mercoledì 24 giugno 2015

UNA FALSA FOTOGRAFA HIPPY TRA I MAFIOSI DI LINOSA

Nel 1971 l'attrice Gina Lollobrigida fotografò in incognito i boss al soggiorno obbligato nell'isola delle Pelagie: fu così che Angelo La Barbera finì nelle patinate pagine del libro "Italia mia" commissionato dall'editore AMPHOTO per la rivista "Life"

Il boss palermitano Angelo La Barbera
accende una sigaretta ad un carabiniere
tra i muretti di pietra lavica di Linosa.
Le fotografie del post furono scattate nell'estate del 1971
dall'attrice Gina Lollobrigida
e pubblicate nel libro "Italia mia",
pubblicato l'anno successivo dall'editore AMPHOTO

In una mattina di estate del 1971 una donna vestita con un giaccone hippy sbarcò a Linosa, l'isola delle Pelagie che solo da pochi anni aveva cominciato ad accogliere visitatori e turisti partiti la sera prima da Porto Empedocle
Il suo aspetto, malgrado le movenze agili e disinvolte, non permetteva facilmente di indovinarne l'età.
Il viso era quasi nascosto da una folta capigliatura nera; grandi occhiali da vista dalle lenti molto spesse coprivano metà del volto, le cui guance apparivano stranamente gonfie, quasi bitorzolute.
La donna portava con sé un bagaglio minimo: una borsa di paglia ed una macchina fotografica 35mm corredata da parecchi rullini.
Lo scopo della sua visita a Linosa era infatti quello di realizzare il maggior numero di scatti possibili ad un gruppo di ospiti particolari della piccola isola: i 16 boss di Cosa Nostra che la mattina del 18 marzo di quell'anno avevano iniziato il loro soggiorno obbligato in quel pezzo di terra, a metà strada fra Sicilia ed Africa.
Quella fotografa dall'aspetto un po' bizzarro era arrivata in incognito: la fitta capigliatura era in realtà una parrucca, gli occhiali erano posticci e il gonfiore delle guance era provocato dalla sistemazione in bocca di due grossi bottoni.
Tolto quel travestimento, tutti - anche i mafiosi che ora si prestavano quasi per gioco agli scatti di quella donna dall'aspetto hippy - avrebbero potuto riconoscerla in Gina Lollobrigida
L'attrice laziale - insieme alla Loren, icona internazionale del cinema italiano di quegli anni -  si era spinta quasi ai limiti geografici dell'Italia per assecondare una recente passione per la fotografia, presto trasformata in impegno professionale.
Gli scatti realizzati a tu per tu con i mafiosi siciliani - personaggi che sui giornali dell'epoca occupavano ben altre pagine di giornali e rotocalchi - sarebbero infatti serviti ad illustrare un libro commissionato dalla rivista americana "Life".



Il volume venne pubblicato da Gina Lollobrigida nel 1972 con il titolo "Italia mia" per AMPHOTO e con una prefazione di Alberto Moravia.
Insieme alle tre fotografie dei capimafia al soggiorno obbligato a Linosa, le altre 197 immagini del libro testimoniano il via vai della Lollobrigida lungo la penisola: un reportage per immagini durato tre anni destinato ad offrire uno spaccato della società italiana del periodo.
I mafiosi siciliani al soggiorno obbligato nella piccola isola agrigentina furono così rappresentativi di un Paese che la Lollobrigida rappresentò anche nelle catene di montaggio della Fiat, negli "scugnizzi" di Napoli, negli operai delle cave di marmo di Carrara e nei ritratti di Guido Carli, Federico Fellini e Giorgio De Chirico.


La scelta di Gina Lollobrigida di ritrarre i boss della mafia a Linosa nacque sulla scia dell'interesse che molti giornali italiani e stranieri dedicarono alla vicenda.
Il trasferimento venne deciso dal ministro dell'Interno Restivo, dal capo della polizia Vicari e dal comandante dei Carabinieri Sangiorgi dopo l'omicidio a Palermo nel maggio del 1971 del procuratore Pietro Scaglione e del suo autista, Antonio Lorusso.
Salvatore Zizzo, Rosario Di Maggio, Damiano Cumella, Calogero Migliore, Mariano Licari, Giovan Battista Vitale, Mariano Pizzo, Vincenzo Nicoletti, Rosario Mancino, Diego Plaja, Francesco Gambino, Rosario Riccobono, Giuseppe Sirchia, Vincenzo Sorce, Salvatore Gnoffo e Angelo La Barbera appartenevano al gruppo di imputati del processo di Catanzaro, alcuni dei quali sottoposti già al soggiorno obbligato fra Veneto, Piemonte e Marche.
Il trasferimento a Linosa venne giudicato la scelta migliore per tagliare loro i contatti con altri mafiosi: mare permettendo, l'isola si poteva raggiungere soltanto dopo una nottata di traversata con la motonave "Vittorio Carpaccio".
Inoltre Linosa non era ancora coperta dal servizio di teleselezione: per chiamare un'utenza, occorreva fare la fila al posto pubblico, dare il nome ed il numero di telefono ed aspettare la chiamata, confidando nel buon funzionamento del ponte radio.



Nel loro nuovo luogo di residenza - in verità non troppo impermeabile ai contatti esterni - i mafiosi potevano inviare e ricevere lettere, incontrare parenti e sconosciuti, pescare e fare il bagno; la libertà di movimento era limitata dai divieti di rincasare oltre un certo orario serale, di uscire la notte o di utilizzare barche.
La maggior parte dei 16 boss scelse di vivere in piccoli gruppi in alcune delle 136 casette dell'isola, pagando un affitto variabile fra le 500 e le 1000 lire al giorno; gli altri - fra questi anche il capomafia più in vista, Angelo La Barbera - dopo un primo periodo di utilizzo delle abitazioni scelse di soggiornare all'interno delle aule delle scuole elementari.
Dopo un primo periodo in cui i coatti esibirono una grande disponibilità di denaro - esaurendo le scorte di sigarette e prodotti alcolici nelle poche rivendite isolane - alcuni mafiosi iniziarono a non pagare più la pigione; altri, invece, cominciarono uno sciopero della fame ( in realtà, solo formale ) stazionando dinanzi la caserma dei Carabinieri.
I boss giustificarono il loro atteggiamento lamentando l'impossibilità di pagare le spese degli affitti perché disoccupati; inoltre, contestavano le dure condizioni di vita a Linosa, dal clima torrido di giorno e umido la notte. 
In realtà, lo scopo di queste proteste e la decisione di non pagare i proprietari delle case fu quello di creare tensioni nell'isola, costringendo il governo a trasferire in loro soggiorno obbligato in località per i mafiosi meno disagevoli. 
Così, a fine agosto Pasquale Bonadonna, maestro elementare e rappresentante del Municipio di Lampedusa, dopo avere inutilmente aspettato risposte dalla Prefettura di Agrigento si dimise dal suo incarico.
Il malcontento dei linosani venne in parte alleviato dalla decisione, pochi giorni dopo, di trasferire alcuni mafiosi in altre isole.
Plaja, Pizzo e Sanfilippo furono spediti in tutta fretta all'Asinara ( e ci fu chi spiegò il loro allontanamento con le tensioni interne nel gruppo dei 16 boss ); altri, come il temuto Angelo La Barbera, finirono addirittura ai confini opposti dell'Italia, a Trento.

Gli scatti realizzati in incognito dalla Lollobrigida a Linosa raffigurano proprio La Barbera, reduce da un precedente soggiorno obbligato a Cingoli, nelle Marche.
In un primo piano del boss, si coglie un che di beffardo e insieme di spaesato nell'espressione di un uomo che un decennio prima veniva considerato il "volto nuovo" della mafia palermitana, protagonista dell'assalto del cemento che stava travolgendo l'aspetto della città.
Insieme al fratello Salvatore - vittima di lupara bianca nello scontro con i Greco di Ciaculli - La Barbera abitava allora in un elegante condominio di via Veneto, porta a porta con alti burocrati della Regione e amministratori del Comune.
Con loro, concordava il via libera alle concessioni edilizie e l'assunzione di questo o quell'impiegato vicino alla famiglia mafiosa di Palermo centro.
A Linosa faceva ora vita appartata rispetto agli altri mafiosi, retaggio di un prestigio criminale ormai tramontato da tempo.


Scene di vita quotidiana di Linosa
nei mesi di soggiorno obbligato dei boss

Solitario e sprezzante, il 47enne schivò anche i tanti giornalisti che cercarono di incontralo durante il suo soggiorno nell'isola; uno di loro, Nicola Adelfi, lo definì "un piccolo Napoleone in una piccola Sant'Elena".  
Vestiva in maniera elegante; durante le giornate di caldo africano indossava magliette a collo alto, forse per nascondere i segni delle ferite di arma da fuoco al petto. 
Per due volte - nel 1963 - Angelo La Barbera era scampato al fuoco dei sicari, a Palermo e Milano.
Quattro anni dopo essere stato il bersaglio fotografico della finta donna hippy a Linosa, La Barbera avrebbe finito col pagare il vecchio conto rimasto in sospeso con i Greco.


Un autoritratto fotografico di Gina Lollobrigida.
L'immagine è tratta dal sito http://www.ginalollobrigida.com/

Il 28 ottobre del 1975, tre sicari palermitani come lui detenuti nel carcere di Perugia, la "banda dei Giuseppi" - Giuseppe Rizzo, Giuseppe Ferrera e Giuseppe Privitera - lo raggiunsero indisturbati armati di coltello all'interno dell'infermeria: l'ex confinato di Linosa venne raggiunto da undici fendenti, uno dei quali al cuore.
Qualche giorno dopo, l'ex potente della "nuova mafia" di Palermo tornò dai suoi familiari su una bara caricata su un treno merci. 
Le cronache del tempo ricordano che la salma di quell'uomo immortalato con l'inganno nell'Italia fotografica di Gina Lollobrigida a stento trovò un prete disposto a benedirla.




da consultare

http://www.ginalollobrigida.com/


     






  

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