Gruppo di pescatori a Porto Palo di Capo Passero. La fotografia venne pubblicata nell'opera "Italia Nostra", volume 4, edita nel 1965 da Federico Motta Editore |
La tonnara di Capo Passero ha avuto una storia secolare, ed una fama di pescosità che meritò le attenzioni dello scrittore romano Caio Giulio Solino - sua l'indicazione della "magna thynnorum copia" del mare di Pachino - e, in seguito, del poeta pisano Fazio degli Uberti.
Quest'ultimo, nel XIV secolo, riferendosi all'abbondanza dei tonni di quel mare, scrisse:
"Passato Compassaro e volti al canto di Pachino, vedemmo andare in frotta tonni per mare che parea un incanto..."
Oltre che per l'abbondanza di tonni, questa tonnara siracusana ebbe notorietà per un'altra e meno rimarchevole fama: gran parte dei tonnaroti venivano infatti designati fra i reclusi del carcere allestito all'interno del forte dell'isolotto di Porto Palo di Capo Passero.
Di conseguenza, pare che durante le attività di pesca dei tonni, i galeotti non mancassero di dare corso a qualche espediente che permettesse loro di arrotondare i miseri compensi ricevuti dai proprietari della tonnara.
"Secondo una voce raccolta a Portopalo presso alcuni ex-tonnaroti - ha scritto Sebastiano Burgaretta in "L'isola di Capo Passero", edito dall'Ente Fauna Siciliana nel 1988 - nei primi del Novecento, quando le annate registravano abbondante passaggio di tonni, qualche tonnaroto si prestava, clandestinamente e dietro lauto compenso, ad assecondare gli interessi e le manovre di qualche commerciante privo di scrupoli, il quale intendeva forzatamente fare alzare il prezzo dei tonni limitandone la mattanza, a seconda delle condizioni di mercato.
A tale scopo si ancorava di notte una carogna di capra nella zona di mare in cui passavano i tonni, i quali pare che venissero allontanati dal cattivo odore della carogna.
Si spiegavano così repentini e periodici movimenti di tonni che apparivano inspiegabili agli stessi tonnaroti..."
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