martedì 5 novembre 2019

L'ESTENUANTE PESCA DELLE SPUGNE DEI MARINAI DI MAZARA DEL VALLO

Il porto canale di Mazara del Vallo.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia

Docente universitario, storico, critico letterario, storico ed intellettuale libero dagli schemi ideologici, Virgilio Titone - nato a Castelvetrano nel 1905, dove morì nel 1989 - nel 1971 pubblicò una raccolta di dieci racconti, intitolata "Storie della vecchia Sicilia"
Titone vi narrò personaggi e vicende legate alla sua formazione giovanile con un riferimento letterario che Indro Montanelli indicò in Giovanni Verga.
In uno di questi racconti - "La pensione" -  Titone rievocò il periodo dei suoi studi ginnasiali a Mazara del Vallo, a partire dal 1920.
La scuola si trovava nell'ex Collegio dei Gesuiti, "un grande e severo edificio che occupava quasi tutto un lato della piazza Mokarta, una delle più belle, ma anche, per i vecchi abbandonati edifici che d'ogni lato la circondano e il colore delle loro pietre, delle più malinconiche piazze che mi sia accaduto di vedere", ricorderà l'ex alunno.
Tra le pagine di questo racconto, Virgilio Titone annotò l'allora diffusa pratica della pesca delle spugne, oggi quasi del tutto scomparsa a Mazara del Vallo:

"Era venuta l'estate, un'estate afosa e pesante.
Nei vicoli deserti l'aria stagnava come un'acqua torpida.
La gente usciva solo la sera, quando si cominciava a poter respirare.
Ma centinaia di pescatori, compresi i vecchi e i bambini, lavoravano sulla banchina del Mazaro per allestire le barche che dovevano partire per la pesca delle spugne.


Questa pesca, che ora si fa solo da due o tre barche di marinai di Lampedusa, era una delle maggiori risorse del paese e lo era ancor di più per la marina trapanese.
Le barche dovevano partire in quei giorni per i banchi di Sfax e sarebbero ritornate dopo due mesi.
Durante tutto quel tempo non entravano in porto, se non quando dovevano rifornirsi di acqua.
Rimanevano ancorate sul posto che si assegnava a ciascuna, ed era tutti gli anni lo stesso.
Là, di giorno e di notte, i pescatori, immersi nell'acqua fino alla cintola, strappavano le spugne dalle rocce che affioravano dal mare.
Era un lavoro estenuante e per il quale occorreva anche un capitale non indifferenze.
Bisognava fornire ogni barca - a questo provvedeva naturalmente l'armatore - non solo di tutto l'occorrente per la pesca, ma anche dei viveri e di quant'altro poteva rendersi necessario per coloro che vi erano imbarcati..."

Nessun commento:

Posta un commento