giovedì 20 gennaio 2022

CONSOLO, LO SCRITTORE MIGRANTE CON LA SICILIA NEL SANGUE



“Io non so che voglia sia questa, ogni volta che torno in Sicilia, di volerla girare e girare, di percorrere ogni capo della costa, inoltrarmi all’interno, sostare in città e paesi, in villaggi e luoghi sperduti, rivedere vecchie persone, conoscerne nuove. Una voglia, una smania - scrisse in "Le pietre di Pantalica", nel 1988 - che non mi lascia star fermo in un posto. Non so. Ma sospetto sia questo una sorta di addio, un volerla vedere e toccare prima che uno dei due sparisca”

Vincenzo Consolo moriva dieci anni fa - il 21 gennaio del 2012 - a Milano, nella sua casa di Corso Plebisciti. Nato a Sant'Agata di Militello, figlio di un commerciante di olio, zucchero e legumi, dopo essersi diplomato a Barcellona Pozzo di Gotto, al liceo Valla, era arrivato nella metropoli lombarda per studiare giurisprudenza all'Università Cattolica; ma, soprattutto, per diventare uno scrittore a tempo pieno. Da Milano sarebbe tornato una prima volta in Sicilia: un pendolo fra l'Isola e la capitale italiana dell'editoria e della cultura letteraria che avrebbe segnato il resto della sua vita, senza mai allontanarlo dai temi, dalle ambientazioni e dall'antico dialetto della terra in cui era nato.

Disegno di Ben Shan,
"Sole, luna e mano"
tratto dalla copertina
del romanzo di Consolo "La ferita dell'aprile" 
ristampato da
Arnoldo Mondadori Editore nel 1988

 

Quel legame sarebbe stato così descritto da Corrado Stajano, scrittore e saggista nato a Cremona da padre netino, fra i più assidui frequentatori di Consolo a Milano:

"La Sicilia nel sangue. Consolo non ha di certo avuto bisogno di quella nota di diario che Goethe scrisse nel suo "Viaggio in Italia", il 13 aprile 1787: "L'Italia, senza la Sicilia, non lascia alcuna immagine nell'anima: è qui la chiave di tutto". Appena poteva, eterno migrante del ritorno, partiva. Non ha mai tradito la sua isola. Andava per vedere un'altra volta quel che aveva nel cuore. Non lo ritrovava. Ferito tornava al Nord, a Parigi, a Madrid. E poco dopo riprendeva la strada dell'eterno viaggio, riandava in Sicilia. E' morto nella Milano della sua giovinezza. Nella grande stanza foderata dai libri degli scrittori amati di laggiù. Alle pareti un dipinto con una smisurata macchia arancione, il disegno di due ragazzi di Casarsa, di Pasolini, l'"Ignoto Marinaio" di Guttuso, incisioni secentesche, ritratti, carte geografiche dell'Isola stampate all'insù e all'ingiù. Tutto qui sa di Sicilia" 


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