mercoledì 10 dicembre 2014

LE SERATE DI FIABE E FILATI DELLE DONNE DI SORTINO

Immagini storiche di filatrici e tessitrici del paese siracusano.
Un testo di Sebastiano Pisano Baudo tratto da "Sortino e dintorni" del 1910 illustra quell'attività da tempo ormai scomparsa
  
Una cardatrice di Sortino, il paese dei monti Iblei
dove sino agli inizi del Novecento
era ancora diffusa la lavorazione domestica dei tessuti.
Le due fotografie in bianco e nero del post
vennero pubblicate nel 1926
nell'opera di Zino Ardizzone "Sicilia!",
edita da Remo Sandron

"Esperte nel filare e nel tessere, le sortinesi applicarono le lane fine e morbide alla formazione dei panni e fecero un'industria speciale dell''abbracio' o 'drappo naturale'.
Raffinarono altresì con maestria il canape ed il lino, e fabbricarono tele perfette, che in commercio portarono e portano il nome specifico di "Tele di Sortino".
La donna sortinese nel passato faceva tutto da sè: le camicie e le mutande erano filate dalle sue mani, indi tessute, imbianchite, tagliate, cucite, e così ogni altra masserizia, che non le riusciva fisicamente impossibile.
Ogni famiglia aveva il suo telaio.
La industria del filare e del tessere conserva sempre il suo pregio, e per tradizione muliebre e domestica è ancora esercitata in molte famiglie sortinesi, malgrado il perfezionamento delle macchine da tessere.
In Sortino non si può dire: 'Finì il tempo che Berta filava'.
Le donne del popolo filano riunite in diversi gruppi nella casa d'una vicina, specialmente nelle lunghe sere d'inverno.
Esse comprano in comune l'olio per la lumiera, che mettono nel centro della stanza, e intorno ad essa tirano la chioma alla rocca, mentre raccontano fiabe, ripetono versi e motti siciliani, e nel tempo di Carnevale si sfidano ad interpretare indovinelli. 



Queste riunioni, fatte per economizzare la spesa del lume e non disturbare il riposo dei mariti e dei figli nelle rispettive case, si chiamano 'serie'.
Di consueto mentre filano recitano in comune il rosario.
Prima della mezzanotte, la più autorevole dà il commiato, pronunciando con devozione: "sia ludatu e ringraziatu lu Santissimu Sacramentu', e tutti rispondono: 'santa bona notti'"

Così nel 1910 lo studioso di Lentini Sebastiano Pisano Baudo descrisse nell'opera "Sortino e dintorni" la condizione delle donne dedite alla lavorazione della tela nel centro siracusano.
La loro abilità risaliva indietro nei secoli, quando le giovani del paese dovevano essere in grado di assicurare il corredo familiare per i mariti - piccoli proprietari terrieri, massari, artigiani, pastori - e per i figli a venire.
Oggi di quella tradizione artigiana a Sortino - così pure della condizione quasi esclusivamente domestica delle donne - non rimane quasi più traccia.
Di conseguenza, si è quasi perso anche il ricordo dei vecchi telai e dei termini che ne descrivevano i pezzi: "cosci" ( brancali ), "pidacchi" ( càlcole ), "càssita" ( panchetta ), "pettine" ( pettine ) e "navitedda" ( spola ).


Un'immagine della Chiesa Madre di Sortino
da datare probabilmente
alla fine degli anni Cinquanta dello scorso secolo.
La fotografia non ha attribuzione e venne pubblicata nel 1982
nell'opera "Sicilia" della collana "Regioni d'Italia"
edita da Edicultura Milano 

Nel 1978, l'etnografo Antonio Uccello ricordava ancora che "in genere i capi di biancheria che formano il corredo della sposa che proviene dal così detto ceto medio - possidenti, massari, artigiani - almeno fino alla fine dell'Ottocento ed i primi del nostro secolo risultano in gran maggioranza di tessuti di lana, o cotone, o lino, o canapa, lavorati in casa con telai tradizionali. E quindi con un impiego di manodopera in prevalenza femminile, soprattutto per la filatura e la tessitura". 
Le immagini delle filatrici di Sortino contenute nel post sono tratte dall'opera di Zino Ardizzone "Sicilia!", edita nel 1926 da Remo Sandron Editore.
In quel libro si legge un elogio di queste donne che oggi suona come un omaggio ad una condizione femminile del passato:
"Quantu si bedda misa a lu tilaru, 'nta stu tilaru chi vali un tisoru!" ( "Quanto sei bella seduta al telaio, in questo telaio che vale un tesoro" ).


    

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