mercoledì 28 settembre 2016

ABBANDONO E ROVINA DEI VECCHI PALMENTI

Descritti ed elogiati da Mario Soldati in "Vino al vino", evocati da Ercole Patti in "Diario Siciliano", gli storici edifici che accolsero la pigiatura dell'uva etnea vivono per lo più un irreversibile degrado strutturale

Ruderi di un palmento
nelle campagne etnee fra Santa Venerina e Zafferana Etnea.
Le fotografie del post sono di ReportageSicilia
La secolare tradizione vinicola del territorio etneo si riflette oggi anche nella sopravvivenza, per lo più sotto forma di ruderi, dei vecchi palmenti: edifici costruiti tra la fine del Settecento e per tutto il secolo successivo e destinati alla pigiatura dell'uva.
Una passeggiata sulle pendici orientali del vulcano permettere di ammirare molti resti di questa architettura rurale, cui Mario Soldati dedicò  una delle pagine di "Vino al vino", la trilogia enogastronomica italiana completata per Mondadori fra il 1968 ed il 1975:

"Palmento - spiegava Soldati - è, letteralmente, una vasca di pietra, o di cemento, poca profonda ma alta da terra anche due metri, entro cui si pigiavano i grappoli con i piedi. 
Oggi palmento significa, per sineddoche, qualunque edificio, o gruppi di edifici, che abbia rapporto con la produzione del vino: allo stesso modo che, in Val Padana, 'cantina' significa non soltanto cantina, ma qualunque stabilimento di vinificazione, fermentazione, conservazione.
Del palmento, del rustico, della villa, i muri esterni sono quasi a blocchi di lava nera, quali intonacati di grigio.
I tetti sono bassi, depressi, ricoperti di minuti coppi giallo grigi.
L'effetto generale è modesto, ottocentesco, e proprio per questo, di un gusto squisito"


I ruderi di palmenti documentati dalle fotografie di ReportageSicilia si trovano nelle campagne fra Santa Venerina e Zafferana Etnea.
L'attività di pigiatura del vino e di supporto alla pratica della vendemmia che vi si svolgeva è venuta meno per la difficoltà di adeguarne le norme edilizie alle leggi europee.
Molte di queste costruzioni si trovano ancora in buone condizioni strutturali; alcune sono state ristrutturate per un uso turistico, altre invece - la maggior parte - sono destinate ad un progressivo e definitivo deterioramento.



I costi elevati dei restauri, infine, scoraggiano le buone intenzioni dei proprietari, che così attendono il crollo di ciò che rimane in piedi per la definitiva cancellazione di questi storici edifici dal paesaggio etneo.
Oggi è difficile immaginare i frenetici ritmi di lavoro che ancora nei primi decenni dello scorso secolo animavano l'attività dei palmenti.



La ricostruzione di quell'impegno ci viene dalle pagine del racconto di Ercole Patti "Vecchia vendemmia", scritto nell'ottobre del 1932 e pubblicato in "Diario Siciliano" ( Bompiani, 1971 ):

"Si vendemmia a Monte Ilice a un'ora di strada dal paese.
Le viti salgono sul monte come un piccolo esercito.
La porta del palmento è spalancata; i pigiatori indossano i loro corti calzoncini, calzano i loro scarponi massicci ancora zuppi e arrossati dal mosto di ieri.
I vendemmiatori si sparpagliano fra le viti cominciano a staccare i grappoli con colpi netti dei loro coltelli ricurvi e lucenti.
L'uva si va ammonticchiando entro i panieri e le ceste; i vendemmiatori la rovesciano fra le gambe schizzate di mosto dei pigiatori.
L'uva precipita sull'impiantito massiccio e ruvido pavimentato a lastroni di lava come una strada e manda un leggero odore di tralci e di foglie stroncati.
I pigiatori vi cominciano a ballare sopra allegramente, a grandi pestate tenendo i pollici infilati sotto le ascelle alle maniche del panciotto, e cantano.



A mano a mano che i grappoli si vanno frantumando sotto gli scarponi si leva intorno un odore netto e vivo di mosto.
Dalle finestre spalancate sulla vigna entrano moscerini e calabroni ad ali spiegate nell'aria mattutina...
L'uva pigiata ridotta molle e succulenta come una pasta viene messa da una parte a palate sotto il grosso e biforcuto 'legno del palmento'.



Stanotte alla fioca di un lumicino verrà raccolta in mucchio turrito, fasciata saldamente torno torno da una striscia di rafia intrecciata e vi si farà gravare sopra il legno del palmento alla cui estremità verrà sospeso a mezzo di un legno a vite, un grosso macigno quadrangolare o rotondo: 'la pietra'.
Sotto quella stretta poderosa il pastone spremerà le ultime gocce di mosto e rimarrà talmente compresso e compatto che per toglierlo lo si dovrà frantumare a colpi di piccone..."

APPROFONDIMENTO


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