venerdì 13 settembre 2024

COLTA E GAGLIOFFA, L'ANIMA DOPPIA DI PALERMO RACCONTATA DA ANTONIO CALABRO'

Cocchiere palermitano
nei pressi di Porta Nuova.
Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"La storia recente di Palermo, insomma, - ha scritto Antonio Calabrò in "Aziz l'ambigua", uno dei capitoli del saggio "Palermo. Passeggiate d'autore ( Bruno Leopardi Editore, Palermo2001 ), capitolo ricco di osservazioni che rispecchiano ancor oggi la realtà palermitana - è storia di distorsioni, di modernità dimezzata, di sprechi, di occasioni perdute. Che hanno acuito una pesante contraddizione, ancor oggi apertissima: tra la città colta ( le settimane di "nuova musica" negli anni Sessanta, gli spettacoli del Living Theatre e del miglior teatro d'avanguardia d'impronta europea, i cineclub, il jazz internazionale del Brass Group, le case editrici alla Sellerio, i circoli, le buone librerie ) e la città gaglioffa, tra una borghesia minoritaria e sofisticatamente internazionale e una piccola borghesia maggioritaria che, del Sud, coltiva i vizi peggiori. E adesso? Adesso si va ancora avanti così. Città doppia, insomma. Ambigua. Difficile. E pur incerta tra la magnificenza popolare delle Feste religiose per la patrona Santa Rosalia e il laicissimo interrogarsi dei suoi giovani romanzieri, dei suoi uomini di cultura, dei suoi compositori di musica contemporanea, dei suoi spregiudicati ironici registi su quale debba essere il destino d'una città che si è sempre pretesa "europea" e non vuole subire il degrado d'una marginalità economica e geografica..." 

giovedì 12 settembre 2024

PANTELLERIA, L'ISOLA CHE CONSERVA I SEGNI DELLA SUA STORIA ISLAMICA

Due fotografie scattate a Pantelleria
e pubblicate nel settembre del 1973
dalla rivista "Mediterraneo"
edita dalla Camera di Commercio di Palermo 


Pantelleria non vanta né una chiesa né i resti di un edificio che testimonino l'influenza islamica in Sicilia nella nobile architettura di epoca normanna, visibile con chiarezza a Palermo, Monreale, Cefalù - e, per rimanere nella provincia trapanese - a Mazara del Vallo e Castelvetrano. Eppure, Pantelleria è l'unica terra italiana e d'Europa in cui toponomastica delle contrade ed edilizia rurale conservano un'impronta marcatamente maghrebina: l'eredità di una pacifica colonizzazione dalla Tunisia che segnò la storia dell'isola secoli dopo la sua bellicosa invasione araba, risalente al 700 dietro Cristo

"... Si può dire - ha scritto Gin Racheli in "Le isole minori della Sicilia" ( Giuseppe Maimone Editore, Catania, 1989 ) - che tutte le Isole siciliane fossero deserte oppure abitate da pochi disperati e che pertanto ai secoli dal IX all'XI, quando arrivarono i Normanni, debba collocarsi la fine del periodo romano-cristiano delle isole minori e la scomparsa delle etnie isolane; d'ora innanzi esse si ritroveranno completamente senza una continuità storica con le precedenti. Agli Arabi interessavano in modo particolare le isole occidentali per la loro posizione ideale sulla rotta di casa: perciò su di esse, più che sulle settentrionali, essi concentrarono una cura assidua allorché, dopo la conquista spietata, iniziarono lo sfruttamento economico dell'area siciliana. Nulla sappiamo di Lampedusa e Linosa, mentre appare certo che i Musulmani diedero un notevolissimo impulso all'agricoltura in Pantelleria a partire dal IX secolo, e che per quest'epoca deve risalire l'inizio della costruzione dei "dammusi" e della straordinaria trama dei muri a secco. 



Nei "dammusi" il modulo architettonico è esclusivamente arabo e ciò perché l'Isola fu ripopolata da coloni tunisini; se ne ha la conferma anche nella toponomastica rimasta inalterata da allora ad oggi, con le denominazioni in lingua araba. Tra le coltivazioni, i nuovi coloni importarono quella del cotone e degli agrumi che erano sconosciuti in Europa prima della dominazione musulmana, mentre mantennero la viticoltura perfezionandola e ottenendo lo squisito "zibibbo": erano maestri nelle tecniche dell'irrigazione..." 

domenica 8 settembre 2024

SUGGESTIONI E STORIE DI CRUDELTA' NELLE GROTTE DI MARETTIMO

La grotta del Cammello,
a Marettimo.
La fotografia venne pubblicata nel 1961
in "Visioni della provincia di Trapani"
( Istituto Geografico De Agostini di Novara )


"Affermano i nativi che a un forestiero basti visitare la grotta del Presepe e quella ancora più vasta della Bombarda per capire la bellezza della loro isola"

Così Flavio Colutta in un suo reportage sulle isole Egadi pubblicato nel febbraio dalla rivista del Touring Club Italiano "Le Vie d'Italia" nel febbraio del 1955 fece riferimento all'attrattiva delle grotte marine che punteggiano la costa di MarettimoDue anni prima, un'altra pubblicazione del Touring Club Italiano - la Guida Rossa intitolata "Sicilia" - consigliava il giro in barca dell'isola e la visita di alcune di queste cavità carsiche:

"Risalendo verso Nord lungo la costa, si passa presso lo scoglio del Cammello e la grotta omonima... Girando verso Sud si visita la bellissima grotta del Presepe, entrandovi in barca, con rocce e concrezioni stalagmitiche molto interessanti. Più a Sud ancora la grotta della Bombarda, ancor più vasta e con acque più profonde..."

La più affascinante fra tutte le grotte di Marettimo - ma anche quella che richiede un'adeguata e collaudata esperienza subacquea - è la "Cattedrale", nei pressi di punta Martino: si trova ad una profondità di 27 metri e si sviluppa per un centinaio di metri. Il suo nome - si legge nel volume "Isole Egadi - Aria Marina Protetta" edito nel 2014 dal Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare dell'Università degli Studi di Palermo - si deve alla presenza "di numerosi speleotemi, che includono le stalattiti sulla volta o le stalagmiti sul pavimento spesso unite fra loro a formare una sorta di colonnato che sembra sorreggerne la volta..." 



In un opuscolo intitolato "Una perla in fondo al mare, sintesi storica-politica-sociale dell'isola di Marettimo" - libretto pubblicato nel 1928 da Pietrino Eduardo Duran, si legge invece dell'uccisione di una foca monaca avvenuta il primo luglio del 1901 all'interno della grotta del Cammello. La soppressione del mammifero - animale che una ventina di anni fa ha fatto ritorno a Marettimo, frequentando la stessa grotta - fu una impietosa esecuzione messa a segno con fucili da caccia. Sembra che la sfortunata foca monaca, dal peso di tre quintali e mezzo, sia stata in seguito trascinata da una barca con una fune sino al porto. Gli autori della sciagurata impresa ne conciarono la pelle, poi utilizzata per rivestire "un salottino"; la carcassa del povero mammifero - a lungo ritenuto estinto nelle Egadi grazie a questo tipo di trattamento riservatogli in passato dagli uomini - venne invece ributtata in mare. 




LA VUCCIRIA SCOMPARSA IN UN RACCONTO DI DOMENICO REA

Mercato della Vucciria, a Palermo.
Le due fotografie, accreditate a Nino Teresi
e Lucio Tezza, vennero pubblicate
dalla rivista "Sicilia" nel giugno del 1979


"Io sono del parere che per capire Palermo, la sua storia, il carattere della sua gente, è necessario fare una passeggiata per le strade della Vucciria. Ogni altro monumento, moresco o spagnolo, impallidisce al confronto. Il Mercato dei Vergini di Napoli, tutto sommato, resta un piccolo, tipico, piccolo, pittoresco mercato, legato alla "napoletanità". La Vucciria, invece, è uno dei grandi mercati del Mediterraneo. Il primo si trova a Barcellona, il secondo è la Vucciria di Palermo, il terzo è il Bazar della vecchia Costantinopoli..."

Così, nel marzo del 1957, lo scrittore e giornalista napoletano Domenico Rea poteva ancora raccontare sulle pagine del "Corriere d'informazione" ambiente e personaggi di un mercato nel frattempo diventato solo uno specchietto delle allodole per i turisti che credono ancora di trovarvi l'anima di Palermo. Da molti anni, la Vucciria ed i suoi pochi venditori ambulanti - persa la loro funzione mercantile a favore di una clientela cittadina vasta ed eterogenea - recitano la parte di se stessi, pronti soprattutto ad accogliere un affollamento notturno fatto di schiamazzi e risse alcoliche. Rea visitò la Vucciria quando il mercato stava vivendo gli ultimi anni di vitalità; un declino determinato nel secondo dopoguerra - ha scritto Rosario La Duca il 26 giugno del 1988 sulle pagine del "Giornale di Sicilia" - "dallo spopolamento del quartiere Castellammare, dovuto soprattutto al suo mancato risanamento edilizio... dalla lunga chiusura degli uffici comunali della via Roma ed anche dalla rara apertura della contigua chiesa parrocchiale di Sant'Antonio Abate... Così la disaffezione dei vecchi clienti, il venir meno di molte altre fiorenti attività commerciali di un tempo, la riduzione degli orari di vendita, la chiusura nel pomeriggio, soprattutto delle rivendite di pesce, lo hanno fatto via via declinare..."

In quella Vucciria da lui accostata al mercato di Barcellona ed al bazar di Costantinopoli, Domenico Rea potè ancora trovare un'ambientazione simile a quella di una "una paranza a mare, nella furia sanguinolenta di una mattanza, illuminata dalle stesse lampade fluorescenti che portano le lampare a prua" .



In questo scenario, ecco il friggitore di polpi, buttati "nella padella ribollente d'olio sotto i vostri occhi e quando sono diventati corruschi e croccanti li ritira e li depone sopra un banchetto"; e i pescivendoli, che espongono "dalle alici alle sarde grosse come cefalotti, dagli scorfani alle aguglie, dal pesce luna ad un mastodontico tonno, dalle murene ai polpi piccolissimi o grandi come piovre, dai calamari alle ostriche, fino ai figli dei tonni - i tonnarelli - lunghi un mezzo metro, lucidi e sodi, con le code arcuate e taglienti che, con loro colore di piombo lucidato, fanno pensare ad apparecchi aerei supersonici..."

In molti angoli della Vucciria, Domenico Rea si imbatte nei venditori di olive, "dalle olive curate senza sale alle olive sott'olio o infornate o schiacciate o secche, sempre grandi come noci e morbide come prugne, esposte a forma di cataste piramidali piene di erbette aromatiche"; alcune di queste sono vendute da "giovani contadini dalle facce oleose, seduti dietro un banchetto che sembrano pastori dell'Asia..."

In quella Vucciria di quasi settant'anni fa scomparsa per sempre, Rea perse ogni nozione materiale del tempo. La vita gli sembrò come un'eterna vigilia mangereccia di Natale o di Pasqua, al punto da fargli scrivere:

"Si dice che i siciliani che hanno amici o parenti inappetenti li conducano a fare un giro per la Vucciria, certi che alla fine l'inappetenza guarisce. E' una diceria, ma assai verosimile: perché ove non potesse la roba esposta vi riuscirebbero i venditori, l'ambiente, l'illuminazione, l'odore, l'esempio altrui, l'oblio dei propri guai e di se stesso..."