venerdì 26 ottobre 2018

TRISTI RICORDI E POSSIBILE FUTURO DEL FORTE DI SANTA CATERINA

Il forte di Santa Caterina,
sovrastante il centro abitato di Favignana.
Le fotografie sono di ReportageSicilia
Occorre avere dimestichezza con le passeggiate in salita e pazienza prima di arrivare alla meta, all'altezza di 302 metri.
Ad ogni svolta della strada lastricata di pietre che a Favignana traccia un esteso "zig zag" sulle pendici dell'omonimo monte, il forte di Santa Caterina appare sempre più austero e incombente sui versanti dell'isola.
L'edificio - da tempo in stato di abbandono - racconta una storia secolare, iniziata in età angioina e proseguita sino ad una cinquantina di anni fa per usi militari: sulla sua sommità, arrugginiti dal vento salmastro delle Egadi, resistono ancora scheletri di tralicci e di attrezzature radar.




La fama del forte - la cui libera visita impone prudenza, per le numerose aperture verso l'interno e per l'altezza delle terrazze - è legata alle sofferenze qui subite da migliaia di detenuti politici  durante il Regno delle Due Sicilie.
Sino al 1860, i Borboni vi rinchiusero i condannati alla pena capitale che avevano ottenuto la grazia.
Qui scontavano un ergastolo durissimo, tale da provocare comunque atroce morte per gli stenti e le malattie.



I favignanesi presto ebbero conoscenza delle sofferenze patite in cima alla loro montagna, coniando l'espressione "cu trasi c'a parola, nesci mutu" ( "chi entra parlando, esce senza più parole" ). 
In quegli anni, la durezza del carcere della maggiore della Egadi divenne nota in tutta Italia, come testimoniato da una pagina di Pietro Colletta in "Storia del Reame di Napoli" ( Napoli, 1860 ):

"Dal castello, per una iscala tagliata nel sasso, lunga nello scendere quanto è alto il monte, si giunge ad una grotta, da scalpello incavata, che per giusto nome chiamano 'Fossa'.
Qui la luce è smorta, raggio di sole non vi arriva; è grave il freddo, l'umidità densa; vi albergano animali nocevoli: l'uomo, comunque sano e giovane, presto vi muore"



Fra i molti detenuti della fortezza - che nel 1860 si rivoltarono ai loro carcerieri, devastando la cappella di Santa Caterina - si ricorda il nome di Giovanni Nicotera, arrestato nel 1857 dopo la fallita spedizione di Sapri.
Durante un viaggio a Favignana, lo scrittore e saggista toscano Leopoldo Barboni ( trapanese di adozione dopo anni di esperienze didattiche nelle scuole cittadine ) raccolse dal farmacista Andrea Livolsi una testimonianza sull'orgoglio di Nicotera durante la durissima detenzione all'interno della 'Fossa' del forte.



Pare che il patriota avesse ricevuto la visita di un funzionario borbonico; e che all'offerta del ritorno in una cella meno angusta come segno di benevolenza del re, Nicotera rifiutasse con sdegno, spiegando che "il vostro sovrano è un tiranno della patria, ed io non chiedo grazia ad un tiranno...".




Oggi la fortezza di Santa Caterina è un luogo di forte suggestione, nel ricordo delle sofferenze che vi si consumarono e della magnifica vista a 360° sul mare delle Egadi e su parte della provincia di Trapani.
Da qualche anno è in discussione un possibile recupero strutturale dell'edificio: iniziativa incoraggiata nei mesi scorsi da un concorso internazionale di idee promosso dal Comune e da "Young Architects Competitions".
Il progetto prevede di destinare gli ambienti interni ed esterni della costruzione a Museo di Arte Contemporanea del Mediterraneo: una "art prison" dove gli artisti, nella solitudine del forte, possano trovare ispirazione per le proprie opere. 



Negli anni passati è invece fallita una proposta di asfaltare la storica strada di accesso al forte: ipotesi avanzata durante una campagna elettorale basata sull'aberrante idea di uno sviluppo dell'isola che non tenga conto delle sue non comuni bellezze ambientali.




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