martedì 22 novembre 2016

LA LEGGENDARIA EVASIONE CON PARACADUTE DAL CASTELLO DI CACCAMO

Memoria del secolo XVII di una ingegnosa e disperata fuga dalle prigioni dello spettacolare ed inespugnabile fortilizio delle campagne palermitane  


Uno dei torrioni del castello di Caccamo,
a strapiombo sulla vallata del torrente San Leonardo.
Le fotografie del post sono di ReportageSicilia


Arroccato su uno sperone di roccia, il castello di Caccamo è uno dei più belli e meglio conservati fortilizi della Sicilia.
Oltre a scoprire molti dei suoi antichi ambienti, l'edificio è munito di terrazze che offrono un'eccezionale vista verso il resto dell'Isola, dalla punta di capo Zafferano sino al lontano castello di Vicari; prima del crollo del 1923 - causato da un terremoto - dalla sommità della "torre mastra" era possibile scorgere le isole Eolie ed il cono dell'Etna.
Il buono stato di conservazione del castello di Caccamo si deve oggi ad un complesso restauro compiuto una trentina di anni fa dalla Regione.



L'intervento conservativo ha così scongiurato la perdita di un maniero le cui vicende storiche hanno impegnato gli sforzi di studiosi e storici dell'arte siciliana.
Ancora più difficile è riassumere i tanti passaggi di proprietà del castello a partire dal periodo normanno, quando l'edificio - dalle dimensioni assai più ridotte rispetto a ciò che oggi noi osserviamo - fece parte del feudo di Guglielmo Bonello.
Prima della ristrutturazione, il complesso architettonico si trovava in uno stato di abbandono, iniziato nei primi decenni del secolo XIX: i crolli e l'invadente crescita di vegetazione ed arbusti sulla cortina muraria avevano intaccato la stessa stabilità di buona parte del castello.



Le gentilissime guide che oggi curano la visita del monumento ricordano soprattutto l'inespugnabilità del maniero, grazie alla sua strutturazione interna ed alla difficoltà di assedio delle altissime mura.
"Il complesso castello e cittadella così fortificati - ricordava Rodo Santoro nel 1974 - resisteranno egregiamente ad un assedio posto nel 1302 dagli Angioini che, sbarcati a Termini, compivano scorrerie nell'entroterra a scopo di rappresaglia".
Insieme ai dati storici, il castello di Caccamo conserva memoria di racconti e leggende che ne hanno accompagnato la millenaria esistenza.



La vicenda più curiosa è quella che riguarda un singolare tentativo di evasione di due detenuti dalle buie grotte dell'edificio in origine utilizzate come prigioni.
La storia è stata così raccontata nel 1979 dal giornalista e scrittore Franz Maria D'Asaro in "C'era una volta in Sicilia", pubblicato da Edizioni Thule:

"Giuseppe La Rosa, erudito guardiano ed amabile cicerone del castello di Caccamo, contesta tutte le enciclopedie e sfida gli storici di tutto il mondo: il paracadute è stato inventato qui, nelle tetre celle di questa fortezza - 521 metri sul livello del mare - che domina la valle del torrente San Leonardo.



Fu inventato qui, del tutto occasionalmente, come per tante invenzioni, da due poveri disgraziati che nulla potevano sapere né dei disegni alati di Leonardo, né che gli antichi cinesi si dilettavano a venir giù da alberi e rocce con grandi ombrelli costruiti in carta e bambù, né che qualche anno prima della loro disperata impresa F.Venanzio da Sebenico aveva ideato nel 1595 un paracadute a calotta che soltanto due secolo dopo ( 1797 ) sarebbe stato realizzato dal francese A.J.Garnerin.



Scrupoloso cronista, quasi redivivo testimone dell'impresa, Giuseppe La Rosa racconta senza la minima incertezza che tutto accadde nel 1600, allorché i due prigionieri - dominatori di turno della fortezza, dopo i saraceni ed i normanni, erano gli spagnoli - ormai convinti dell'impossibilità di ogni tentativo di evasione, ma fermamente decisi a conquistare la libertà, pensarono di affidare le loro sventurate esistenze ad un progetto folle: in una giornata di vento ciascuno si sarebbe afferrato alle quattro estremità di una grande tela quadrata ( forse lenzuoli introdotti da complici esterni ) lanciandosi da una delle 365 aperture del castello ( ogni apertura corrisponde a un giorno dell'anno ), con la speranza di riuscire a planare nella grande vallata, guadagnare la campagna e dileguarsi.



Venne finalmente la giornata adatta e i due prigionieri attesero il momento propizio per l'incredibile salto: si lanciarono nel vuoto attaccati a quelle vele precarie, ma una sola riuscì a gonfiarsi di vento e a trascinare a valle il temerario fuggiasco che, però, nell'atterraggio si slogò una caviglia e fu preda facilissima per il drappello spagnolo precipitatosi all'inseguimento non appena alla fortezza si erano accorti - è facile immaginare con quale stupefazione - dell'ingegnosa fuga.
Per l'altro nessun problema: si era sfracellato sulle rocce sottostanti.


Disegni di prigionieri
in uno degli ambienti del castello
un tempo adibiti a prigione
Il superstite fu riportato al castello e già ci si preparava all'eccitante spettacolo della forca - un diversivo molto gradito per gli annoiati signori di quel tempo che venivano regolarmente invitati a questo genere di "feste" - ma il comandante della fortezza, ammirato da tanta audacia, graziò il prigioniero per due ragioni: per il coraggio, esaltato anche dalla tragica fine del suo sfortunato compagno, e per aver inventato il paracadute..."

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