martedì 16 ottobre 2018

SAVINO E "L'UTILE DELL'INUTILE" DELLA PALAZZINA CINESE

Interno della Palazzina Cinese, a Palermo.
Le fotografie sono di ReportageSicilia
"Che idea è questa, vivere alle porte di Palermo, in una palazzina cinese?
Idea di 'architettura', di civiltà al di là dall'utile, nell'utile dell'inutile"

Terminando la visita della Palazzina Cinese, lo scrittore, pittore e compositore Alberto Savino così espresse nel 1948 il suo giudizio su una delle più singolari opere architettoniche palermitane. 
L'edificio ai margini del Parco della Favorita provoca giudizi contrastanti: chi lo giudica una bizzarra escrescenza orientaleggiante, estranea alle vicende dell'architettura siciliana, chi invece - giustamente - lo considera come un singolare esempio delle mille influenze culturali che hanno lasciato traccia nella storia dell'Isola.



La storia della Palazzina Cinese è nota a palermitani e visitatori stranieri e fu così brevemente riassunta nel 1919 dalla prima "Guida Rossa" della Sicilia, edita dal Touring Club Italiano:

"Per il viale dei Leoni e quello di Ercole, si raggiunge la Palazzina, di stile cinese, fabbricata da Ferdinando IV di Borbone, con fastose sale e gabinetti.
Dalla terrazza del secondo piano, vista sulla città e sulla Conca d'Oro e, dalla parte opposta, sulla baia di Mondello e di Sferracavallo"

In tempi più recenti, la storia dell'edificio si è arricchita di indicazioni più precise che hanno riguardato in primo luogo la genesi della sua costruzione.
Come è noto, Ferdinando IV di Borbone e Maria Carolina, in fuga da Napoli, sbarcarono a Palermo il 25 dicembre del 1798.
Il loro arrivo mobilitò la deferente ospitalità dell'aristocrazia locale.
Iniziò infatti la corsa alla ricerca di un luogo palermitano dove i reali potessero dedicarsi agli svaghi ed alle battute di caccia: un sito che potesse loro offrire la stesse caratteristiche della Colonia Reale di San Leucio, nel casertano.


La scelta cadde sulla "casena" della piana dei Colli di proprietà di Giuseppe Maria Lombardo e Lucchese, barone delle Scale e delli Manchi di Belìce: un edificio ereditato 9 mesi prima dal fratello Benedetto.
L'immobile era allora oggetto di una controversia patrimoniale, legata ad alcuni debiti contratti dalla famiglia proprietaria con Antonio Levanti, Pietro Piraino e Gioacchino Failla.
Come ha spiegato Romualdo Giuffrida in "Il parco della Favorita di Palermo da sito reale a luogo di pubblica fruizione" ( "Beni Culturali e Ambientali Sicilia", Anno IX-X, Numero 1-2, 1988-89 )

"non essendosi presentato alcun compratore, la Gran Corte aveva stabilito che la 'casena' potesse essere concessa a censo enfiteutico ( un possesso dietro la cura del bene ed il pagamento di un canone annuo, ndr ) il cui importo annuale sarebbe stato versato ai creditori.
Il principe di Aci ne chiese la concessione a nome del re e, ottenuto il consenso del barone Giuseppe Lombardo, incaricò il professore di Architettura don Giuseppe Marvuglia 'per prezzare li benfatti o siano tutte le opere fatte per la costruzione di detta Casena e sue officine, la villa girata di muri, li benfatti rusticani e le gebbie per adacquare la detta villa, ed in parola tutto ciò che fu erogato per tutte le dette opere ad effetto di stabilire il censo annuale'..."




Sembra che l'attuale aspetto della Palazzina Cinese non si discosti da quello mostrato della "casena" di proprietà dei Lombardo e Lucchese: quest'ultima potrebbe avere avuto una struttura già in muratura, con parti esterne in legno.
La riedificazione interna e l'aggiunta dei terrazzi laterali e di due portici poligonali è da collocarsi nei primi anni dell'Ottocento; e un dato curioso riferito ancora da Romualdo Giuffrida, infine, ci tramanda la notizia secondo cui per la chiusura del cantiere reale, gli appaltatori rinunziarono a fruire dell'opera gratuita di cento forzati prevista dalla gara d'appalto.







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