Nel 1949, la caccia a Salvatore Giuliano impiegò in Sicilia circa 6.000 fra carabinieri e poliziotti: un numero insufficiente rispetto all'ampiezza del territorio dove Giuliano e la sua banda trovavano rifugio e coperture.
Il campo di battaglia sul quale i banditi potevano muoversi con rapidità - il comprensorio fra Montelepre, Monreale, San Giuseppe Jato, Partinico ed Alcamo - è una zona aspra e montagnosa; all'epoca era attraversata da poche e solitarie strade, esposte al rischio di agguati e scontri armati.
Partendo da queste osservazioni sul contesto ambientale favorevole a Giuliano ed ai suoi complici, Tommaso Besozzi esaminò così il 20 maggio del 1949 la situazione delle ricerche del bandito sulle pagine del settimanale "l'Europeo":
"Si capirà che 6.000 poliziotti - si legge in un reportage intitolato "Perché il bandito Giuliano è ancora vivo" - non bastano per esplorare, metro per metro, un territorio che misura oltre cinquemila chilometri quadrati di superfice.
Tra una grotta e l'altra, il più delle volte, corrono cunicoli e passaggi segreti che disegnano un'intricata rete sotterranea.
Qualcuno di quei corridoi fora la roccia da un versante all'altro del monte.
Non ci sono alberi di alto fusto; ma, nelle pendici più basse, una fitta boscaglia e più in alto, una difesa quasi ininterrotta di cespugli spinosi e di rovi che valgono molto più dei reticolati e dei cavalli di frisia.
Ora, neppure le carte militari al 25.000 possono scendere ad una così precisa minuzia di particolari da indicare le grotte, le fenditure della roccia, i passaggi segreti.
La zona montagnosa che è alle spalle di Montelepre non ha rubato troppo tempo al cartografo: si direbbe un deserto.
La polizia deve muoversi con estrema cautela su quel terreno dove, ad ogni passo, si può cadere in un trabocchetto; ed i pastori non sono certo disposti a far da guida ai pattuglioni.
Dall'altra parte, gli uomini di Giuliano hanno una conoscenza topografica perfetta di tutta la zona.
Le vedette dislocate nelle posizioni più elevate possono dominare tutti i passaggi praticabili, entro un raggio di molti chilometri.
Sono in grado di scorgere le pattuglie di rastrellamento, le seguono col binocolo, ne segnalano la forza e la direzione.
I briganti attaccano e scompaiono, come se la montagna li avesse inghiottiti.
I poliziotti debbono perlustrare ogni cespuglio, calarsi nelle forre, esplorare ogni grotta; ed è umano che lo facciano con prudente circospezione.
In particolare, nulla è più inesatto dell'espressione che tanto spesso capita di leggere, 'il cerchio si stringe attorno alla banda di Giuliano'.
Non esiste nessun cerchio.
Se si volesse davvero circondare la zona di Montelepre e far avanzare i poliziotti, in catena, in vista l'uno dell'altro, occorrerebbero almeno 25.000 uomini: non basterebbero, cioè, gli effettivi di due divisioni sul piede di guerra..."
Nell'articolo - nel pieno rispetto della verità dei fatti - Tommaso Besozzi non nascose di segnalare il carattere inutilmente repressivo degli atteggiamenti delle forze dell'ordine nei confronti della popolazione:
"A Montelepre, per impiegare che i banditi venissero riforniti di viveri, sono stati chiusi d'autorità, e per molti giorni, tutti i negozi di alimentari: donne e bambini hanno sofferto la fame.
Il campo di battaglia sul quale i banditi potevano muoversi con rapidità - il comprensorio fra Montelepre, Monreale, San Giuseppe Jato, Partinico ed Alcamo - è una zona aspra e montagnosa; all'epoca era attraversata da poche e solitarie strade, esposte al rischio di agguati e scontri armati.
Partendo da queste osservazioni sul contesto ambientale favorevole a Giuliano ed ai suoi complici, Tommaso Besozzi esaminò così il 20 maggio del 1949 la situazione delle ricerche del bandito sulle pagine del settimanale "l'Europeo":
"Si capirà che 6.000 poliziotti - si legge in un reportage intitolato "Perché il bandito Giuliano è ancora vivo" - non bastano per esplorare, metro per metro, un territorio che misura oltre cinquemila chilometri quadrati di superfice.
Tra una grotta e l'altra, il più delle volte, corrono cunicoli e passaggi segreti che disegnano un'intricata rete sotterranea.
Qualcuno di quei corridoi fora la roccia da un versante all'altro del monte.
Non ci sono alberi di alto fusto; ma, nelle pendici più basse, una fitta boscaglia e più in alto, una difesa quasi ininterrotta di cespugli spinosi e di rovi che valgono molto più dei reticolati e dei cavalli di frisia.
Ora, neppure le carte militari al 25.000 possono scendere ad una così precisa minuzia di particolari da indicare le grotte, le fenditure della roccia, i passaggi segreti.
La zona montagnosa che è alle spalle di Montelepre non ha rubato troppo tempo al cartografo: si direbbe un deserto.
La polizia deve muoversi con estrema cautela su quel terreno dove, ad ogni passo, si può cadere in un trabocchetto; ed i pastori non sono certo disposti a far da guida ai pattuglioni.
Dall'altra parte, gli uomini di Giuliano hanno una conoscenza topografica perfetta di tutta la zona.
Le vedette dislocate nelle posizioni più elevate possono dominare tutti i passaggi praticabili, entro un raggio di molti chilometri.
Sono in grado di scorgere le pattuglie di rastrellamento, le seguono col binocolo, ne segnalano la forza e la direzione.
I briganti attaccano e scompaiono, come se la montagna li avesse inghiottiti.
I poliziotti debbono perlustrare ogni cespuglio, calarsi nelle forre, esplorare ogni grotta; ed è umano che lo facciano con prudente circospezione.
In particolare, nulla è più inesatto dell'espressione che tanto spesso capita di leggere, 'il cerchio si stringe attorno alla banda di Giuliano'.
Non esiste nessun cerchio.
Se si volesse davvero circondare la zona di Montelepre e far avanzare i poliziotti, in catena, in vista l'uno dell'altro, occorrerebbero almeno 25.000 uomini: non basterebbero, cioè, gli effettivi di due divisioni sul piede di guerra..."
Nell'articolo - nel pieno rispetto della verità dei fatti - Tommaso Besozzi non nascose di segnalare il carattere inutilmente repressivo degli atteggiamenti delle forze dell'ordine nei confronti della popolazione:
"A Montelepre, per impiegare che i banditi venissero riforniti di viveri, sono stati chiusi d'autorità, e per molti giorni, tutti i negozi di alimentari: donne e bambini hanno sofferto la fame.
Per attingere alla fontana, le donne dovevano dichiarare il numero dei familiari ( e dimostralo ) perché fosse loro concesso di prendere la quantità d'acqua ritenuta sufficiente.
Era un controllo inutile ed odioso.
Un poliziotto indicava col dito, a ciascuna, fino a che livello potesse riempire il secchio.
Chi conosce questa parte della Sicilia può facilmente immaginarsi le liti.
La faccenda andava per le lunghe; l'ora di erogazione finiva; ed i più restavano con il secchio asciutto.
L'omertà era una muraglia contro la quale si cozzava invano.
Una postazione di carabinieri nella zona di Montelepre |
I complici dei briganti, gli 'ausiliari', i segnalatori, erano moltissimi; ma era estremante raro che si riuscisse a raggiungere le prove.
Furono fatte retate in grande stile; le carceri di Palermo, di Trapani, di Termini Imerese si riempirono di arrestati.
Fu ripristinato il confino di polizia e centinaia di persone salparono verso le isole.
Tutto questo era, forse, necessario: tutti gli inquisiti erano forse davvero meritevoli di carceri e confino; ma il metodo con il quale, spesso, venivano condotte le operazioni di polizia avevano il torto di rassomigliare troppo alla spedizione punitiva, alla rappresaglia.
Controlli in strada alla ricerca di fiancheggiatori della banda Giuliano |
Nei paesi e nei villaggi del monteleprino nessuno poteva sopportare che i poliziotti, dovendo compiere una perquisizione, sfondassero le porte col calcio dei moschetti, rovesciassero i mobili, ordinassero alle donne di uscire in camicia dal letto per frigare nei pagliericci.
Queste cose, in Sicilia, si pagano care.
Sopra e sotto, la stanza di Salvatore Giuliano nell'abitazione di famiglia a Montelepre |
In un paese dove l'agente di pubblica sicurezza si chiama ancora sbirro, sarebbe bastato molto meno per far pendere la bilancia dall'altra parte.
E così, ora sono tutti per Giuliano.
E' giusto, tuttavia, tener presente lo stato d'animo del carabiniere che sa di andare allo sbaraglio: da ogni angolo di strada, da ogni finestra può partire la raffica che lo colpisce a tradimento.
In cinque anni di lotta, più di ottanta sono caduti a quel modo, vittime di un'imboscata.
I complici, forse gli stessi assassini sono nascosti qui, ma l'omertà li protegge.
Il carabiniere si butta contro quella muraglia; spera di far breccia, di arrivare a mettere le mani sul brigante che poco fa ha scaricato il mitra contro la pattuglia che tornava in caserma.
Dovrà chiedere permesso, prima di entrare?
La posta è la più grossa che si possa rischiare; il gioco ha una regola sola; vince chi spara per primo.
C'è anche un altro fatto; l'improvviso rigore e il richiamo al rispetto della legge, in un paese dove si è sempre accettata una certa elasticità di interpretazione, vengono facilmente scambiati per prepotenza..."
Quattordici mesi dopo questo articolo, Salvatore Giuliano sarebbe stato ucciso nell'ambigua notte di Castelvetrano.
Per eliminare il bandito di Montelepre - non nelle impervie montagne palermitane, ma in una camera da letto di un'abitazione presidiata ad hoc dai carabinieri - si fece ricorso ad un sicario sulla cui identità ancor oggi si confrontano studiosi e storici dei tanti "misteri italiani".
Fra questi episodi oscuri, figura anche quello del contesto della cattura di Salvatore Riina, il boss corleonese che lo Stato trovò occasione di fermare dopo 23 anni di latitanza e solo pochi mesi dopo l'eclatante delitto di Salvo Lima e le stragi Falcone e Borsellino.
E' giusto, tuttavia, tener presente lo stato d'animo del carabiniere che sa di andare allo sbaraglio: da ogni angolo di strada, da ogni finestra può partire la raffica che lo colpisce a tradimento.
In cinque anni di lotta, più di ottanta sono caduti a quel modo, vittime di un'imboscata.
I complici, forse gli stessi assassini sono nascosti qui, ma l'omertà li protegge.
Il carabiniere si butta contro quella muraglia; spera di far breccia, di arrivare a mettere le mani sul brigante che poco fa ha scaricato il mitra contro la pattuglia che tornava in caserma.
Dovrà chiedere permesso, prima di entrare?
La posta è la più grossa che si possa rischiare; il gioco ha una regola sola; vince chi spara per primo.
C'è anche un altro fatto; l'improvviso rigore e il richiamo al rispetto della legge, in un paese dove si è sempre accettata una certa elasticità di interpretazione, vengono facilmente scambiati per prepotenza..."
Quattordici mesi dopo questo articolo, Salvatore Giuliano sarebbe stato ucciso nell'ambigua notte di Castelvetrano.
Per eliminare il bandito di Montelepre - non nelle impervie montagne palermitane, ma in una camera da letto di un'abitazione presidiata ad hoc dai carabinieri - si fece ricorso ad un sicario sulla cui identità ancor oggi si confrontano studiosi e storici dei tanti "misteri italiani".
Fra questi episodi oscuri, figura anche quello del contesto della cattura di Salvatore Riina, il boss corleonese che lo Stato trovò occasione di fermare dopo 23 anni di latitanza e solo pochi mesi dopo l'eclatante delitto di Salvo Lima e le stragi Falcone e Borsellino.
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