mercoledì 27 maggio 2015

LE "CIARAMIRE", DAI TETTI ALLA BRACE

Da secoli, le tegole in terracotta fanno parte del panorama edilizio dell'isola.
Nel 1955, lo scrittore catanese Ercole Patti ne ricordò anche l'uso culinario in ambiente rurale


Tetti di edifici civili e chiese di Ragusa Ibla
coperti con le tegole, conosciute in Sicilia
con i termini di "ciaramire" o "coppi".
Questa fotografia e la seguente sono tratte
dall'opera di Antonino Buttitta
"I colori del sole - arti popolari in Sicilia",
edita nel 1985 da Flaccovio Editore Palermo

Sono una presenza costante nel paesaggio rurale e in certi  quartieri di città e paesi dell'isola: le tegole di terracotta - chiamate anche "coppi" o "ciaramire" - fanno parte di un repertorio edilizio vecchio di secoli, assumendo una diversa tonalità secondo le tecniche di lavorazione con le quali sono state prodotte e i decenni di esposizione all'azione del sole e della pioggia.
Da tempo le "ciaramire" vengono costruite secondo metodi industriali che hanno cancellato la lunghissima cottura manuale nei forni; a differenza di quelle prodotte in altre regioni italiane, le tegole siciliane sono leggermente più grandi.
Le "ciaramire" - raffigurate in molte fotografie o disegni di genere di paesaggi dell'isola - sono state in passato utilizzate anche in contesti non edilizi.
Quello più noto si può ancora osservare nelle saline di Trapani: qui, le tegole di terracotta coprono dalla pioggia i cumuli di sale.
In ambiente rurale, poi, i "coppi" arroventati potevano servire per cucinarvi la carne o la salsiccia alla brace.
Una indicazione di questa abitudine - ancor oggi di efficace applicazione - si trova nelle pagine del racconto "Il pometo", ambientato nei boschi etnei e scritto nell'ottobre del 1955 da Ercole Patti ( in "Diario Siciliano", Bompiani, 1971 ):

"Nelle navate ombrose del bosco regnava un alto silenzio fresco rotto appena, a tratti, dal canto limpido e fuggitivo di qualche uccello...
Saro, che recava la borsa delle provviste, era ansioso di arrivare e già preannunciava i preparativi che avrebbe fatto per la colazione. Si informò dal contadino se nella casupola del pometo c'erano tegole di terracotta per arrostirvi sopra le salsicce...
A tratti nel silenzio perfetto che regnava intorno un piccolo tonfo annunziava che un frutto si era staccato ed era caduto giù; ogni albero aveva ai suoi piedi un certo numero di mele cadute, alcune vivide e bellissime che facevano pena per terra accanto a quelle marcite.


Lavorazione delle "ciaramire"
a Santo Stefano di Camastra, opera citata

Saro frattanto, in quell'aria rarefatta di montagna che dava come un senso di ovatta alle orecchie, era andato a scegliere con molta cura due grandi tegole ricurve, le aveva lavate con una secchiata d'acqua leggera e fredda che aveva tirato su dalla cisterna e le aveva sistemate una vicina all'altra su due piccoli sostegni di pietre accatastate in modo da lasciare sotto lo spazio per mettere la legna.
Poi era andato dietro la casupola ed era tornato con un fascio di sarmenti.
In breve una forte fiammata si levò sotto le tegole che divennero asciutte e roventi.
Allora Saro vi cominciò a deporre sopra le salsicce un poco alla volta con delicatezza.
A mano a mano le salsicce rosolavano, Saro con un virgulto appuntito le andava rivoltando pungendole leggermente perché sfiatassero e lasciassero colare il grasso.
Il grasso tenero imbeveva la terracotta mentre le salsicce andavano acquistando un colore bruno e spandevano intorno un odore inebriante.
Il fumo bianco delle fascine saliva su mollemente oltre il tetto della casetta e si disperdeva nell'aria pura"      

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