mercoledì 17 settembre 2014

GLI ZAMPILLI ISLAMICI DI MONREALE

Nel 1952 l'orientalista Francesco Gabrieli descriveva la reale matrice araba della fontana del chiostro di Monreale

La fontana del chiostro di Monreale,
in una fotografia-cartolina data 1938 a firma B.G.P.

Illustri studiosi di storia e di arte isolana hanno dibattuto in passato sulla definizione da assegnare all'architettura sorta in Sicilia durante la dominazione normanna.
Ecco così che sono state coniate le espressioni "arte arabo-normanna", "siculo-normanna", "romanico-siciliana" o, ancora, semplicemente "normanna".
Il tentativo di etichettare con sicurezza quella stagione artistica si è insomma rivelato un fallimento; e, del resto, come si potrebbero riassumere le tante identità stilistiche siciliane del secolo XII, cui concorsero committenti normanni, architetti e maestranze islamiche, mosaicisti bizantini e scultori lombardi?


Particolare del bocciolo sferico
che sovrasta il fusto della fontana.
Quest'ultimo è la stilizzazione di una palma
ed è decorato con motivi chevron.
La fotografia è tratta dall'opera di Rodo Santoro
"Sicilia" della collana "Italia Romanica",
edita nel 1986 da Jaca Book

In anni recenti lo scrittore Stefano Malatesta ha fornito la sua versione delle cose, in maniera chiara e probabilmente più realistica rispetto ad alcuni storici dell'arte:

"Quella che viene chiamata arte arabo-normanna - si legge in 'La pescatrice del Platani e altri imprevisti siciliani' ( Neri Pozza, 2011 ) - è stata sempre molto più araba che normanna e va intesa così: i nobili normanni ordinavano e gli artigiani musulmani eseguivano.
Ma la maggioranza dei siciliani, orgogliosissima di vantare ascendenze normanne, si è sempre come vergognata di una possibile origine araba, un atteggiamento sociale e culturale ancor prima che religioso, diffuso a tutti i livelli.
Fino a qualche anno fa, quando un contadino, scavando nell'orto, trovava un pezzo di marmo romano o greco, lo metteva subito da parte, sapendo di poterlo vendere bene.
Se invece da sotto la terra compariva un frammento di quelle magnifiche maioliche invetriate islamiche che sono una delle glorie dell'arte, lo buttava, perché non aveva mercato..."




Ora, il manufatto siciliano che forse più di tutti gli altri ricorda nell'isola il lavoro degli artigiani arabi, e con un'impronta meno contaminata da successive ricostruzioni, è la fontana del chiostro di Monreale.
L'opera è costituita da un'ampia vasca circolare sulla quale si erge un fusto stilizzato di palma con decorazioni a "chevron" che sorregge un bocciolo sferico.
"Al di sopra - si legge nell'opera di Rodo Santoro "Sicilia" della collana "Italia Romanica", edita nel 1986 da Jaca Book - si alternano facce leonine ed umane e larghe foglie circondano la valva da cui zampilla l'acqua".
Scrisse l'orientalista romano Francesco Gabrieli nel 1952 in un articolo intitolato "La gloria di Monreale", pubblicato sul fascicolo speciale "Natale 1952" dedicato alla Sicilia  de "l'Illustrazione Italiana":

"Venite con me nel noto angolino moresco, contempliamo insieme la fontana a fusto di palma che stilla le sue lacrime nel bacino.
Non è oriente posticcio, posso assicurarvi, è oriente autentico; dalla Cordova omayyade alla Siviglia abbadita, a Damasco selgiuchide e mamelucca, sino a Bakhchisaray nella lontana Crimea, sacra al canto di Pushkin, questo stesso colore e questo suono hanno le mille fontane musulmane che anticiparono nei secoli, agli occhi, alle orecchie e al palato di pie generazioni assetate, le delizie del Paradiso coranico.



Al fruscìo di questa fonte dorme qui la Sicilia araba, vinta e imprigionata, ma non uccisa dai re Normanni; chè anzi alla stessa, come la "Grecia capta", vinse e catturò a sua volta con i suoi vezzi i ruvidi conquistatori del Nord.
Essi l'amarono, e si compiacquero di lei e un riflesso della sua bellezza vollero fermare anche qui, nel tempio della celeste Theotòkos.
Sinchè quest'angolo di bellezza durerà, qualcosa di quel felice momento della nostra storia mediterranea potrà rivivere in noi.
Abu-l-Hasan e figli, Abu Bekr il sarto, Zeid il falegname, la vedova di Mohammed e la sua famiglia, Alì l'andaluso...
Questi e tanti altri umili - centinaia di nomi oscuri, di uomini e di donne, elencati in arabo e in greco nella 'Platea' o registro bilingue del 1183, legati al servigio e alla dipendenza del monastero - vissero silenziosamente nella dipendenza del tempio per loro infedele, amarono, soffrirono, morirono.


Una visione d'insieme della fontana
all'interno del chiostro monrealese.
La fotografia è attribuita a Pedone ed è stata pubblicata
nel 1962 dal I volume dell'opera "Sicilia",
edita da Sansoni e dall'Istituto Geografico De Agostini

E mi tornano alla mente le parole del Manzoni su quelle generazioni longobarde ' passate senza lasciare traccia sulla nostra terra', cui si potevano ragguagliare queste modeste folle di contadini e artigiani d'origine e fede straniere, che dalla tolleranza dei Normanni ebbero assicurata vita tranquilla, libertà di coscienza e di culto, stato giuridico e tutela di legge all'ombra del maggior tempio siciliano..."

   


Nessun commento:

Posta un commento