sabato 17 dicembre 2016

"STREET FOOD", OVVERO IL TEMPO PERDUTO DI PANELLE, MUSSO E QUARUME

Un venditore ambulante di "pani cà mèusa"
nella Palermo degli anni Trenta dello scorso secolo.
La fotografia è tratta da un reportage pubblicato nel luglio del 1938
dalla rivista del TCI "Le Vie d'Italia"
Per secoli non ha avuto nome.
Stava lì, negli angoli più poveri e popolari della Sicilia, con i suoi odori ed sapori forti a nutrire lo stomaco di chi non poteva permettersi un più signorile desco.
Poi, qualche anno fa, qualcuno decise di dargli la decorosa dignità di una definizione: "cibo da strada".
Quindi, sono arrivati i "consulenti della comunicazione" e gli strateghi del "marketing"; così, panelle, musso, quarume, stigghiole, frittola, arancine o arancini ed altre specialità siciliane intraducibili in lingua inglese hanno preso il nome di "street food".
La nuova definizione ha stravolto anche l'ambientazione e l'antropologia del consumo di queste prelibatezze della cucina povera.
Cibi un tempo grondanti di olio rancido e dalla manipolazione fuori ogni norma oggi pensabile dall'Unione Europea sono sempre più preparati e consumati lontano dall'ambiente di origine: vicoli e piazze fatiscenti dei centri storici, regno di venditori ambulanti eredi di vecchie tradizioni familiari.



Così, l'odierno "street food" si consuma in stand allestiti nelle piazze monumentali durante "cooking show", spesso accompagnati da "wine tasting"; gli scenari ed i protagonisti sono assai diversi da quelli descritti nel luglio del 1938 a Palermo da un reportage della rivista del TCI "Le Vie d'Italia":

"Altra figura assolutamente locale è quella del 'cacciuotaro' ( venditore di pane e frattaglie ).
Questi è fornito di un cesto, foderato di lamiera, contenente un capace tegame ricolmo di fette sottilissime di milza, polmoni e altre frattaglie già bollite, che, al fuoco sottostante, soffriggono nella sugna.
Con questo va girando, generalmente verso sera, per tutte le trattorie, vendendo i suoi 'cacciuotti', cioè delle pagnottelle assai soffici, a forma di rombo, tagliate col coltello e riempite di frattaglie e formaggio tagliuzzato finemente.
Durante il giorno, invece, le imbottisce solo con milza, e si chiama 'vinnituri di pani cà meusa'.
Il suo grido caratteristico è:
'Pani càvuru c'a mièusa! Cacciuotti! Càvuru su!'"


   

2 commenti:

  1. La versione più recente e grottesca è la focaccia "mignon" con una ridotta quantità di condimento, per potere essere agevolmente consumata in un solo boccone, come suggerisce la dilagante moda del "finger-food" (sic). [a.d.n.]

    RispondiElimina
  2. Questo signore nella foto e il mio bisnonno Pietro Romano e la foto e stata scattata alla vucciria di Palermo dove vendeva u pani ca miavusa da lui a i suoi figli fini hai nipoti e finire con me che sono il più giovane della famiglia a vendere il panino con la milza

    RispondiElimina