Monreale: qui ogni settimana vengono commerciati.
Ancora ai 'cannistrari' si deve la fabbricazione di piccoli cestini di giunco fittamente intrecciato, 'fasceddi' a corpo stretto e profondo, in genere destinati alla preparazione di ricotte e formaggi.

Il "firrizzu", uno sgabello
diffuso soprattutto fra i pastori
messinesi dei Peloritani e dei Nebrodi.
Sotto, cestini di raffia
prodotti nel ragusano



Nella zona orientale dell'isola questi recipienti, di forma più sottile sono invece di canna legata con sagina; sono confezionati dagli stessi pastori e vengono chiamati 'cavagne'.
I pastori, soprattutto nelle montagne dei Peloritani e dei Nebrodi, usano un tipico sgabello che essi stessi costruiscono: il 'firrizzu' o firrizzo, fabbricato di verghe di ferula intrecciate con virgulti di salice; lo sgabello risulta robusto e nello stesso tempo leggero e facile da trasportare ed è oggi realizzato anche dai cestinai.

Altre forme per la preparazione
di prodotti caseari

Altri tipi particolari di cesti, ottenuti dall'intreccio delle foglie della palma nana nota in Sicilia come 'giummara', sono impiegati per fornire la biada agli animali da soma e da traino quando essi si trovino lontani dalle stalle; questi cesti di forma semicircolare con due manici sono chiamati 'coffe'.

"Bottaccini" di Siracusa,
utilizzati per conservare
vini di pregio

Dello stesso materiale sono costituiti i 'zimmili', cesti di profondità sino ad un metro e venti, che vengono usati per il trasporto di materiale agricolo ( paglia, concime etc. ).
Le coffe impiegate per i cavalli dei carretti - conclude il "Repertorio dell'Artigianato Siciliano" - sono spesso decorate con nastri, galloni e cianciane", in ossequio al decorativismo che ha sempre distinto il lavoro degli artigiani dell'isola.


martedì 26 novembre 2013

DANNAZIONE E MERAVIGLIA DI UN ATTERRAGGIO IN SICILIA

Il golfo di Palermo, da Capo Zafferano
al rilievo del Monte Pellegrino.
La fotografia è stata scattata
dal finestrino di un Airbus
ed è firmata da ReportageSicilia

"Fra pochi minuti cominceremo la nostra discesa su Palermo, dove il tempo è nuvoloso e la temperatura è di 12 gradi...".
Il volo da Roma-Fiumicino era stato fin allora immerso nella lettura dell'articolo del "Corriere della Sera" dedicato all'ultimo saggio di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, "Paradiso dannato: l'incredibile saccheggio del Sud"
Il libro snocciola numeri ed episodi dell'inettitudine siciliana in materia di gestione del bene pubblico, sottolineando incredibili sprechi ed abusi compiuti nell'isola: fondi europei elargiti a pioggia a titolari di negozi ed attività private, tassi altissimi di povertà dei nuclei familiari, incapacità di sfruttare le potenzialità turistiche - in confronto con le Baleari, le presenze nell'isola sono meno di un decimo - e la solita pletora di benefici economici a favore dei magnifici 90 deputati della Regione. 
La rabbia provocata dalla lettura dell'articolo per un attimo viene distolta dalla comunicazione del pilota e l'istinto mi porta a guardare dal finestrino. 
Un nuovo sentimento - l'emozione per la bellezza di ciò che sta laggiù - mi spinge a rovistare dentro lo zaino, impugnare la macchina fotografica e scattare l'immagine che apre questo post: il golfo di Palermo in una mattinata di nere nuvole squarciate da violenti fendenti di luce.
Mentre la signora giapponese che siede a fianco sorride silenziosamente del mio impeto fotografico, ripiego il "Corriere" e continuo a godermi la visione del mare di punta Raisi, denso e compatto come lo strato iniziale di un barattolo di marmellata.
L'Airbus compie ormai una lenta virata per allinearsi alla pista, ed è allora che mi accorgo di quello spettacolare arcobaleno che unisce il cielo ed il mare.

L'arcobaleno a punta Raisi
dall'interno dell'Airbus.
La fotografia
è di ReportageSicilia

Cerco nuovamente la macchina fotografica all'interno dello zaino ed è così che ReportageSicilia vi propone la seconda immagine di un viaggio aereo vissuto fra le rabbia per l'articolo del "Corriere" sullo sfascio dell'isola e l'emozione quasi infantile provocata dal suo straordinario paesaggio: una perfetta applicazione del teorema che vuole la Sicilia incapace di liberare il meraviglioso dalla convivenza con l'orribile.
Per un attimo, prima di abbandonare l'Airbus, penso di dovere spiegare tutto questo alla signora giapponese; ma lei, sollevandomi dall'incombenza, già mi saluta con un leggero inchino e con il dito puntato verso un finestrino sussurra: "wonderful!".   
  

SICILIANDO














"Un fatto mi ha colpito nei siciliani, specialmente i migliori: che essendo uomini di parte, credono nella bellezza, e ne fanno una fede; e questo appunto accresce la drammaticità dei caratteri"
Guido Piovene 

domenica 24 novembre 2013

SORPRENDENTI E TORTUOSE STRADE DI SICILIA

I sinuosi e ripidi tornanti
che si snodano sui contrafforti
dei Peloritani
fra capo Sant'Alessio
e Forza D'Agrò.
La fotografia è di Josip Ciganovic
ed è tratta dal saggio "Sicilia"
di Aldo Pecora, edito da UTET nel 1974

"Le strade di Sicilia sono lente e tortuose. Si adagiano a spirali, come serpenti in letargo, su per le montagne; nere di morbido asfalto sotto il sole, prendono l'impronta di chi vi passa e la conservano a lungo come una memoria del tempo".



Così nel maggio del 1956 il giornalista Beppe Fazio descrisse sulla rivista "Civilità delle macchine" le strade dell'isola, anticipando di un trentennio certa ispirazione letteraria presente nelle pagine americane di "Strade Blu" di William Least Heat-Moon.
Fazio scriveva in tempi in cui viaggiare in automobile era ancora in Sicilia un affare affidato alle carte stradali ed ai cartelli indicatori, lungo vecchie strade statali e provinciali.


Strada fra
 San Vito Lo Capo ed Erice.
L'immagine di Ezio Quiresi
 è tratta dal II volume
dell'opera "Sicilia" edita nel 1962
da Sansoni
e dall'Istituto Geografico De Agostini


Gregge di pecore
lungo una strada bianca
fra Piana degli Albanesi
e la strada statale 118.
La fotografia
è di Oliviero Toscani
e venne pubblicata
sulla rivista "Le Vie d'italia"
nell'ottobre del 1964



Le autostrade Palermo-Catania e Palermo-Mazara del Vallo erano ancora allo stato progettuale, ed un viaggio da un capo all'altro dell'isola poteva rappresentare un'esperienza ricca di sorprese e di inaspettati incontri con i tanti paesaggi dell'isola.
Ancora ai nostri giorni, il reticolo viario costiero ed interno della Sicilia ricalca le antiche strade romane che collegavano Palermo sino alla valle dell'Eleutero, quelle del San Leonardo e del Torto, le pendici sudoccidentali delle Madonie fino al passo dell'Ogliaro - tra Vallelunga e Santa Caterina Villarmosa - e, da qui, attraverso le valli del Belice e del Salso, verso Enna.


Il golfo di Patti e Capo Calavà
dalle mura greche di Tindari.
Lo scatto è di Josip Ciganovic
ed è tratto dal I volume dell'opera
"Sicilia" edita nel 1962 da Sansoni
e dall'Istituto Geografico De Agostini




Sulla strada verso Ganci.
La fotografia è firmata
"Foto Stefani" ed è tratta
dal I volume
del saggio "Sicilia"
edito nel 1962 da Sansoni
 e dall'Istituto Geografico
De Agostini



"Da lì - scriveva nel 1974 il geografo Aldo Pecora nell'opera "Sicilia" edita da UTET - la strada divallava nella valle del Dittaino, ma solo per breve tratto, e risaliva per le ultime, più meridionali groppe nebrodensi fino ad Agira e Regalbuto, inoltrandosi nella valle del Salso e oltrepassandolo poco a monte della sua confluenza con il Simeto, spingendosi sulle falde occidentali dell'Etna ad Adrano, e seguendo poi la base del vulcano fino a Catania: e da qui tendeva a Nord lungo la fascia litoranea, finendo a Messina, sullo Stretto".

L'Etna ed il mar Ionio
dalla strada litoranea
che corre tra
Catania e Siracusa.
La fotografia
è di Livia Velasco
ed è tratta dalla rivista del TCI
"Le Vie d'Italia" del novembre 1965


La strada di collegamento
fra Catania e Siracusa
nei pressi degli impianti petrolchimici
di Augusta.
La fotografia è
attribuita a Publifoto
ed è tratta dal II volume
dell'opera "Sicilia",
edita nel 1962 da Sansoni e dall'Istituto
Geografico De Agostini




Nel saggio "Viabilità e topografia della Sicilia antica", edito a Caltanissetta nel 2006, Luigi Santagati riferisce che nel 1778 il Parlamento siciliano deliberò la costruzione di otto nuove strade carrabili provviste di ponti e destinate a collegare il Val di Mazara, il Val Demone ed il Val di Noto.
Ben sei di queste strade partivano da Palermo, e nel 1824 - a conferma della storica lentezza siciliana delle opere pubbliche - risultavano compiuti solo alcuni brevi tratti dei collegamenti marini e montani fra il capoluogo dell'isola e Messina; il resto della viabilità era rappresentato dalle strade che collegavano ancora Palermo a Carini e Favarotta, a Monreale ed Alcamo, a Mezzojuso e Villarosa, a Piana degli Albanesi ed a Termini Imerese.


La strada che da Francavilla
conduce a Novara di Sicilia.
La fotografia di Josip Ciganovic
 è tratta dal II volume

 dall'opera "Sicilia"
edita nel 1962 da Sansoni
e dall'Istituto Geografico De Agostini


Strada ad Agrigento.
La fotografia è attribuita a Publifoto
ed è tratta dal I volume dell'opera
"Sicilia", edita nel 1962
da Sansoni e dall'Istituto Geografico
De Agostini





Dopo l'unità d'Italia, malgrado la scarsa conoscenza topografico del territorio e l'assenza di una strategia di sviluppo economico e sociale dell'isola, la viabilità raggiunse i 2.468 chilometri, che salirono a 7.781 nel 1910, a 8.619 nel 1951 ed a 17.478 nel 1969.
Lungo la strada
che conduce a Cava d'Ispica.
La fotografia
è attribuita ad Alario
e venne pubblicata
nel II volume dell'opera
"Sicilia", edita nel 1962
da Sansoni e dall'Istituto
Geografico De Agostini



Nel 1919 la prima Guida Rossa siciliana del TCI, nel capitolo "Avvertenze e informazioni", così giudicava la condizione del primo dopoguerra:
"La strade sono in generale discrete, di rado molto buone, spesso cattive. E' specialmente nella stagione estiva avanzata che si accentuano i difetti dovuti alla siccità prolungata. 
Vi sono zone in prossimità delle zolfare ove le strade sono semi impraticabili. Qualche rara tratta, come la Catania-Ponte Primo Sole, ha una giusta fama di orrenda.


Una strada nell'ondulato
paesaggio agricolo
dei monti Erei.
La fotografia di Josip Ciganovic
è tratta dal II volume dell'opera
"Sicilia", edita nel 1962 da Sansoni
e dall'Istituto Geografico
De Agostini


Strada etnea, in una fotografia
senza attribuzione
pubblicata nel settembre del 1955
dalla rivista del TCI
"Le Vie d'Italia"



Nei dintorni di Palermo chi scrive trovò la strada, da Ficarazzi in poi, in condizioni tali da dover scendere dall'auto e percorrerla a piedi. 
Tutto sommato però, l'automobilista non ha motivo di preoccuparsi in modo particolare delle strade sicule, le quali sono abbastanza soddisfacenti; vi è visibile lo sforzo per migliorarle, specie a motivo della diffusione dei servizi pubblici d'auto...".
La costruzione delle autostrade - la Palermo-Catania, la Palermo-Mazara del Vallo ed il lunghissimo completamento della Palermo-Messina - hanno segnato le cronache della storia isolana tra la fine degli anni Sessanta ed il 2004.
Se da un lato i collegamenti stradali hanno beneficiato di una diminuzione dei tempi di percorrenza, queste opere viarie hanno alimentato purtroppo il malaffare mafioso ed inciso a volte pesantemente sul paesaggio e sull'ambiente.


Strada nelle campagne di Corleone.
La fotografia
di Oliviero Toscani
è tratta dalla rivista del TCI
"Le Vie d'Italia"
dell'ottobre del 1964



Chi voglia percorrere la Sicilia in viaggio per scoprirla e capirla, del resto, può ridurre allo stretto necessario la percorrenza della A19 e della A20.
Disattivando GPS e navigatore, con l'aiuto di una dettagliata carta stradale, può percorrere ancor oggi le strade statali, le provinciali e le 'bianche' proprio alla maniera americana di William Least Heat-Moon.


Strada lungo la marina
di Giardini-Naxos
che conduce da Messina a Catania.
La fotografia
è attribuita a
"Fot.B.Stefani" ed è tratta
dalla rivista del TCI
"Le Vie d'Italia"
dell'aprile del 1953



"Chi vuole visitare l'isola per conoscerla - scriveva Fabrizio Lusardi nell'ottobre del 1964 nel reportage "Strade di Sicilia" ( "Le Vie d'Italia", TCI ) - ne percorra pazientemente le magnifiche strade, soprattutto le meno importanti e le più nascoste: riuscirà certamente a capirla, certamente ad amarla. 
Sono, con poche varianti, le stesse strade che Garibaldi corse da Marsala a Calatafimi a Palermo a Milazzo a Messina e lungo le quali i picciotti affluirono, a moltiplicare le fila dei Mille... Il primo e più frequente scomodo di chi percorre oggi in automobile quelle strade... è di acquistare la misura giusta per inserirsi nella diversa dimensione del traffico.


La statale 113
lungo la costa messinese
nei pressi di San Gregorio.
La fotografia
è tratta dal volume
"Sicilia", edito nel 1973
da Edizioni Fotorapidacolor



E questo è anche il primo godimento supplementare del turista avvertito: la conquista di un nuovo ritmo di viaggio e quindi di vita, specificatamente siciliano, che agevolerà la scoperta e la comprensione di tanti aspetti della realtà della grande isola...
Ad eccezione di alcuni tratti rinnovati delle due statali costiere - la 113, che va da Palermo a Messina, e la 114 che unisce Messina a Siracusa passando da Catania - le strade siciliane sembrano strette e tortuose all'automobilista venuto dal continente; e anche chi è avvezzo ai tracciati della Calabria, della Lucania e in genere del Meridione può restare principio sorpreso dall'infinito succedersi di curve e contro curve, dal continuo saliscendi...


Le ultime tre fotografie
del post ripropongono ancora
immagini di Oliviero Toscani
tratte dalla rivista del TCI
"Le Vie d'Italia" dell'ottobre del 1964.
Ritraggono la strada panoramica
di monte Pellegrino, a Palermo,
la 118 che conduce a Corleone
e quella agrigentina tracciata
lungo la Valle dei Templi






Attraversatene più che potete, di questi bellissimi paesi siciliani sulle montagne dell'interno. 
Anche dove esiste una circonvallazione - ma sono pochissime - evitatela. Lasciate la macchina sulla piazza o lungo il corso, un posto lo si trova sempre, e girate a piedi, senza fretta, senza meta. L'aspetto varierà sempre, secondo il giorno, l'ora e la stagione; ma le sorprese più liete, gli incontri più vivi li avrete qui.
Perché qui, veramente, c'è l'anima della Sicilia...".
Nel post, ReportageSicilia ripropone alcune fotografie di strade siciliane che risalgono più o meno agli anni del reportage di Lusardi. 
Molti di questi scatti provengono dall'opera "Sicilia", edita nel 1962 da Sansoni e dall'Istituto Geografico De Agostini, e si devono alla mano di Josip Ciganovic, il fotografo serbo più volte citato da questo blog.




In queste immagini, Ciganovic dimostra di avere viaggiato in Sicilia battendone a bordo di una fascinosa MG le strade meno scontate, e con risultati preziosi da un punto di vista documentario.   
Mezzo secolo di distanza temporale nulla ha tolto alla sorpresa ed alla conoscenza regalati da quel modo di percorrere l'isola , lontano dagli imbuti autostradali d'asfalto.
Così, da una curva improvvisa o dal margine di un tornante la visione improvvisa di una vallata o di un promontorio marino, la scoperta di un borgo arroccato o di solitari uomini su uno sconfinato paesaggio, rivelano ancor oggi più di mille "guide" l'identità dell'isola. 


Il foglio 11
della carta stradale d'Italia
edita dalla Consociazione
Turistica Italiana ( TCI ) nel 1920.
Il foglio è dedicato alla Sicilia e da
questa carta stradale
Reportage Sicilia
ha tratto le immagini
che corredano il post


    
  

  

martedì 19 novembre 2013

LE ARANCE, STORIA DOLCE E AMARA DELL'ISOLA

L'"aranciaia", disegno a pastello dell'artista
palermitano Luigi Di Giovanni (1856-1938 ).
In questi giorni nell'isola
i mercati tornano ad offrire
una grande varietà di questi agrumi.
L'immagine è tratta dall'opera
"Natale e Capo d'Anno
dell'Illustrazione Italiana,
la Sicilia e la Conca d'Oro",
edita nel 1909 dai Fratelli Treves Milano

Da qualche settimana ormai in Sicilia le arance - le agrigentine "riberelle", le ovali della valle del Torto e del siracusano, le tarocco, le sanguinelle e le moro catanesi - sono tornate a riempire mercati e negozi di frutta.
Il loro costo è alla portata di tutte le tasche ed i benefici sono talmente noti da essere da anni oggetto delle campagne di promozione di associazioni mediche. Nel suo ultimo saggio intitolato "Conca d'oro" ( Sellerio, 2012 ) Giuseppe Barbera fornisce numerose e spesso sorprendenti indicazioni sulla storia delle coltivazioni agricole a Palermo.
Apprendiamo così che la prima varietà di agrumi ad essere introdotta in Sicilia fu quella dei cedri e che nei pressi del palazzo normanno della Cuba crescevano aranci amari che i palermitani di allora chiamavano "arangia": la loro presenza in città sarebbe stata segnalata per la prima volta nel 1094. 
"E' in un giardino alla Guadagna, nel 1487 - scrive Barbera - che si registra una presenza eccezionale: 'arangis dulcibus', che darebbero alla Conca d'Oro il primato della coltivazione dell'arancio dolce nel Mediterraneo, cinquant'anni prima di quella che comunemente si ritiene essere l'epoca dell'introduzione a opera dei portoghesi".
Nel secolo XIX, le arance e gli agrumi isolani hanno conosciuto la loro maggiore diffusione sui mercati internazionali, anche per la scoperta delle loro proprietà mediche nella cura dello scorbuto.
"Le 'melarance' dirette nell'Italia settentrionale - si legge in "I prodotti dell'Isola del Sole', di Ettore Costanzo e Mario Liberto, edito dalla Regione Siciliana nel 2001 - venivano messe nelle casse 'tipo Genova', quelle dirette in Inghilterra e nel Nord Europa nelle 'casse inglesi' ed ancora quelle dirette oltre oceano nelle casse 'tipo America'. Anche le scorze. le essenze e il succo ( agrocotto ) degli agrumi erano oggetto di esportazione".

Raccolta di arance
nelle campagne palermitane.
La fotografia è tratta dal I volume
dell'opera "Sicilia",
edita nel 1962 da Sansoni e
dall'Istituto Geografico De Agostini

Scrittori e poeti e hanno nei secoli scritto delle arance, mentre disegnatori e pittori ne hanno fatto oggetto di opere che rimandano subito ad un'immagine oggi oleografica della Sicilia.
A quest'ultima categoria di artisti appartiene il palermitano Luigi Di Giovanni ( 1856-1938 ), osservatore del mondo popolare e contadino del suo tempo e del quale ReportageSicilia ripropone un disegno a pastello che ritrae un'aranciaia.
Una perfetta lettura della storia palermitani di questi agrumi si deve infine ancora alla scrittura di Giuseppe Barbera.
"Le lodi dei poeti siciliani di lingua araba - si legge in "Conca d'oro" - rimangono insuperabili nell'esprimere il valore loro assegnato: le arance sono guance dei rami, stelle degli alberi, sfere lucenti, fuoco ardente su rami di smeraldo, seni di belle ragazze e il limone che matura alla Favara "pare avere il pallore di un'amante, che ha passato la notte dolendosi per l'angoscia della lontananza".
Sono gli alberi che forniranno eterna identità estetica alla Conca d'oro, alla città 'sdraiata in una lussuria di giardini', gli ultimi ad arrendersi al 'crollo della sua umana civilità, scriveranno il garibaldino Giuseppe Cesare Abba e Vincenzo Consolo...".