martedì 30 gennaio 2024

LE GRIGIE SETTIMANE DI SIR WINSTON CHURCHILL A SIRACUSA

Winston Churchill e la moglie
Lady Clementine all'interno
del Grande Albergo Villa Politi,
a Siracusa


Otto anni dopo lo sbarco alleato del luglio del 1943, Sir Winston Churchill - uno dei suoi principali promotori - mise piede per due settimane in Sicilia. Il 12 aprile del 1955, a sette giorni dalle sue dimissioni da primo ministro del governo inglese dinanzi la regina Elisabetta, un "Vickers Viscount" decollato da Londra atterrò all'aeroporto di Catania. Con Churchill, viaggiavano la moglie - Lady Clementine - ed altri 15 tra familiari ed assistenti: fra questi, il maggiordomo Kirkwood, il segretario personale John Colwille ed il consigliere Lord Charwell. Gli addetti alla sicurezza schierati a tutela della privacy degli ospiti inglesi erano guidati da un silenzioso "signor Murray". La comitiva - che portava con sé 32 bagagli con l'etichetta "proprietà del molto onorevole Sir Winston Churchill" - trovò a bordo pista le automobili che in un paio di ore raggiunsero la meta prescelta dall'ex leader britannico per il soggiorno nell'Isola: Siracusa, luogo già visitato da Churchill, all'epoca primo lord dell'ammiragliato della Royal Navy, nel maggio del 1912. Era stata quella una fugace apparizione di poche ore, durante una traversata da Napoli a Malta. Sembra che la scelta di stabilirsi a Siracusa per un ben più lungo periodo di tempo gli fosse stata suggerita da Sir Walter Monckton, ministro dei Lavori Pubblici, che aveva lì soggiornato un mese prima. 

L'arrivo di Churchill
all'aeroporto di Catania,
il 12 aprile 1955


Churchill a Siracusa




L'alloggio fu lo stesso di Monckton: il Grande Albergo Villa Politi, nei pressi della Latomia dei Cappuccini, luogo degno dell'importanza dell'ospite e con il vantaggio di un'ubicazione appartata rispetto alla città. La comitiva inglese occupò quasi interamente l'edificio. Churchill ebbe a disposizione l'appartamento 30, dotato di uno studiolo con vista sul mar Jonio ed impreziosito da due tavole trecentesche prelevate dal Museo Civico: un omaggio alla passione dell'ex statista per la pittura, che Churchill aveva praticato con discreti risultati a partire dal 1921 a Parigi con lo pseudonimo di Charles Morin. Lady Clementine occupò l'appartamento 25 per l'occasione arredato con due olii, sembra, di Giovanni Fattori. Entrambi i coniugi erano arrivati a Siracusa in condizioni di salute segnate dall'età. Churchill aveva all'epoca 81 anni, stringeva ancora fra le labbra i suoi famosi sigari ma era reduce da un paio di ictus ed un infarto; la moglie esibiva al braccio sinistro bende in seta, rimedio contro l'artrite reumatoide. Il loro soggiorno a Siracusa - seguito con invadente curiosità dagli inviati di tutti i giornali italiani, a fatica fronteggiata dall'entourage dell'ex primo ministro - non ebbe il conforto meteorologico forse sperato dagli illustri ospiti inglesi. Il vento di grecale, il cielo grigio e il mare mosso regalarono loro un clima molto familiare. Anche per questo motivo, Churchill si concesse poche uscite da Villa Politi. Accompagnato dal vice console britannico Baker - un gallese innamorato della Magna Grecia - visitò il teatro greco, l'orecchio di Dionisio e la Grotta dei Cordari. I due ebbero modo di parlare della naumachia che nell'agosto del 413 avanti Cristo contrappose nel mare di Siracusa in un sanguinoso scontro siracusani e spartani alla flotta ateniese, quest'ultima quasi del tutto annientata. Sembra che il vecchio primo ministro - appassionato di storia delle battaglie - ripetesse che dopo quell'evento "Siracusa, piuttosto che Roma o Cartagine, avrebbe potuto allora conquistare il mondo". Churchill ebbe poi modo di appagare durante il soggiorno siracusano la sua passione per la pittura. 

L'ex primo ministro inglese
dipinge una delle tre tele
eseguite a Siracusa


Pare infatti che abbia realizzato una tela con la riproduzione della Grotta dei Cordari e abbozzato i disegni di altre due, con l'intenzione di completarli in Inghilterra. Di certo, a Siracusa uno degli uomini che hanno fatto la storia mondiale del Novecento scrisse alcune pagine dell'opera "Storia dei popoli di lingua inglese", la cui anteprima di pubblicazione, nel 1956, sarebbe stata perfezionata nei saloni di Villa Politi. Qui, quattro giorni dopo l'arrivo a Siracusa, Churchill incontrò l'ambasciatrice americana in Italia Claire Boothe Luce con il marito Enry Luce, editore delle riviste "Life", "Time" e "Fortune". La riunione servì all'ex primo ministro per concordare la pubblicazione dell'opera a puntate su "Life", dietro compenso di 200.000 dollari. Fu forse la chiusura del lauto contratto il vero motivo del soggiorno siracusano di Churchill a Siracusa, che si concluse in contrada Canalicchio con una veloce visita al Cimitero di Guerra del Commonwealth, ufficialmente istituto due anni prima. 

L'ambasciatrice americana in Italia
Claire Boothe Luce con il marito
Enry Luce,
l'editore di "Life", "Time" e "Fortune"


Sull'aereo che riportò Churchill, la moglie Lady Clementine ed il loro seguito in Inghilterra, trovarono posto - oltre alle tre tele siracusane - una cassetta di vini bianchi dell'Etna ed alcuni modelli di carrettini siciliani. L'anziano leader britannico salutò le autorità che lo avevano accompagnato in aeroporto a Catania facendo il segno di vittoria con le dita. Era la mattina del 26 aprile. Dopo giorni di cielo grigio e vento, riluceva il sole e le temperature erano finalmente primaverili. Sembra che le ultime parole pronunciate in pubblico da Churchill prima della chiusura del portellone del "Vickers Viscount" siano state: "Vado via portando con me il tempo che ritroverò in Inghilterra"


La prima fotografia del post è tratta dalla rivista "Italsuisse", Numero Unico dedicato alla Regione Siciliana nel 1955Le altre sono state pubblicate dalla rivista "Sicilia" edita nel giugno del 1955 dall'assessorato regionale al Turismo.

domenica 21 gennaio 2024

CASE A PETRALIA SOTTANA

 

Foto
Ernesto Oliva-ReportageSicilia

UN REPORTAGE DI FRACCAROLI SULLA RICCHEZZA A SERRADIFALCO

Serradifalco, nel nisseno.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Grande firma del "Corriere della Sera" nella prima metà del Novecento, Arnaldo Fraccaroli è stato un prolifico autore di libri di viaggio - 16 in tutto, dall'India alle Americhe, dalla Cina alle isole del Pacifico - 34 fra romanzi, novelle e saggi, 16 biografie e 32 fra commedie e lavori teatrali. Fra questa sterminata produzione letteraria e giornalistica, Fraccaroli trovò modo di scrivere anche della Sicilia. In un reportage pubblicato dal "Corriere" nel novembre del 1934, diede conto di un viaggio che da Palermo ( con la visione ancora possibile di una Conca d'oro "verdissima e metallica di mandarini e di ulivi e di palme" ) lo portò ad Agrigento ( "apro la finestra e mi sento investire da una zaffata di profumo inebriante: nel giardino è tutto un candido stellar di gelsomini" ) e da qui, sino a luoghi meno battuti dai cronisti e dai viaggiatori nell'Isola. Fra questi, Castrofilippo - "tagliato crudo e grigio sulla linea del monte, le donne bellissime fra le case basse, le donne ammantate di nero, con profondi occhi e mistica autorità di atteggiamenti" - e Canicattì, "cittadina ventosa sopra il monte: gli abitanti si tengono fasciata la testa alle orecchie". Più lungo è il racconto della visita a Serradifalco, dove Fraccaroli - con  uno spirito di osservazione proprio dei grandi giornalisti - così valuta la diversa condizione economica dei suoi abitanti: 

"Rientrava la gente dai campi, e mi viene fatta notare la diversità di condizione delle famiglie giudicata dalla diversità delle cavalcature. 



A non calcolare quelli che vanno a piedi, e sono pochi, il più modesto è costituito dai coniugi che si servono di un solo somarello per farsi portare tutti e due sullo stesso dorso. Poi viene la famiglia che ha un carretto: è già un buon avanzamento. Ma siccome è preferibile cavalcare, l'avere un mulo è considerato come un gradino più su nella scala della agiatezza, anche se il mulo deve portare insieme uomo e donna. Due muli, uno per il marito uno per la moglie, costituiscono già mezza ricchezza, ma la vera distinzione si raggiunge quando il marito, che ha già il cavallo, può offrire un cavallo bianco alla sua donna. A Serradifalco, al tramonto, vecchi montanari stavano seduti a discorrere sulla soglia delle case, alla moda siciliana, e file di capre vagavano per la lunga strada diritta del paese ( quasi ovunque i paesi hanno questa lunga strada dritta che li traversa ). A lato di ogni porta è infisso nel muro un anello di ferro. La famiglia arriva, scende, lega la cavalcatura all'anello, entra in casa, la cena è parca, il focolare e i letti sono quasi sempre nell'unica stanza al pianterreno. 



Dopo cena, un pò di conversazione in strada, e qualche volta l'armonia di una canzone lenta malinconica a lunghe note strascicate si leva dall'ombra. Ma per poco. Si va a letto presto, perché al mattino bisogna alzarsi prima del sole.  E tutte quelle stelle in cielo sembrano sprecate. Chi le gode? Vita dura sugli alti monti, e terreno restio"

domenica 14 gennaio 2024

CREDENZE POPOLARI E UTILIZZO DELL'AGAVE IN SICILIA

Agave in Sicilia.
Fotografia accreditata ad Armao
tratta dalla rivista "Sicilia"
edita nell'ottobre del 1960


In un lungo articolo pubblicato nel marzo del 1962 dalla rivista "Sicilia" edita dall'assessorato regionale al Turismo, Salvatore Lo Presti raccontò tradizioni e leggende allora ancora tramandate nell'Isola riguardanti l'agave americana: una delle piante siciliane più diffuse, il cui nome deriverebbe dal greco "agavòs", cioè "illustre" o "nobile", e che in Sicilia prende il nome di "zammara" o "zabbara". Sembra che l'agave venne qui importata da Padova dopo il 1561; la città veneta ospitò quell'anno in un orto botanico alcuni esemplari provenienti dal Sudamerica. Da qui la pianta si moltiplicò soprattutto nel Sud d'Italia. In Sicilia, sino al secondo dopoguerra, la fibra dell'agave veniva utilizzata per farne corde e spaghi: un lavoro che iniziava nel periodo estivo con la raccolta delle piante. Dopo essere state divise in due, venivano essiccate al sole e quindi battute a lungo con mazze di legno per estrarne le fibre delle scorie essiccate. Pulite, asciugate, sbiancate grazie all'azione del sole e dell'aria, le fibre venivano infine trasformate in matasse destinate ai filatoi. 

"La lavorazione a Catania - si legge nell'articolo di Salvatore Lo Presti - viene affidata quasi sempre a cinque donne, una delle quali gira a mano la "ruota" del congegno - un primitivo mulinello di legno, simile a quello usato dai cordai - mentre le altre accompagnano la ritorsione dei filamenti, mantenendoli distesi a distanza e vigilano, nello stesso tempo, affinché le cordicelle che si vanno man mano formando non si impigliano fra di loro"

Angela Sardo Zuccarello,
"Agavi in fiore",
particolare


L'aspetto esuberante e la presenza degli aculei in passato hanno alimentato in Sicilia pregiudizi e timori intorno all'agave, così ancora descritti da Lo Presti:

"E', ad esempio, un antidoto sicuro contro la jettatura e il malocchio; e perciò, quando è piccola, tenuta in vasi di terracotta, viene esposta all'ingresso delle abitazioni, in punti molto visibili, od anche sui davanzali delle finestre o sui balconi. A Catania, a rafforzare il potere scongiuratorio che le viene attribuito, si usa anche cingere i vasi che la contengono, o annodare una delle sue foglie con un bel nastro di seta rosso, cui si aggiungono talvolta un ferro di cavallo e una testa di aglio: elementi, questi, anche ricordati, insieme con altri "amuleti" adoperati allo stesso scopo, in varie formule di scongiuro. Gli aculei dell'agave, le cui punture sono ritenute velenose, se portati addosso, sono efficaci per allontanare la jettatura e il malocchio allo stesso modo dell'intera pianta; essi sono considerati a Marsala straordinariamente efficaci nel sedare il mal di denti: però l'aculeo con quale si dovrà toccare il dente che fa male dev'essere stato reciso dalla pianta un venerdì di marzo, prima del sorgere del sole, e seccato con ogni cura. La stessa condizione deve ricorrere per fare scomparire l'acne e l'infiammazione delle gengive; pungendo, nel primo caso, le suppurazioni incipienti, e nel secondo, le gengive infiammate (Trapani). Col succo dell'agave, infine, si medicano le ferite..."

IL FALLITO BOMBARDAMENTO DEL CASTELLO UTVEGGIO NEL LUGLIO 1943

Il castello Utveggio,
scampato ad un bombardamento nel 1943.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Nel saggio di Samuel Romeo e Wilfried Rothier "Bombardamenti su Palermo" ( Istituto Poligrafico Europeo Srl, Palermo, 2017 ) si offre una rassegna fotografica storica sulle devastazioni provocate dalle bombe alleate in città durante il secondo conflitto mondiale. Alcune di queste immagini - che documentano lo sgancio di decine di ordigni sulla zona del porto - furono scattate dalla sommità di monte Pellegrino, e precisamente dalle terrazze del castello Utveggio. Qui il Corpo Aereo Tedesco allestì il centro di comando che, dalla strategica vetta del Pellegrino, coordinava il fuoco delle postazioni antiaeree sparse sul territorio di Palermo ( una di queste era installata sulle terrazze di Porta Felice ). La requisizione per usi militari del castello Utveggio, inaugurato con la funzione di albergo-ristorante nel settembre del 1932, ne determinò la destinazione di tre piani ad alloggio per militari tedeschi ed italiani. La mattina del 22 luglio del 1943, con le truppe americane già in vista di Palermo, i pochi tedeschi rimasti a presidio del castello decisero di abbandonarlo. Per non consegnare l'edificio dotato ancora di armamenti al nemico, fu stabilito di bombardarlo: un'operazione che secondo gli stessi militari tedeschi avrebbe potuto però comportare un insuccesso e notevoli rischi per i piloti a causa dei vuoti d'aria presenti a valle del Primo Pizzo, dove si trovavano i serbatoi per il rifornimento idrico dell'albergo. La previsione - come scritto da Michele Collura in "Il castello Utveggio. Storia di un'impresa" ( Sellerio editore Palermo, 1991 ) - si rivelò esatta:

"Dopo poco meno di quarantotto ore dal ripiegamento del Corpo Aereo Tedesco, comparve all'alba sul cielo di Palermo un aereo tedesco che scendeva in picchiata in direzione Sud verso il castello Utveggio... Per potere centrare l'obiettivo i piloti si abbassarono troppo e nonostante ciò non riuscirono a colpire l'albergo. Andarono però molto vicini al bersaglio perché una grossa bomba esplose nel giardino a monte, a soli tre metri dai serbatoi idrici ed a circa trenta metri dall'albergo. Le altre bombe sganciate esplosero nel dirupo a Nord-Ovest del Primo Pizzo a pochi metri, in linea d'aria, dai serbatoi stessi... L'aereo tedesco, un "Zu 88", non riuscì a risalire in tempo per evitare il massiccio montuoso a tergo del Primo pizzo e andò a disintegrarsi sulla montagna in prossimità della grotta del Caccamo..."



Scampato alla distruzione, con l'occupazione americana il castello Utveggio iniziò a subire la spoliazione ed il saccheggio di arredi e suppellettili: un capitolo oscuro nella lunga storia di abbandono e di sporadici utilizzi come centro di formazione di un edificio che sovrasta magnificamente Palermo. Ancora oggi - dopo una complessa opera di ristrutturazione ed il passaggio di gestione alla Presidenza della Regione - l'ex albergo attende un rilancio funzionale, che magari lo faccia meglio conoscere a tanti palermitani che, da lontano, si limitano ad ammirarlo dalla città.