martedì 25 giugno 2024

IL PRESEPE PERENNE DI SAN VITO LO CAPO

Il santuario di San Vito Martire
a San Vito lo Capo.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Arrivai per la prima volta a San Vito lo Capo in una giornata di tarda primavera, dopo un interminabile e faticoso viaggio in auto. Era il 1956 o il 1957. Ricordo che da Custonaci in poi incrociai pochissime Seicento ed un numero maggiore di carretti trainati da asini. Giunto a destinazione, rimasi quasi abbagliato da una spiaggia che dalle strade del paese - un semplice borgo di pescatori e contadini - raggiungeva dopo centinaia di metri il mare di un azzurro mai visto prima. Era un paesaggio africano, remoto e diverso da ogni luogo da me conosciuto in Sicilia. Ne ebbi un'impressione fortissima; mi chiesi per quanto altro tempo ancora San Vito lo Capo avrebbe conservato quell'aspetto..."

Così, molti anni fa, un anziano avvocato palermitano - un uomo che amava profondamente il mare - descrisse il suo primo incontro con una delle località siciliane oggi diventata un luogo di estrema concentrazione estiva di persone, italiane e straniere. Da molti anni San Vito lo Capo ha massimizzato lo sfruttamento della risorsa del turismo, trasformandosi in un luogo in cui ogni iniziativa locale è finalizzata a incrementare il numero e la presenza nel tempo di quanti - a partire da aprile, sino all'esondazione umana di agosto - affollano alberghi, B&B, case vacanze, ristoranti e locali del paese. Dopo avere ideato un Festival del Cous Cous diventato nel tempo un evento fieristico, e un altro dedicato al volo degli aquiloni, la macchina della promozione sanvitese è stata infatti capace di inventare lo scorso Natale un "festival del presepe di sabbia". L'idea è stata ispirata da analoghi eventi allestiti a Rimini e Lignano Sabbiadoro, cui evidentemente la San Vito lo Capo che un tempo fu capace di stupire l'avvocato palermitano, guarda oggi come modelli di riferimento per il sua inarrestabile saturazione turistica. Qualche anno fa, la realtà sanvitese era stata curiosamente descritta proprio come un perenne presepe da Giacomo Di Girolamo in "Gomito di Sicilia" ( Editori Laterza, 2019, Bari ):

"... San Vito è una specie di presepe, un presepe ideale. C'è sempre quest'aria di festa, di natività perenne, di annuncio e di epifania. Ed ognuno ha il suo posto, come il pastorello nel presepe, appunto, o il fabbro, o i Re Magi. Ma è tutto finto. Non c'è niente di autentico, nei personaggi che si aggirano qua, su questa sabbia che sembra muschio, davanti a questo mare che a volte pare fatto di stagnola..." 

mercoledì 19 giugno 2024

LA MONTAGNA TAGLIATA A FETTE DALLA MAFIA A TERRASINI

Il cantiere di costruzione 
dell'autostrada Palermo-Mazara del Vallo
nei pressi di Terrasini.
Foto tratta da opera citata nel post


Tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi dei Settanta dello scorso secolo, la costruzione dell'autostrada che da Palermo conduce sino a Mazara del Vallo comportò inevitabili danni ambientali e non contrastate ingerenze mafiose nella scelta del percorso e nella gestione degli appalti: affari denunciati all'epoca soprattutto da Peppino Impastato, insieme a quelli legati alla costruzione della terza pista trasversale del vicino aeroporto di punta Raisi. Sulla rivista "Il Mediterraneo", edita nel settembre del 1973 a Palermo dalla Camera di Commercio, venne pubblicata una "foto notizia" in cui si dava conto delle proteste dell'allora sindaco di Terrasini Claudio Catalfio per la devastazione di una vasta area di monte Palmeto. A causare il dissesto, l'attività di una cava di sabbia silicea e pietrame in contrada Ramaria utilizzata anche per la costruzione dell'autostrada e di proprietà dei fratelli Calogero e Girolamo D'Anna, in seguito condannati per mafia e destinatari di un provvedimento di confisca della stessa cava ( negli anni successivi destinata ad incontrollata discarica di rifiuti di origine edilizia ed industriale ). 

"La montagna a fette: è quella che sorge nella zona di Terrasini - si legge nel testo che accompagna la fotografia - e che sta scomparendo poco a poco, per mettere insieme gli ottocentomila metri cubi di materiale necessario per la costruzione di una parte dell'autostrada Punta Raisi-Mazara del Vallo. Terrasini, negli ultimi anni, si è affermata come un centro residenziale. 



Non è stata una trasformazione indolore, perchè gli insediamenti sono stati caotici e una parte del paesaggio è stato irreparabilmente guastato dal cemento armato. Perdere anche una montagna sarebbe però un colpo durissimo e si capisce così la reazione del sindaco, Claudio Catalfio, che ha lanciato un appello "alle autorità" ( ma quali? ) perché intervengano"

L'ORGOGLIOSO MA ERRONEO ACRONIMO DI MAZARA DEL VALLO

Mazara del Vallo
chiesa di S.Nicolò e barca da pesca.
Fotografia di Beppe Lauria,
opera citata nel post


"Data memorabile per Mazara del Vallo - sottolineò nel dicembre del 1980 Beppe Lauria nel reportage "Mazara del Vallo, tra Europa ed Africa" ( rivista "Sicilia" edita dall'assessorato regionale al Turismo ) - fu l'anno 1806 in cui la cittadinanza vide finalmente attuarsi il suo sogno: la trasformazione della magistratura civica in Senato. Il vessillo comunale potè quindi fregiarsi della sigla S.P.Q.S. dove la seconda S sta per "Selinuntinus" al posto di "Mazariensis" e questo per l'erroneo convincimento, dettato esclusivamente da orgoglio campanilistico, che Mazara sorgesse nel luogo dell'antica e gloriosa Selinunte..."

domenica 9 giugno 2024

CASTELLI DI SICILIA: L'IMMAGINE DEI LUOGHI OSTILI DEL POTERE FEUDALE

Resti del castello di Isnello.
Foto
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Nel corso della sua lunghissima ricerca storica ed archeologica, Ferdinando Maurici ha indicato in trecento i castelli medievali sparsi su montagne, vallate e coste della Sicilia. Il dato rimanda alla forte presenza di un potere centrale di tipo feudale che sin a partire dal secolo XI - per esercitare il proprio controllo del territorio, temendo più le rivolte interne che le invasioni di eserciti stranieri - ha posizionato fortificazioni e castelli variamente sopravvissuti nei secoli ad assalti, spoliazione del pietrame per usi civili e degrado strutturale.

 "L'isola - ha scritto Maurici in "Castelli Medievali in Sicilia da Carlo d'Angiò al Trecento" ( ASSO Agenzia di Sviluppo della Sicilia Occidentale, 2020, Palermo ) - è "anche" terra di castelli. Pur se l'immagine culturale e turistica della Sicilia è normalmente e meritatamente affidata all'immancabile tempio della Concordia e ai mosaici di Piazza Armerina; o, se proprio di medioevo si vuole parlare, al falso ( ormai a sua volta storicizzato ) delle cupole rosse di San Giovanni degli Eremiti o agli inattangibili pantocratori di Monreale, della Cappella Palatina e di Cefalù, tardivamente insignite dell'alloro UNESCO. Terra "anche" di castelli; non paragonabile per quantità ( spesso anche per qualità ) ad altre regioni europee, specialmente di confine...



Odiati e temuti per secoli, hanno spesso resistito all'attacco degli uomini e del tempo. Luogo fisico e simbolo del potere regio lontano e della prepotenza vicinissima dei feudatari e dei loro ufficiali, dei gabelloti e di pre- o proto-mafiosi vari; del prelievo feroce sul lavoro, delle gabelle e dei "terraggi"; di una giustizia lentissima a consumare i prigionieri rinchiusi al macero nei "dammusi" e nelle fosse dei castelli ma lestissima nel decapitare, nell'impiccare, nello smembrare, nell'esporre orripilante macelleria umana..."  

giovedì 6 giugno 2024

"EX CHIMICA ARENELLA", UNA STORIA INDUSTRIALE FRA EVENTI BELLICI E DEGRADO AMBIENTALE

Gli impianti della "ex Chimica Arenella".
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia.
Le ultime tre fotografie dello stabilimento
presenti nel post sono tratte da 
"Sicilia d'oggi", opera citata



"Dati i macchinari più moderni e perfezionati di cui l'industria dispone ed il completo impianto di forza motrice a vapore della potenzialità di più di 900 HP che tali macchinari fa funzionare, la Chimica Arenella produce circa diecimila chili di acido tartarico tratto dalla feccia del vino; circa cinquantamila chili di acido solforico; oltre diecimila chili di acido citrico tratto dal citrato di calcio e dall'agro del limone; circa diecimila chili di acido cloridrico tratto dal sale marino e dall'acido solforico; e circa cinquemila chili di acido nitrico. Importantissimo è anche l'impianto per la fermentazione e distillazione di chilogrammi 120.000 di agro di limone ogni 24 ore, ricavando mille litri di alcool e 50 chilogrammi di essenza, e l'impianto per la produzione giornaliera di chilogrammi 12.000 di calce viva, nonché quella per la costruzione degli imballaggi occorrenti a tutti i prodotti"



Così il 5 luglio del 1926 il "Giornale di Sicilia" diede indicazioni sulle lavorazioni eseguite all'epoca all'interno della Chimica Arenella di Palermo, costruita a partire dal 1910 su un'area complessiva di circa 75.000 metri quadri dall'azienda tedesca "Goldenberg", costituita un anno primo a Milano con sede a Messina. L'iniziativa industriale - una delle molte compiute in quegli anni in Sicilia da imprenditori tedeschi - si legò a quella che Salvatore Lupo in "Dove fiorisce il limone" ( Sellerio editore Palermo, 1983 ) ha definito "l'esistenza  di un vasto settore di derivati agrumari collateralmente al mercato del frutto fresco"






L'avvio della produzione di acido citrico ottenuto dalla lavorazione del limone - attività che sarebbe dovuta in precedenza sorgere nella città dello Stretto, scelta cancellata dalle conseguenze del terremoto del 1908 - prese corpo nel 1913. Alla costruzione del complesso industriale, articolato su 14 corpi di fabbrica - sempre secondo il "Giornale di Sicilia" - avrebbe contribuito in maniera determinante l'ingegnere Luigi Lo Jacono, che secondo il quotidiano palermitano aveva già realizzato impianti simili in Sud America. La scelta del sito fu funzionale al rapido trasporto dell'acido citrico verso il porto di Palermo: un prodotto richiesto anche come disinfettante ospedaliero da buona parte dei Paesi europei. La prossimità degli edifici al mare fu purtroppo funzionale anche allo sversamento incontrollato dei reflui di lavorazione; circostanza ben nota nella borgata, ma ufficializzata soltanto nel 1972 da un'inchiesta giudiziaria.  




Con l'inizio del primo conflitto mondiale - e nel timore della proprietà tedesca di una amministrazione controllata da parte dello Stato italiano - la direzione della fabbrica fu strumentalmente affidata al messinese Carlo Sarauw, già consigliere delegato della stessa "Goldenberg" e titolare della azienda "Baller". Sarauw era un imprenditore legato alla Banca Commerciale, che di lì a breve acquisì il pacchetto di maggioranza dello stabilimento palermitano. L'impianto cambiò allora nome: da "Fabbrica Chimica Italiana Goldenberg" a "Fabbrica Chimica Arenella". Il clima bellico non risparmiò lo stabilimento, al cui interno aumentò la produzione dell'acido solforico necessario alla realizzazione di gas tossici utilizzati proprio dall'esercito tedesco nel 1917 ad Ypres. Si alimentò poi il sospetto che fra i padiglioni si nascondesse una stazione radio di spionaggio, in grado di fornire informazioni sulle manovre della nostra Marina Militare: ipotesi che non sappiamo se fondata o meno. Si deve inoltre a Rosario La Duca, grazie ad un articolo pubblicato ancora dal "Giornale di Sicilia" il 26 gennaio del 1972, la ricostruzione di un cannoneggiamento subìto dallo stabilimento da parte di un sommergibile tedesco, il pomeriggio del 31 gennaio del 1918. L'incursione - il cui reale scopo non è stato mai chiarito - provocò non pochi danni alle strutture della fabbrica. 



Ancor oggi, la I guerra mondiale è ricordata nel cortile di ingresso dell'ex complesso industriale da un annerito bassorilievo in bronzo opera di Tommaso Bertolino che riporta i nomi degli operai morti durante il conflitto. 



Nel 1923, la "Fabbrica Chimica Arenella", grazie a nuovi investimenti per l'ammodernamento dei macchinari, avviò anche la produzione di agro cotto ricavato dal succo di limone. Tuttavia, come ha scritto Orazio Cancila in "Palermo" ( Editori Laterza, 1988 )

"L'aumento dei prezzi determinato dalla situazione di monopolio da un lato favorì la concorrenza dell'acido tartarico, e dall'altro spinse lo sviluppo della produzione sintetica negli stabilimenti europei e statunitensi, cosicché nel 1930 cominciò la crisi delle esportazioni e dei prezzi, e quindi dell'intero settore"

A causa del progressivo licenziamento di 350 operai, fra il 1929 ed il 1932, lo stabilimento dell'Arenella chiuse i battenti. Come ha ancora ricostruito Cancila

"La Chimica Arenella, il cui pacchetto di maggioranza era passato all'IRI, nel 1936 - dopo un accorato intervento dell'Unione fascista dei lavoratori dell'industria della città - fu salvata dalla liquidazione già deliberata dall'assemblea dei soci e nel 1940 ceduta al gruppo zuccheriero Montesi"

Il secondo conflitto mondiale ebbe per l'impianto industriale - allora impegnato soprattutto nella produzione di pectina ricavata dalle carrubbe - conseguenze ancora più gravi rispetto a quelle provocate dalla guerra del 1915-1918. La vicinanza della fabbrica al porto - obiettivo primario dei bombardamenti alleati a Palermo - causò danni consistenti. 



La ripresa dell'attività dopo la guerra ad opera del gruppo padovano Montesi tentò di rilanciare produzioni sempre più messe in difficoltà dalla concorrenza del mercato internazionale. In una inserzione pubblicitaria pubblicata nell'aprile del 1955 dalla rivista "Sicilia d'oggi", edita dall'Istituto Poligrafico dello Stato, si legge che la "Arenella Società Italiana per l'industria dell'acido citrico e affini" produceva in quei mesi "succhi e sciroppi di agrumi, olii essenziali di agrumi, pectina in polvere, acido citrico e tartarico, acido solforico e cloridrico, lievito per panificazione ed alcool". Dalla stessa inserzione si apprende che la società aveva un capitale di 900.000.000 lire e stabilimenti periferici a Bagheria, Calatabiano ed in Calabria, a Gioia Tauro e S.Gregorio di Reggio Calabria. La parabola dello stabilimento palermitano era però in inarrestabile discesa. L'industria chiuse infatti quasi del tutto l'attività nel 1965. Nel gennaio di due anni dopo, gli ultimi 260 lavoratori attuarono uno sciopero, sollecitando un intervento della Regione Siciliana per l'acquisto di materie prime per 400 milioni di lire: richiesta che non ebbe seguito, mettendo così fine alla storia di quella che oggi viene chiamata semplicemente "ex Chimica Arenella"



A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, si è prospettato un recupero strutturale e funzionale dell'intero complesso industriale, o di parti di esso, con prevalenti finalità turistico-alberghiere. Progetti - come quello presentato da De Fournier&Associados, con un investimento da 120 milioni di euro - rimasti però sulla carta. A frenarli, anche la complessità di ripristino strutturale degli edifici e la necessità di una totale bonifica dell'area ( il cui costo è stimato in 12 milioni di euro ), a causa della presenza di discariche abusive di materiale edile ed industriale. Il Comune di Palermo, che nel 1998 acquistò il complesso, affida in queste settimane un possibile piano di riqualificazione ad un bando internazionale. 



Laddove si sono realizzati per decenni prodotti inizialmente ricavati dalla lavorazione dei limoni - attività che hanno in seguito avvelenato per decenni il mare dell'Arenella - si prospetta la creazione di una cittadella che valorizzi urbanisticamente la borgata: un obiettivo ambizioso, che per diventare realtà necessiterà di buone intenzioni e notevoli investimenti.