venerdì 10 marzo 2017

MEMORIE ISLAMICHE DELL'AGHADIR DI PIZZO MONACO

Storia ed immagini del granaio fortificato trapanese di età araba scoperto nel 1982 e oggetto di recenti campagne archeologiche


Resti di una cella del granaio collettivo di epoca araba
sulle pendici trapanesi di pizzo Monaco.
Le fotografie sono di ReportageSicilia

La base di partenza è Balata di Baida, frazione di Castellammare del Golfo.
Da qui, una strada stretta e sinuosa conduce sino al borgo di Visicàri: una doppia fila di case rurali in pietra abitate un tempo da gruppi di "hippies" ed ancor oggi con vista superba sul mare trapanese.
Alle spalle, incombe la pietrosa collina di pizzo Monaco.
E' qui che, nel 1982, per la prima volta furono notati alcuni filari di pietre nascosti dalla vegetazione spinosa.
La notizia rimase ristretta fra un gruppo di ricercatori locali; colpì allora il fatto che nessun pastore o contadino - spesso custodi di preziose informazioni per gli archeologi - fosse a conoscenza dell'esistenza di quegli antichi resti.
Quelle testimonianze di edilizia rurale sarebbero state così nuovamente dimenticate sino al 2012, quando fu avviata la prima di quattro campagne di studio e di scavo.



La ricerca archeologica e gli studi chimici e biochimici - coordinati dalla Sovraintendenza di Trapani e realizzati dalle Università di Granada, Cordoba, Sheffield, Palermo e Padova - hanno portato alla conclusione che quelle pietre sono i resti di un "aghadir": un granaio collettivo fortificato costruito in Sicilia nei decenni dell'occupazione islamica ( X-XI secolo ).
Un millennio fa, quindi, quest'opera edilizia venne costruita come deposito di derrate alimentari, semi ed altri oggetti di uso domestico ed agricolo; la scoperta di una simile struttura - che ha svelato la presenza di una cinquantina di celle rettangolari e quadrate e abbondanti resti di tegole - presuppone la coeva esistenza di uno o più vicini casali fortificati di età islamica.



I rilievi condotti su questo straordinario pezzo di architettura rurale araba in Sicilia hanno permesso di ricostruire frammenti di storia relativi all'"aghadir" di pizzo Monaco.
Il più importante, è quello di un incendio che devastò il deposito, le cui tracce sono ancora evidenti su alcune pietre delle celle.
L'assenza di altri reperti carbonizzati fa ipotizzare che al momento del rogo gli ambienti fossero stati svuotati, e che le fiamme siano state appiccate per mettere fuori uso una struttura di tipo militare non più funzionale alle esigenze dell'epoca.




Ancor oggi, una passeggiata fra i filari di pietre dell'"aghadir" trapanese riserva la scoperta di cocci di ceramiche e delle tegole che lo coprivano.
Camminando fra le rocce, si scoprono altri indizi sull'architettura di questi edifici: il basamento di una piccola torre, una strada di accesso al deposito, gli ambienti di quella che forse fu la stanza occupata da uno o più guardiani.
Da questi resti, lo sguardo spazia verso la costa di Scopello e di Castellammare del Golfo ed in direzione di buona parte della provincia più occidentale di Trapani.
E' allora inevitabile guardare questo paesaggio immaginando il rapporto fra l'"aghadir" e la vita quotidiana delle comunità islamiche che se ne servirono; ed è quindi naturale riflettere sul fatto che in quest'angolo della provincia di Trapani possano esistere altri resti archeologici di età araba.



Alcuni sono stati individuati in passato in una zona collinare di Segesta: tracce di una cittadella fortificata abitata almeno fino ai primi anni dell'epoca sveva.
Più recenti sono invece gli studi su un complesso sistema di irrigazione agricola nel territorio di Calatafimi: i risultati di queste ricerche confermano sin d'ora il dato di una radicata attività agricola portata avanti dalle comunità islamiche trapanesi fra l'XI ed il XIII secolo.

  
  

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