Il cratere formato dall'esplosione dell'ordigno mafioso che nell'ottobre del 1958 danneggiò la tipografia del quotidiano "L'Ora". La fotografia è tratta dal "Giornale di Sicilia" del 20 ottobre del 1958 |
Un ordigno esplosivo confezionato all'interno di un contenitore di latta per pomodori esplose nel porticato al di sotto del quale, in via Mariano Stabile, si trovata la tipografia del quotidiano "L'Ora".
La deflagrazione infranse decine di vetrate di palazzi, ad una distanza di centro metri, e devastò i locali di un negozio di elettrodomestici.
Sul marciapiede si creò una voragine; il crollo dei detriti danneggiò le rotative ed altri macchinari per la stampa.
Non ci furono vittime o feriti, ma l'attentato rappresentò un chiaro attacco contro quella parte di stampa cittadina più impegnata in inchieste antimafia.
Già nel 1948, la sede del giornale palermitano fondato dai Florio - nell'adiacente palazzetto di piazza Francesco Napoli - era stata oggetto di un primo attentato, attribuito alla banda Giuliano.
Dieci anni dopo, l'episodio dinamitardo ebbe una matrice per certi versi più feroce.
Immediatamente, si capì che il mittente dell'ordigno esplosivo non poteva che essere quel clan di cui "L'Ora" stava tracciando da mesi un chiaro identikit: quello corleonese di Luciano Liggio, che da lì a pochi decenni avrebbe utilizzato a Palermo il tritolo anche contro i magistrati.
"La bomba del 19 ottobre del 1958 - ha scritto Vincenzo Vasile in "La corsa de L'Ora" ( a cura di Franco Nicastro, Navarra Editore, 2018 ) - rappresenta e racchiude l'unicità del giornale di Vittorio Nisticò.
In altre parole, è vero - è storicamente vero, significativamente vero per chi volesse studiare la storia dell'informazione in regime di mafia, anzi la storia dell'informazione in Italia - che gli altri... no, gli altri giornali non aprirono un conto con la mafia in quegli anni, e che per molti, moltissimi anni ancora, il giornale L'Ora - il nostro Giornale - si trovò da solo su questa barricata.
Per gli altri non fu così. Gli altri, no.
La bomba del 19 ottobre del 1958 esplose puntuale, dunque, sul bersaglio annunciato.
Non perché l'attentato fosse stato preceduto da minacce o avvertimenti ( non ve ne è traccia nelle cronache dell'epoca, e 'l'avvertimento', la prima intimidazione era proprio l'attentato ), ma perchè il panorama generale era segnato da silenzio e omertà.
Sono taglienti e poco diplomatiche le parole di Nisticò, che - nel ringraziare altri colleghi e testate giornalistiche per le espressioni di solidarietà - ammonisce:
'Gliene siamo grati, ma riteniamo di muoverci nel giusto se ai nostri colleghi e alle altre testate della stampa isolana esprimiamo l'auspicio che non ci si lasci soli nella lotta ingaggiata...
E' ora di finirla con certe carenze e con certi silenzi che sono in ogni caso colpevoli anche quando sono dettati dalla comprensibile preoccupazione di non alimentare le montature a carattere giallo con cui a Roma e Milano si finisce con lo screditare il prestigio della nostra gente...'
Carenze, silenzi, così li chiama eufemisticamente Nisticò:
'e siete pregati di non andare più appresso all'accusa di screditare i siciliani, quando si parla - quando noi parliamo - di mafia'
ammoniva nella sua maniera brusca"
La deflagrazione infranse decine di vetrate di palazzi, ad una distanza di centro metri, e devastò i locali di un negozio di elettrodomestici.
Sul marciapiede si creò una voragine; il crollo dei detriti danneggiò le rotative ed altri macchinari per la stampa.
Non ci furono vittime o feriti, ma l'attentato rappresentò un chiaro attacco contro quella parte di stampa cittadina più impegnata in inchieste antimafia.
Già nel 1948, la sede del giornale palermitano fondato dai Florio - nell'adiacente palazzetto di piazza Francesco Napoli - era stata oggetto di un primo attentato, attribuito alla banda Giuliano.
Dieci anni dopo, l'episodio dinamitardo ebbe una matrice per certi versi più feroce.
Immediatamente, si capì che il mittente dell'ordigno esplosivo non poteva che essere quel clan di cui "L'Ora" stava tracciando da mesi un chiaro identikit: quello corleonese di Luciano Liggio, che da lì a pochi decenni avrebbe utilizzato a Palermo il tritolo anche contro i magistrati.
"La bomba del 19 ottobre del 1958 - ha scritto Vincenzo Vasile in "La corsa de L'Ora" ( a cura di Franco Nicastro, Navarra Editore, 2018 ) - rappresenta e racchiude l'unicità del giornale di Vittorio Nisticò.
In altre parole, è vero - è storicamente vero, significativamente vero per chi volesse studiare la storia dell'informazione in regime di mafia, anzi la storia dell'informazione in Italia - che gli altri... no, gli altri giornali non aprirono un conto con la mafia in quegli anni, e che per molti, moltissimi anni ancora, il giornale L'Ora - il nostro Giornale - si trovò da solo su questa barricata.
Per gli altri non fu così. Gli altri, no.
La bomba del 19 ottobre del 1958 esplose puntuale, dunque, sul bersaglio annunciato.
Fotografia di Giusto Scafidi tratta dal supplemento "Mafia" de "L'Europeo" pubblicato nel 1962, a cura di Renzo Trionfera |
Sono taglienti e poco diplomatiche le parole di Nisticò, che - nel ringraziare altri colleghi e testate giornalistiche per le espressioni di solidarietà - ammonisce:
'Gliene siamo grati, ma riteniamo di muoverci nel giusto se ai nostri colleghi e alle altre testate della stampa isolana esprimiamo l'auspicio che non ci si lasci soli nella lotta ingaggiata...
E' ora di finirla con certe carenze e con certi silenzi che sono in ogni caso colpevoli anche quando sono dettati dalla comprensibile preoccupazione di non alimentare le montature a carattere giallo con cui a Roma e Milano si finisce con lo screditare il prestigio della nostra gente...'
Carenze, silenzi, così li chiama eufemisticamente Nisticò:
'e siete pregati di non andare più appresso all'accusa di screditare i siciliani, quando si parla - quando noi parliamo - di mafia'
ammoniva nella sua maniera brusca"
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