giovedì 14 dicembre 2017

I MURALES DELLE MURA TERREMOTATE DI VITA

Uno dei murales dipinti una quindicina di anni fa a Vita,
il comune trapanese danneggiato dal terremoto del Belìce.
Le fotografie del post sono di ReportageSicilia

Arrivi in paese dopo avere percorso una provinciale che conduce il viaggiatore in una strada trapanese da cartolina toscana: filari di platani ai bordi di una strada incassata fra colline coltivate ad ulivi e vigne.
In autunno, è una quieta e incantata esplosione di foglie rubicanti, verdi e gialle.
Superata una curva, la mole imponente del tempio di Segesta trasforma la Toscana in Sicilia; oltrepassi quindi il cartello che indica l'ossario che celebra i morti garibaldini di Calatafimi ed il cartello "Vita" ti rimanda all'ammonimento di Roberto Alajmo in "Palermo è una cipolla" ( Laterza, 2005 ): 

"Non credere che le cose da queste parti siano sempre come appaiono a prima vista.
Non è che tu ti possa abbandonare alla contemplazione del bello come se fossimo in Polinesia o nella campagna toscana.
Qui non c'è da fidarsi, e anzi è proprio quando sembra di avere raggiunto l'estasi che arriva il cazzotto sullo sterno, quello che ti leva il fiato e ti costringe a riprendere la misura del distacco dalle cose"








Il paese di Vita è uno dei 22 comuni della Sicilia occidentale che hanno subìto le conseguenze del devastante sisma che colpì il Belìce nel gennaio del 1968.
Qui le scosse hanno distrutto soprattutto i già precari equilibri sociali del territorio, accelerando il fenomeno migratorio e la desertificazione di ogni risorsa umana ed economica: la metà dei 2.000 residenti di Vita sono ultra sessantenni.
Passeggiando tra le strade del centro abitato - ad esempio, lungo una fobica cortina di deserti edifici popolari - è lecito chiedersi se le scelte urbanistiche post sisma abbiano recato danni più gravi dello stesso terremoto.
Un piano di trasferimento parziale della popolazione portò alla creazione di un nuovo insediamento, sviluppato più a valle lungo un asse direzionale tracciato ortogonalmente al vecchio centro.








Le macerie degli edifici crollati cinquant'anni fa invadono ancora alcune strade di Vita, come se le scosse risalissero a poche ore fa.
Per cancellare lo scempio edilizio del 1968 - mettendo in sicurezza pure case e palazzi ancora lesionati - occorrono quasi 4 milioni di euro.
Nel frattempo, gran parte degli edifici pubblici ( fra questi, il Comune ed un centro sociale ) non usufruiscono delle opere di manutenzione, né al Municipio è possibile accedere ai finanziamenti europei perché mancano i fondi per presentare i progetti di ristrutturazione.
E poiché anche in quest'angolo dimenticato e necrotizzato di Sicilia  non mancano i paradossi, negli anni passati a Vita sono stati spesi miliardi di lire per costruire un centro di accoglienza per anziani ed un parco urbano oggi in totale stato di abbandono.






Gli unici barlumi di vita a Vita - inevitabile e beffardo gioco di parole - sono gli ormai pallidi colori dei murales dipinti una quindicina di anni fa lungo le strade del paese nuovo e su alcuni edifici danneggiati dal terremoto.
Questi disegni rappresentano scene di lavoro nei campi e all'interno di botteghe artigiane: una malinconica riproposizione di normale vita paesana, in un luogo dove la cattiva mano dell'uomo - fra errori di gestione, sprechi, clientelismi ed ignavia politica - ha reso permanenti le conseguenze della devastazione naturale.



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