venerdì 7 giugno 2019

IL RETORICO MITO ISOLANO DEI POLI INDUSTRIALI

Industrializzazione in Sicilia.
Le fotografie sono tratte 

dalla rivista "Viaggiare", opera citata
"Questo nostro interno siciliano, arido, pietroso, descritto con le fosche tinte di una piatta desolazione, sta riserbando delle sensazionali sorprese, si rivela ormai all'attenta ricerca delle poderose trivelle, tesori di risorse nuove, energetiche.
Le sterminate distese, battute dai venti soffocanti, dove scarse colture allignate e dove sole oasi di verde e di macchie di vegetazione si alternano radamente, le sterminate distese, dove le striature solforose e i cumuli di zolfo riarsi hanno segnato il paesaggio di un acre sfondo, non saranno, forse, condannate senza speranza ad un avvenire mediocre e stentato, basato sulla pastorizia e sulla cerealicoltura o tantomeno discreditate fortune delle zolfare.
Molto tempo non trascorrerà, se le nuove premesse appaiono più che fondate, perché questo deserto di pesante solitudine tra il feudo medievale e squallido e la patina giallastra dei cumuli di zolfo si trasformi in una zona, se non tutta di verde rigoglioso, di tralicci, di trivelle, di cantieri, di opifici, dei segni moderni della civiltà industriale..."
( "Il quadrilatero del metano nel cuore dell'ennese", articolo di Giuseppe Marino, in rivista bimestrale "Viaggiare", edita nel febbraio del 1963 da Società per l'Incremento Turistico

Sfogliando riviste e pubblicazioni edite negli anni Sessanta, ci si imbatte con frequenza in articoli e fotografie come questo riproposto da ReportageSicilia: resoconti che descrivono in toni  entusiastici e retorici l'industrializzazione della Sicilia allora in frenetico corso.
Questo genere di reportage volevano sottolineare con uno stucchevole gusto del folclore il passaggio dalle tradizionali ed arcaiche forme di vita quotidiana - legate ai riti della cultura contadina - all'impetuoso avvento dei petrolchimici e delle attività di estrazione portate avanti da aziende italiane e straniere.
Le fotografie che documentano questo passaggio epocale proponevano così scenari ben costruiti in cui compaiono contadini, asini e carretti su uno sfondo di brulle campagne in cui svettano chilometriche tubazioni, fumose ciminiere e labirintiche torri di ferro.



In quelle cronache - capaci di prevedere per la Sicilia un prospero futuro di economia industriale - non compare quasi mai un accenno ai rischi ambientali ed alle limitate prospettive di duraturo beneficio provocate da un modello produttivo che ha riservato all'Isola più dissesti che solide garanzie di sviluppo.  

"Come tutta l'Italia e in particolare il Mezzogiorno - hanno scritto  a questo proposito Fulco Pratesi e Franco Tassi in "Guida alla natura della Sicilia" ( Arnoldo Mondadori Editore, 1974 ) anche la Sicilia ha subìto negli anni del miracolo la facile mitologia dell'industrializzazione a tutti i costi.
E se ciò poteva avere un senso economico in certe aree settentrionali, la scelta appariva invece francamente masochistica e suicida in zone la cui vocazione, per espressa conferma di ogni esperienza di pianificazione anche a livello europeo, non poteva che essere agrosilvopastorale, turistica o comunque di carattere estensivo.
Di ciò i solerti industrializzatori italiani non si sono dati pena eccessiva, e se pure in qualche caso hanno distrattamente notato che i complessi petrolchimici incidevano su zone di valore ambientale e di interesse turistico, non hanno esitato un attimo a stamparveli lo stesso, in perfetta sovrapposizione geografica.
Il triangolo dell'industria petrolchimica Gela-Augusta-Milazzo, diventato poi trapezoidale con l'avvento di Termini Imerese, trionfalisticamente millantato come il toccasana di ogni depressione socioeconomica, è stato in verità ben lontano dal risolvere tali problemi, che a distanza di molti anni appaiono anzi complicati e in certi casi persino aggravati..."  

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