martedì 13 novembre 2018

LA TECNICA AGRICOLA DEI "SALINARI" TRAPANESI

"Salinari" trapanesi al lavoro.
La fotografia riproposta da ReportageSicilia
è tratta dall'opera
"Italia Nostra", volume 4,
edita nel 1965 da Federico Motta Editore 
Quello delle saline di Trapani è uno dei paesaggi siciliani più noti e raccontati della Sicilia.
Il merito di tale fama è giustificato dall'indubbia suggestione dei luoghi e dalla storia secolare di quel paesaggio, frutto di un sapiente ed oculato sfruttamento umano del territorio.
Pietrangelo Buttafuoco ha ben descritto nel 2017 quel singolare ambiente trapanese ed il lavoro svolto dai "salinari", più agricoltori che uomini di mare:

"Lo Stagnone è un feudo di terra concesso in usufrutto al mare.
E' sbagliato, infatti, dire 'estrazione' riguardo al sale.
Questo frutto, più correttamente, si coglie.
E tutta la fatica è in realtà uno scambio di ruoli tra le onde e le zolle.


Nelle vasche dei salinari, quel prezioso raccolto che dà sapore e sapienza si coltiva e non è una cosa da andare a strappare a un filone di miniera...
La tecnica - quello zappare - è tutta agricola, giammai marinara...
E gli stessi strumenti dei salinari - osservateli attentamente - sono come quelli della campagna.
Hanno vanghe da far sprofondare con la forza del piede.
Quel poco di mare, recintato nelle chiuse, se ne va via intanto col sole e con il vento forte e caldo mentre il coltivare dei salinari indugia nella pazienza, nel metodo e nella speranza del bel tempo.
Il sale è messo a dimora in cumuli alti tre metri e lunghi fino a dieci.


Sono ricoperti di tegole in terracotta collocate a forma di tetto a scongiurare la stagione della pioggia, quando una sola goccia basterebbe a far svanire tutto quel granaio di nitore e i mucchi, inquadrati in un ordine tutto razionale, sembrano dei silos di semenze collocati accanto alle vasche.
La sovrapposizione di terra e mare proclama l'inversione d'orizzonte e i cumuli, allora, diventano come vivai.
Serre dove la modernità - è già successo nelle campagne - ha portato l'orrida plastica dei cesti in sostituzione del vimine ma che il lavoro dell'uomo innesta nel rito eterno: il sudore..."




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