domenica 14 marzo 2021

L'EMPATIA DI COMISSO PER L'IDENTITA' GRECA E ISLAMICA DELL'ISOLA



Agrigento,
colonne del tempio della Concordia.
Foto di Federico Patellani


Fra i narratori italiani del Novecento, il veneto Giovanni Comisso è stato uno dei più assidui e sensibili descrittori della Sicilia. Una prova di questa empatia - testimoniata da da decine di reportage lasciati sulle pagine di riviste e quotidiani degli anni Cinquanta e Sessanta ( scritti parzialmente raccolti in "Sicilia", edito a Ginevra nel 1953 da Pierre Cailler ) - si trova in un fascicolo speciale de "L'Illustrazione Italiana" dedicato alla Sicilia e pubblicato alla vigilia del Natale del 1952.

Nell'articolo "Templi e vestigia greche" - accompagnato dalle fotografie di Federico Patellani - Comisso rivela il suo culto per il mondo classico, evidenziando il ruolo delle colonie greche nella storia identitaria dell'Isola. Insieme alle pietre dei templi di Selinunte, Segesta ed Agrigento, Comisso individua ancora nelle "vestigia salienti delle moschee" l'altra anima mediterranea ed orientale della Sicilia: e se non si può negare il peso avuto dalla cultura araba nella antropologia dei siciliani, non si può non contestare a Comisso la sostanziale assenza nell'Isola di resti di moschee ed edifici di età propriamente islamica. Tranne che non riconoscerne tracce consistenti nell'architettura di epoca normanna, che per lo scrittore di Treviso trascorse invece in Sicilia inavvertita e infeconda:   

"Andare verso la Sicilia è come addormentarsi e subito essere presi da un concatenato susseguirsi di sogni che si svolgano in epoche diverse. Quel passaggio dello Stretto di Messina è veramente un trapasso, ci si stacca non solo dall'Italia e dall'Europa, ma dalla vita per entrare in un'altra. E' poi inutile che la memoria o le guide di viaggio, che sono nella mia valigia, vogliano documentare su quest'isola una trama storica fatta con l'impresa di Garibaldi, col terremoto del 1908 o con lo sbarco delle armate inglesi e americane; la solo storia che predomina su di essa è quella delle epoche di penetrazione greca e araba. Persino quella di dominio romano passa inavvertita, come quella di dominio normanno.

E ci si convince, se si raffigura quest'isola triangolare, sospesa tra l'azzurro del mare e la luce irruente del suo cielo, come un fiore creato in modo da essere soltanto penetrato e fecondato da determinati insetti e non da altri. I greci insofferenti della propria patria, smaniosi di fondarne una nuova e gli arabi che trovavano insufficiente la breve fascia costiera della terra d'Africa, sono stati i naturali insetti destinati ad accrescere la straordinaria splendidezza di quest'isola-fiore.

Bambini che giocano
nei pressi del teatro greco
a Siracusa.
Foto di Federico Patellani


Altri popoli approdati in Sicilia, come il romano e il normanno, sono stati soltanto intrusi infecondi. Oppure, passando ad altra immagine, i venti buoni non possono essere per la Sicilia quelli che spirano dal settentrione, ma quelli che formandosi a oriente o a mezzogiorno di essa vi arrivano apportatori di sementi, di uccelli gai e canori, temperando con il loro tepore la dura terra. Delle due epoche feconde, quella greca, vive ancora la impronta nel sangue della gente che è in parte dolce e danzante e in altra parte ardente, belluina e come scenario stanno ancora i ruderi dei tempii solenni e le vestigia salienti delle moschee e delle ornamentazioni moresche..."

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