"Si sporgono nella luce implacabile dell'isola i mascheroni pensierosi sbigottiti e grotteschi, quasi sempre pieni di caratteri come ritratti o caricature, così intensi da tramutare in occasioni meravigliose la continua emulazione dei committenti e delle maestranze, ed in esigenze spontanee di un'arte metafisica l'aridità stessa della materia ( sembrano pianeti privi d'acqua ).
Si cerca il particolare, e gli si dà grande valore: a Ragusa come a Noto a Scicli a Siracusa, in tutta l'isola, e massimamente a Catania durante la fioritura dell'arte barocca etnea".
Con questa prosa tortuosa ( verrebbe da scrivere, "barocca" ), lo storico Massimo Ganci definì la ricchissima decorazione lapidea di balconi e facciate dell'architettura siciliana del Seicento nella parte orientale dell'isola.
Ganci affidò le sue considerazioni all'opera "Libro Siciliano" edito da S.F.Flaccovio nel 1970; vale a dire, in un periodo in cui - notava allora lo storico - "accade spesso di sentir dire che il barocco siciliano è di moda: e può veramente esser considerato una scoperta di questi ultimi anni", con riferimento soprattutto al saggio di Anthony Blunt "Barocco Siciliano", pubblicato nel 1968.
"I balconi - continua Massimo Ganci - riacquistano e confermano le analogie esistenti nel XVIII secolo, fra la decorazione scultorea della Sicilia ionica e la scultura decorativa della penisola Salentina, di Lecce in particolare.
Converrà studiare le rotte mercantili e militari e la navigazione minore del Sei e del Settecento, la cronaca degli spostamenti di famiglie di artigiani lungo le coste ioniche e tirreniche: si avranno molte notizie illuminanti e qualche piacevole sorpresa.
Mascheroni, capitelli strani, telamoni grandi e piccoli ( nella città di Palermo sono giganteschi quelli che sorreggono la cupola del Carmine nuovo, maiolicata e lucente come una pisside ), cornucopie, festoni, fogliami d'ogni sorta fanno una ressa tale da lasciare scoperto il sedimento simbolico e magico anti rinascimentale...".
Molti anni dopo le riflessioni di Massimo Ganci, lo storico dell'arte Cesare Brandi avrebbe così suggerito la funzione immaginifica dei mensoloni di Noto: "soffittano il cielo, per così dire, o per meglio dire - si legge in "Sicilia mia ( Sellerio, 1989 ) - riquadrano l'unica apertura libera, suggeriscono travature invisibili da un lato all'altro della strada per convincerla nella spazialità d'interno che la compete...".
Nessun commento:
Posta un commento