Fotografia Ernesto Oliva-ReportageSicilia |
Il Grande Cretto che Alberto Burri ha costruito sulle rovine di Gibellina è probabilmente un'opera unica al mondo.
L'idea di compattare in 122 isole di bianchissimo cemento buona parte delle macerie del paese del Belìce distrutto dal terremoto del 1968 è stata del resto il frutto di una personale e folgorante suggestione.
Storia vuole infatti che l'artista di Città di Castello, invitato da Ludovico Corrao a Gibellina Nuova nel 1981, abbia deciso di realizzare il suo Cretto dopo una visita al tramonto alle rovine del paese.
Fotografia Ernesto Oliva-ReportageSicilia |
Alberto Burri e le rovine di Gibellina. La fotografia è esposta all'interno del Museo del Grande Cretto, allestito nella ex chiesa di Santa Caterina |
In precedenza, Burri era stato condotto da Corrao dinanzi ai resti di quella Sicilia "classica" pure così lontana dalle espressioni di architettura contemporanea realizzate nel progetto urbanistico di Gibellina Nuova: il tempio di Segesta e le immense rovine di Selinunte.
Il Grande Cretto di Gibellina - esteso circa 12 ettari - è così un grande sudario che ha eternato la memoria del catastrofico evento ( le vittime, a Gibellina, furono 111 ) sigillando le pietre, gli intonaci, gli arredi e gli oggetti di quella vita quotidiana interrotta per sempre dalla forza della natura e dalla fragilità costruttiva degli edifici.
L'opera - che ricostruisce il tessuto urbanistico del vecchio paese - venne avviata nel 1984; dopo un'interruzione nel 1989, è stata definitivamente completata e restaurata nel 2015.
Da qualche settimana, un vicino Museo allestito all'interno della ex chiesa di Santa Caterina ( anch'esso, come il Grande Cretto, bianchissimo ) ne illustra efficacemente la storia.
"Se quel gran lenzuolo bianco steso da Burri sulle rovine del terremoto è metafora quasi esemplare della pietà - ha scritto Antonino Cusumano in "La strada maestra, memoria di Gibellina" ( Comune di Gibellina, 1997 ) la morfologia delle crepe che scolpiscono il paesaggio sembra essere figurazione della terra che ha tremato, riproposizione simbolica dell'antico tracciato viario.
Rimuovendo e rimodellando i segni della catastrofe nelle forme di un eccezionale sacrario, si restituisce paradossalmente la vita a ciò che che sarebbe destinato a diventare 'natura morta', si ricostituisce nei percorsi riportanti alla luce la trama spezzata della comunità, si ricompone l'orizzonte del paese nel quale è ancora possibile identificarsi, pur nell'inarrestabile allargarsi e dilatarsi delle latitudini dell'universo.
In quel magico labirinto di stretti varchi e tortuosi passaggi nessun pellegrino rischierà di perdersi, se seguirà la strada maestra della memoria"
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