"Dammusi" a Pantelleria. Fotografie di Nino Teresi, opera citata nel post |
Racconta Giosuè Calaciura in "Pantelleria. L'ultima isola" ( Editori Laterza, 2016, Bari ) di un pantesco che, emigrato nella nebbiosa Brianza e nostalgico della sua terra, decise di farsi spedire da Pantelleria un carico di pietre destinate alla costruzione del primo "dammuso" lombardo. Vera o falsa che sia, la storia attesta l'imprescindibile ruolo di questi edifici - circa 8.000, la metà dei quali ristrutturati, secondo Calaciura - nella vita dell'isola e dei suoi abitanti. Da molti decenni ormai i "dammusi" sono diventati oggetto di un mercato immobiliare sempre più esclusivo, alimentato da acquirenti che trasformano questi umili e sapienti esempi di architettura mediterranea in luoghi in cui fare esercitare il libero estro di architetti ed arredatori. Nel 1964, quando Pantelleria era conosciuta dai nativi e dai loro amici strettissimi, il critico d'arte Renato Giani visitò l'isola, che allora gli si presentò come "un mondo arcaico e solenne, una specie di miraggio come se ne possono avere in pieno Sahara". Nel giugno dello stesso anno, l'esperienza di quel viaggio venne raccontata da Giani in un reportage pubblicato dalla rivista "Sicilia", edita dall'assessorato regionale al Turismo della Regione Siciliana. Nell'articolo, corredato da alcune fotografie di Nino Teresi, l'autore così descrisse i "dammusi":
"Domani l'isola sarà forse per errore scoperta dal cinema, verranno i fotografi a mettere a nudo le sue nobili scogliere da leggenda, i "dammusi" segreti, fatti di pietre levate una a una dal terreno, che hanno lo stesso colore del campo circostante, non un'apertura esterna, e paiono genuini blocchi massicci. Sono le abitazioni di campagna, fresche, voluminose, di un tipo probabilmente unico in tutto il mondo mediterraneo.
La parola "dammuso" nella quale non è difficile riconoscere il termine di domus latino, è di derivazione araba o berbera. Si compone d'una vasta camera e di un'alcova e un altro stanzino: il resto è fuori, compreso il forno, la cucina, le stalle, il rotondo "giardino spagnolo", che è un ampio anzi vastissimo pozzo profondo, circolare, al fondo del quale crescono aranci, mandarini, verdura, alcuni fiori gentili e alberelli dritti, sdutti, geometrici, di gradevole grazia estetica ma senz'ombra, quali si incontrano solo nei dipinti del Quattrocento, in Benozzo Gozzoli.
"Dammusi" e giardini raccontano la lotta dei panteschi contro le invasioni barbariche, i pericoli notturni di ancora cento e qualche anno fa, gli sbarchi improvvisi, le difese, la necessità di non far scorgere mai lumi da chi vien dal mare. E anche la necessità di difendersi dai venti dominanti, i quali Eolo alcune volte o di estate o di inverno rovescia sull'isola improvvisamente per alcune ore...
Già inattaccabile ricetto di predoni arabi, alcune località come Kadir, Khamma, Punta Fram, Balata dei Turchi eccetera ne conservano un ricordo duraturo, così del resto anche parecchi aspetti dell'architettura: la cupoletta di terra battuta che copre le abitazioni rustiche, migliori d'aspetto delle volgari costruzioni moderne..."
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