Portone di casa
a Lucca Sicula, nell'agrigentino.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia
"Ogni famiglia abita una casa, quasi sempre conquistata dagli avi con l'emigrazione in America dove i nascituri andranno a loro volta per potersi costruire un'altra casa. In queste case non vi è il focolare, quindi mancano il comignolo, il cibo parsimonioso viene preparato su di un fornello a carbone e quando si guarda il disteso villaggio dall'alto di un monte vicino risaltano queste cubiche case nel gioco di ombra e di luce senza che da alcuna esca un filo di fumo a dare il segno di una vita casalinga..."
Nel 1953 Giovanni Comisso così descrisse in "Sicilia" ( Pierre Cailler, Ginevra ) i villaggi siciliani spopolati dall'emigrazione. Segno più evidente dell'esodo erano le decine di case con le porte sbarrate, abbandonate da persone che cercavano lontano dall'Isola un'occasione di sopravvivenza e sviluppo. Settant'anni dopo, in molti paesi della Sicilia - specie quelli delle zone montane - l'emigrazione del secondo millennio continua a desertificare interi quartieri storici. E se i siciliani emigrati negli anni Cinquanta dello scorso secolo finivano spesso, da pensionati, con fare ritorno nelle case da cui erano partiti, i giovani emigranti di oggi vanno via per non tornare più. A Lucca Sicula, nell'agrigentino, nel secondo dopoguerra l'esodo era diretto in Argentina e Venezuela; oggi si emigra verso i paesi dell'Europa - la Germania, soprattutto - nella continua ricerca di un "altrove" che cancella sempre più i segni di vita nelle vecchie ed abbandonate case del paese.
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