Partenza di emigranti siciliani da Palermo. Foto tratta dalla rivista "Il Mediterraneo" edita dalla Camera di Commercio di Palermo nel marzo del 1970 |
Nel dicembre del 1960 Vallecchi Editore pubblicò a Firenze un libro-inchiesta nella collana "Mezzo secolo" curata da Carlo Bo, Enrico Emanuelli e Giancarlo Vigorelli. Il saggio, con una prefazione di Geno Pampaloni, portava il titolo "Il prezzo del nord": una non comune analisi degli scompensi sociali sofferti nelle regioni del Settentrione d'Italia da molti emigrati provenienti dal Mezzogiorno. Nella sola Milano, in quel 1960, se ne contavano 45.000 provenienti dalla Sicilia; si calcola che quelli diretti soprattutto in Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia Romagna negli anni Sessanta siano stati 610.000. Negli ultimi dieci anni, l'Isola ha nel frattempo continuato a patire il fenomeno migratorio: sarebbero circa 200.000 i siciliani - per lo più giovani con il possesso di titoli di studio - che hanno trovato occupazione nel Centro-Nord d'Italia ed all'estero. Nel libro-inchiesta di quel lontano 1960, furono raccolte alcune testimonianze di emigrati siciliani incontrati a Milano, Torino e Pavone Canavese. Ne riportiamo tre, a ricordo delle sofferte storie di quelle centinaia di migliaia di isolani diventati allora - per usare la definizione di uno di loro - "stranieri senza patria":
SEBASTIANO G., disoccupato a Milano
"Venni via dalla Sicilia nel 1951.Prima giunsi a Milano io e stetti da solo quasi un anno. Una volta che ebbi trovato lavoro come manovale e anche la casa feci venire su la moglie e i figli. In Sicilia lavoravo sempre ma non ero mai pagato, facevo il falegname. Da quando sono a Milano faccio un pò di tutto: il manovale e anche il facchino. Il mio maggiore guadagno però è quando faccio le forme per le scarpe, di quelle con la molla che tengono bene la scarpa. In tempo di fortuna riesco a guadagnare anche 600 lire al giorno. A Milano mi trovo come tanti altri compaesani miei. Siamo ormai gente senza patria e si vive dove ci stanno i soldi che ci permettono di vivere"
CARMELO M., anni 41, manovale edile a Milano
"Cosa sono venuto a fare nel Nord, cosa ci rimango a fare. Chiunque mi domanda questa cosa io penso che non ci so rispondere perché mica sono sicuro che mi sistemerò bene anche se qui ci stanno i soldi e ci sta la gente ricca che si diverte e va in giro tutto il giorno. Credete che non la veda? Sicuro che la vedo, lavoro in un cantiere in via Palmanova e vedo la gente che cammina e sale in macchina uscita da belle case. Lavoro in centro dove ci sta la metropolitana e vedo tutte le persone che vanno nei negozi e sono contenti e ridono. Io da quando sono venuto su ho sempre lavorato, prima lavoravo al mio paese anche solo cento o centoventi giornate all'anno. Qui ho lavorato tutti i giorni, meno i primi due mesi quando andavo in giro a chiedere a questo e a quello. Tutti i giorni. So fare bene il mio mestiere e il mio capo dice che deve ancora vederne di uomini come me che sanno impastare bene la calcina, e indovinare subito quale è il mattone da mettere e come lo si deve tagliare per farlo entrare giusto insieme agli altri. Ma anche se lavoro tutti i giorni non prendo mai più di quaranta o quarantacinquemila lire al mese. A Castelvetrano, da dove vengo, prendevo assai meno, certe volte nulla, come già dissi, ma laggiù la vita costava pochissimo e per mangiare si spendeva una miseria. Qui da voi tutto costa caro e il pane e la pasta, la carne la mangiano tutti e si vede che la comprano ma io non so come fanno quelli come me al cantiere e che guadagnano come me. Loro pure la comprano, e prendono soldi come ne prendo io. Mi chiedete se sono contento di essere qui. Non vorrei fare discussioni. Può darsi di sì e può darsi di no. I punti da vedere sono tanti. Certo che quando stavo a campagna al mio paese era una vita assai più misera. E certe volte non si mangiava che pane e fichi, e quando erano le volte anche pane solamente. Ma lì si era tutti uguali. Qui non si è tutti uguali e c'è gente stessa come me che mi dice "terrun", che mi guarda male anche alla mia famiglia. Cosa credete che anch'io non mi sia chiesto da solo se ho fatto bene a venire al Nord, o se ho fatto male. Me lo chiedo tante volte. Ma non so mai cosa rispondere. Forse rispondo che ho fatto bene, che qui almeno lavoro anche se non mi basta per vivere. Non mi importa se mi dicono terrone, se dicono della gelosia e delle donne. Non ci dò risposta e non mi preoccupo. Ma è un'altra cosa quella che mi fa pensare. E' se potrò continuare a vivere così. Io dico che non si può vivere sempre male, che non ci si riesce. Lavorare o non lavorare, avere una busta paga o non averla, che differenza c'è se poi i soldi non ti bastano? Allora lavorare è come non lavorare. Qui ci sta la verdura che costa anche 100 lire l'etto. E l'uva costa 500 lire al chilo quando è la prima stagione. E anche i fichi costano tanto. Qui uno che guadagna quello che guadagno io è come se al mio paese non lavorasse. Fa quasi la stessa vita. Mia moglie non può aiutarmi perché è malata. Ecco come è la mia vita, sempre uguale da quando sono nato. Si può fare qualcosa per cambiarla? Io ci provo, più che lavorare non posso fare. Ma vedo che c'è troppa ingiustizia in giro. Chi ha tutto e chi ha niente. Io sono di quelli che non hanno niente, e se domani mi ammalassi, o cadessi da una scala col carico di mattoni sulle spalle? Chi pensa poi a me e ai miei? Non abbiamo mai avuto soldi da parte. I miei soldi finiscono subito, nel mangiare e quel poco per vestirci e l'affitto. Abito in via Forze Armate, in quella via ci stanno altri due di Castelvetrano e anche loro sono come me ma non ci pensano perché sono sempre contenti a vanno bere all'osteria..."
GIUSEPPE G., 57 anni, lattaio a Milano
"Io vengo da Piazza Armerina, in provincia di Enna, e sono a Milano dal 1925. Al mio paese facevo il calzolaio, non guadagnavo molto anche se avevo il lavoro assicurato e così sono venuto al Nord, in cerca di fortuna. In poche settimane trovai casa e lavoro, dapprima come calzolaio e poi potei acquistare questo negozio e da 7-8 anni faccio il lattaio. Io sono venuto a Milano molto giovane e perciò mi sono adattato senza fatica al nuovo tipo di vita che affrontavo; però, se non avessi avuto fortuna, sarei senz'altro tornato al mio paese. Adesso, io ho là parenti che sono poveri e vivono come delle bestie e vorrebbero venire a Milano: Però se nel Sud ci fosse da lavorare, io ci tornerei e credo che nessuno verrebbe via, perché là il clima è migliore e il paese è più bello e poi là ci sono anche i parenti e gli amici: Ma siccome giù non c'è più niente da fare, non penso nemmeno più a ritornare in Sicilia. Qui invece ci sono molte possibilità di lavoro, e non è nemmeno vero che la gente ce l'abbia con i meridionali. Io qui sto bene, ho la famiglia, gli amici, molti dei quali miei compaesani che come me si sono ben sistemati al Nord ed è talmente tanto tempo che sono qui che quasi mi sento più settentrionale che meridionale"
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