venerdì 25 dicembre 2015

L'ISOLA SCOPERTA NEI COLORI DI GIANBECCHINA

L'impronta  siciliana nell'opera del pittore di Sambuca in un testo     pubblicato nel catalogo "Gianbecchina nella sua terra: un inno alla pace", edito da Publisicula nel 1984


"Pane e coltello", 1951, olio su faesite,
opera citata

"Materia della mia pittura è la terra siciliana nella quale respiro quando vago tra i campi biondi di messi o tra le distese viola di sulla, oppure riposo all'ombra degli ulivi d'argento o contemplo l'azzurro profondo del cielo e del mare.
In questa terra, io non cerco idillico rifugio ma vado scoprendo la misura e la bellezza della Grecia pagana, la tenacia degli Arabi, l'intraprendenza dei Normanni, l'esuberanza degli Spagnoli, la somma dei caratteri che costituiscono il nostro popolo.
Cerco soprattutto nella fatica quotidiana degli uomini, nello sguardo delle madri, nel sorriso dei bimbi, l'eredità antica della civiltà contadina che va scomparendo sospinta dall'incalzare della macchina; ma i cui valori, come si sono salvati tra infinite sofferenze e invasioni e trasformazioni, possono ancora salvarsi, possono ancora trasmettersi, insegnando la pacifica convivenza degli uomini, l'amore della terra che, scaldata dal sole e mossa dal lavoro, alimenta la vita.
Questa saggezza di una civiltà millenaria è la materia del mio canto.
A questa terra che soffre e vive al volgere di ogni stagione appartengono i miei colori"


"La mia terra", 1940, olio su tela,
opera citata

Questa breve autobiografia artistica porta la firma di Gianbecchina - all'anagrafe, Giovanni Becchina ( Sambuca di Sicilia, 1909 - Palermo, 2001 ) - e spiega meglio di ogni analisi critica la pittura di un artista profondamente legato alla Sicilia
L'illustrazione dei motivi dell'opera di Gianbecchina - ispirati dal mondo contadino, dalle sue attività e dai suoi valori messi sempre più a rischio dall'abbandono della civiltà agricola - è tratta dal catalogo "Gianbecchina nella sua terra: un inno alla pace", edito da Publisicula.
L'opera venne pubblicata dal Comune di Sambuca di Sicilia in occasione di una mostra allestita fra l'agosto ed il settembre del 1984 all'interno dell'ex monastero di Santa Caterina.


"Uomini", 1970, olio su tela,
opera citata

La storia pittorica di Gianbecchina è profondamente legata a quella della sua isola, anche in quegli aspetti di natura privata che sempre influiscono sulla formazione delle persone comuni e degli artisti.
Tutto comincia agli inizi del XX secolo, con una delle migliaia vicende di emigrazione siciliana:

"I genitori partono per l'America nel 1912" - scriveva Franco Grasso nel catalogo di quella mostra - "e lasciano a Sambuca Zabut - il paese nativo nella vallata del Belice - il bambino di soli tre anni, affidato a uno zio che curerà la sua prima istruzione e tenterà di avviarlo alla professione di perito agronomo, l'unica allora possibile in un centro agricolo dell'interno.
Ma la pittura esercitava già su di lui un fascino determinante, da quando una pittrice dilettante gli aveva mostrato, a otto anni, la prima tavolozza e i primi tubetti.


"Morello di Pasquale", 1970, olio su tela
opera citata

Passava intere giornate a contemplare i decoratori di soffitti che lavoravano in paese, finché uno di questi, Gaetano Grippi, non lo assunse come garzone: fu il suo primo maestro, gl'insegnò a mescolare i colori, ad eseguire gli ornati, a dipingere falsi stucchi e riquadri con fiori e uccelli.
Poi cominciò a lavorare in proprio, a sperimentare l'affresco su pareti di case e di chiese.
Ma si accorse che l'istinto e la buona volontà non bastano a fare il pittore: coi primi risparmi partì per Palermo, seguendo l'esempio di altri due sambucesi, i pittori Antonio Guarino e Alfonso Amorelli.
Si sistemò in una stanza della vecchia via Alloro e si iscrisse alla Scuola libera del nudo nell'Accademia di belle arti, che gli consentiva di apprendere la tecnica fondamentale del disegno e della pittura.
Teneva quella cattedra Archimede Campini, scultore di profonda sensibilità e cultura che dopo una breve fortuna a Parigi era venuto in Sicilia chiudendosi in un triste pessimismo che però non gli impediva di scoprire ed aiutare il talento dove c'era.
Fu lui a spronare agli studi per la maturità artistica il giovane, che lavorò da solo e fu l'unico nel 1933 a conseguire il diploma fra trenta candidati. 
Ventenne, con lo spirito d'avventura dei siciliani più intraprendenti, partì per Roma senza una lira e si iscrisse a quella Accademia delle Belle Arti frequentandola dal 1934 al 1935 sotto la guida di Umberto Coromaldi.
Fu lì che conobbe Pippo Rizzo il quale, apprezzando le sue qualità e vedendo le ristrettezze in cui viveva, lo indusse a concorrere ad una borsa di studio messa in palio dall'Accademia di Palermo: la vinse e potè continuare senza preoccupazioni.
Era l'epoca del sodalizio tra Guttuso, Barbera, Lia Pasqualino Noto e Nino Franchina; frequentava anche lui le riunioni che si tenevano nello studio di corso Pisani e poi in casa dei Pasqualino, con Topazia Alliata, Arturo Massolo, artisti, musicisti, giornalisti, un cenacolo anticonformista, aperto al nuovo.
Con Guttuso specialmente, che vedeva spesso a Bagheria, condivideva le idee antifasciste, il bisogno di evasione verso orizzonti più larghi.


"Zolfo", 1952, olio su faesite,
opera citata

Nella primavera ed estate del 1937 affittò, insieme al giovane studioso d'arte Beppe sala, una casetta di pescatori a Cefalù e visse per sei mesi tra mare e campagna dipingendo all'aperto, soprattutto acquarelli.
Il ricordo di questo soggiorno è rimasto in un libro dell'amico, 'Sodalizio a Cefalù', illustrato da Gianbecchina.
Poche opere rimangono di questo periodo giovanile, ma già rivelatrici della scelta dell'artista: una interpretazione amorosa ma libera della natura siciliana, degli uomini che in essa vivono immersi nella sua atmosfera, alcuni acquarelli limpidi e canori, paesaggi ad olio concepiti come distese i cui elementi morfologici giocano in funzione pittorica, fuori dai canoni accademici e dal quattrocentismo di maniera raccomandato dai fautori del 'Novecento' ufficiale che andava penetrando allora in Sicilia.
Niente Sironi e niente Carrà, Van Gogh e Cézanne semmai..."

Le opere di Gianbecchina riproposte nel post da ReportageSicilia sono tratte dallo stesso catalogo e indicano la sua naturale capacità di rendere l'atmosfera dei paesaggi, ricchi di figure ed eventi legati alla vita ed al lavoro della campagna dell'isola.
Osservandole, si avverte nel pittore di Sambuca - scrisse ancora Aldo Gerbino nel 1984"la necessità di ripercorre con lirica partecipazione i momenti di una cultura del lavoro e di esemplificarne i ritmi nelle grandi partiture cromatiche e nei volti segnati di una sicilianità accesa e violenta..."


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