A distanza di 63 anni dalla sua pubblicazione, "Il Gattopardo" continua a rappresentare un attuale e sorprendente distillato di verità rivelatrici sulle debolezze irredimibili - citando Leonardo Sciascia - della Sicilia e dei siciliani. Le più inveterate sono ricordate nel capitolo quarto del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: quello che narra l'incontro fra il principe don Fabrizio di Salina ed il cavaliere Aimone Chevalley di Monterzuolo, inviato dal Monferrato in Sicilia per convincere ( inutilmente ) don Fabrizio ad accettare la carica di Senatore del Regno. Grazie al celebre monologo del principe di Salina nelle 15 pagine che descrivono quell'incontro si elencano le tare che segnano l'Isola ed i suoi abitanti ancora nel 2021; fardelli caratteriali ed antropologici che prendono capo dal primo:
"In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di fare..."
Rileggere queste pagine de "Il Gattopardo" significa oggi accorgersi del sostanziale e perdurante immobilismo della realtà siciliana; una realtà che, spesso, sfugge a una chiara comprensione dei suoi fatti:
"In nessun luogo quanto in Sicilia - ha scritto ancora Tomasi di Lampedusa - la verità ha vita breve: il fatto è avvenuto da cinque minuti e di già il suo nocciolo genuino è scomparso, camuffato, abbellito, sfigurato, oppresso, annientato dalla fantasia e dagli interessi; il pudore, la paura, la generosità, il malanimo, l'opportunismo, la carità, tutte le passioni - le buone quanto le cattive - si precipitano sul fatto e lo fanno a brani; in breve è scomparso..."
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