giovedì 27 aprile 2017

RIFLESSI DI GOETHE NEL TRAMONTO DI VALDESI

La scoperta della "chiave di tutto" nel viaggio dello scrittore tedesco nelle pagine de "L'isola appassionata", il dimenticato libro di racconti siciliani scritto nel 1944 da Bonaventura Tecchi

Tramonto palermitano a Valdesi.
Le fotografie sono di ReportageSicilia
A cercare nella sterminata produzione letteraria del Novecento italiano si trovano romanzi e saggi di ambientazione siciliana poco noti o addirittura dimenticati dalla critica e dai lettori.
E' il caso, ad esempio, dei racconti del libro "L'isola appassionata", scritto da Bonaventura Tecchi e pubblicato per la prima volta da Einaudi nel 1944.
Ristampato nel 1961 nella collana "Nuovi Coralli", il volume è da tempo scomparso dalle librerie; chi volesse trovarne una copia deve affidarsi alla ricerca su internet o sulle bancarelle dei libri usati.
Bonaventura Tecchi nacque nel 1896 nella Tuscia, a Bagnoregio; morì a Roma nel 1968.
Insegnante nelle università di Brno e Bratislava, poi nell'Università di Padova e in seguito ordinario di lingua e letteratura tedesca a Roma, Tecchi fu un cultore del romanticismo germanico.
"L'isola appassionata" raccolse i frutti - trasfigurati dalla fantasia - della "scoperta" che lo studioso e scrittore fece della Sicilia nel 1940, quando vi fu trasferito in veste di censore postale della corrispondenza fra militari in guerra e le proprie famiglie.
Il compito - sicuramente ingrato - non gli piaceva, ritenendolo "umile, banale ed anche indelicato".
Attraverso la lettura di quelle lettere, però, lo scrittore ebbe modo di "conoscere il cuore segreto degli uomini, per conoscere l'anima dell'isola", cogliendone i difetti ma anche le sue "qualità positive ed affettive".
A Palermo, Tecchi fu colto da una "ebbrezza leggera del sangue", frutto di un fervore inesausto di impressioni che presto sgomberò "i parecchi pregiudizi in testa" con i quali, a malincuore, era approdato in Sicilia: 

"Mi piacevano l'aria, la luce - diverse, sembravami - da ogni altra luce e aria che fino allora avevo conosciute... mi piacevano la bellezza e la gentilezza, un poco scontrosa ed estrosa, della gente..."


Tornato a Palermo nel settembre del 1952 - ospite della Fiera del Libro - l'appassionato studioso di letteratura tedesca ricordò quell'opera letteraria, la cui stessa ispirazione si lega più volte al nome di uno scrittore autore nel 1787 di un famoso viaggio in Sicilia: Wolfgang Goethe.

"Come lettore, come studioso modesto di cose tedesche - dichiarò allora Tecchi - avevo in mente il viaggio in Italia di Goethe che riguarda la Sicilia; ebbene mi ricordai di una frase: quando Goethe dice che la Sicilia è la chiave per capire tutta l'Italia"

Nelle pagine de "L'isola appassionata", Bonaventura Tecchi quella chiave la individuò al cospetto del mare palermitano di Valdesi durante una "bellissima sera d'estate, con una luce che scandisce le cose, ne forma i lineamenti, che assegna vita e insieme sobrietà d'arte":

"Rimaneva però sempre da spiegare la parola di Goethe: come mai la Sicilia fosse 'la chiave' dell'Italia.
Che si dovesse intendere nel senso che la bellezza splendente dell'isola incoronava la bellezza di tutta l'Italia, mi pareva troppo poco e troppo semplice.
Ci doveva essere qualche altro significato.
E lo cercavo nel libro di Goethe, non lo trovavo.
Quella frase famosa, come spesso accade in Goethe, appariva quasi isolata, in una pagina in cui non si faceva che parlare, oggettivamente, e quasi seccamente, di osservazioni sui minerali della Sicilia e poi sul clima e perfino sui cibi siciliani.


Un giorno, a Valdesi, mi parve d'avere la rivelazione, o piuttosto una delle due rivelazioni che, secondo me, spiegavano la Sicilia 'chiave' per intendere l'Italia. 
Valdesi è, per chi non lo sapesse, una piccola località sulla via di Mondello, vicinissima anzi a Mondello, che a sua volta è la spiaggia più rinomata di Palermo.
Chi non ha visto, specie verso sera, il colore dell'aria a Valdesi, il colore, la vibrazione, la luce dell'aria sulle pendici di Monte Pellegrino, che in quella parte sono tutte rosse, con l'argento degli olivi nella piana sottostante, il grigio-perla del mare, il cinereo di Monte Gallo dalla parte opposta, non ha visto, io credo, la luce più bella del mondo.
Luce nitida, sveglia eppur non crudele come per sua nitidezza è qualche volta in paesi stranieri; né, d'altra parte, luce morbida come per velature, sia pure impercettibili, di nebbia, spesso avviene nelle contrade del nord: ma luce calma, ferma, d'una virile, umana dolcezza.


Questa era certo la luce che diede a Goethe la rivelazione della 'oggettività' delle cose; di come il mondo, a lui che usciva allora dai 'cammini stretti e oscuri dell'io' ( vedi la VII delle 'Elegie Romane' ) e cioè del più acuto soggettivismo nordico, potesse esistere anche fuori di noi, con la sua nitidezza di forme e di contorni.
Rivelazione che, presentita vagamente già prima del viaggio in Italia, balenata vividamente a Roma, affermata in una celebre lettera da Napoli nella primavera del 1787, doveva compiersi in Sicilia, a Palermo, quando Goethe, in uno scatto d'entusiasmo, corse a comprare una copia di Omero e lesse e rilesse come estasiato, e in Sicilia compose il frammento 'Nausicaa'..."

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