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Gli impianti della "ex Chimica Arenella". Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia. Le ultime tre fotografie dello stabilimento presenti nel post sono tratte da "Sicilia d'oggi", opera citata
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"Dati i macchinari più moderni e perfezionati di cui l'industria dispone ed il completo impianto di forza motrice a vapore della potenzialità di più di 900 HP che tali macchinari fa funzionare, la Chimica Arenella produce circa diecimila chili di acido tartarico tratto dalla feccia del vino; circa cinquantamila chili di acido solforico; oltre diecimila chili di acido citrico tratto dal citrato di calcio e dall'agro del limone; circa diecimila chili di acido cloridrico tratto dal sale marino e dall'acido solforico; e circa cinquemila chili di acido nitrico. Importantissimo è anche l'impianto per la fermentazione e distillazione di chilogrammi 120.000 di agro di limone ogni 24 ore, ricavando mille litri di alcool e 50 chilogrammi di essenza, e l'impianto per la produzione giornaliera di chilogrammi 12.000 di calce viva, nonché quella per la costruzione degli imballaggi occorrenti a tutti i prodotti"
Così il 5 luglio del 1926 il "Giornale di Sicilia" diede indicazioni sulle lavorazioni eseguite all'epoca all'interno della Chimica Arenella di Palermo, costruita a partire dal 1910 su un'area complessiva di circa 75.000 metri quadri dall'azienda tedesca "Goldenberg", costituita un anno primo a Milano con sede a Messina. L'iniziativa industriale - una delle molte compiute in quegli anni in Sicilia da imprenditori tedeschi - si legò a quella che Salvatore Lupo in "Dove fiorisce il limone" ( Sellerio editore Palermo, 1983 ) ha definito "l'esistenza di un vasto settore di derivati agrumari collateralmente al mercato del frutto fresco".
L'avvio della produzione di acido citrico ottenuto dalla lavorazione del limone - attività che sarebbe dovuta in precedenza sorgere nella città dello Stretto, scelta cancellata dalle conseguenze del terremoto del 1908 - prese corpo nel 1913. Alla costruzione del complesso industriale, articolato su 14 corpi di fabbrica - sempre secondo il "Giornale di Sicilia" - avrebbe contribuito in maniera determinante l'ingegnere Luigi Lo Jacono, che secondo il quotidiano palermitano aveva già realizzato impianti simili in Sud America. La scelta del sito fu funzionale al rapido trasporto dell'acido citrico verso il porto di Palermo: un prodotto richiesto anche come disinfettante ospedaliero da buona parte dei Paesi europei. La prossimità degli edifici al mare fu purtroppo funzionale anche allo sversamento incontrollato dei reflui di lavorazione; circostanza ben nota nella borgata, ma ufficializzata soltanto nel 1972 da un'inchiesta giudiziaria.
Con l'inizio del primo conflitto mondiale - e nel timore della proprietà tedesca di una amministrazione controllata da parte dello Stato italiano - la direzione della fabbrica fu strumentalmente affidata al messinese Carlo Sarauw, già consigliere delegato della stessa "Goldenberg" e titolare della azienda "Baller". Sarauw era un imprenditore legato alla Banca Commerciale, che di lì a breve acquisì il pacchetto di maggioranza dello stabilimento palermitano. L'impianto cambiò allora nome: da "Fabbrica Chimica Italiana Goldenberg" a "Fabbrica Chimica Arenella". Il clima bellico non risparmiò lo stabilimento, al cui interno aumentò la produzione dell'acido solforico necessario alla realizzazione di gas tossici utilizzati proprio dall'esercito tedesco nel 1917 ad Ypres. Si alimentò poi il sospetto che fra i padiglioni si nascondesse una stazione radio di spionaggio, in grado di fornire informazioni sulle manovre della nostra Marina Militare: ipotesi che non sappiamo se fondata o meno. Si deve inoltre a Rosario La Duca, grazie ad un articolo pubblicato ancora dal "Giornale di Sicilia" il 26 gennaio del 1972, la ricostruzione di un cannoneggiamento subìto dallo stabilimento da parte di un sommergibile tedesco, il pomeriggio del 31 gennaio del 1918. L'incursione - il cui reale scopo non è stato mai chiarito - provocò non pochi danni alle strutture della fabbrica.
Ancor oggi, la I guerra mondiale è ricordata nel cortile di ingresso dell'ex complesso industriale da un annerito bassorilievo in bronzo opera di Tommaso Bertolino che riporta i nomi degli operai morti durante il conflitto.
Nel 1923, la "Fabbrica Chimica Arenella", grazie a nuovi investimenti per l'ammodernamento dei macchinari, avviò anche la produzione di agro cotto ricavato dal succo di limone. Tuttavia, come ha scritto Orazio Cancila in "Palermo" ( Editori Laterza, 1988 )
"L'aumento dei prezzi determinato dalla situazione di monopolio da un lato favorì la concorrenza dell'acido tartarico, e dall'altro spinse lo sviluppo della produzione sintetica negli stabilimenti europei e statunitensi, cosicché nel 1930 cominciò la crisi delle esportazioni e dei prezzi, e quindi dell'intero settore"
A causa del progressivo licenziamento di 350 operai, fra il 1929 ed il 1932, lo stabilimento dell'Arenella chiuse i battenti. Come ha ancora ricostruito Cancila
"La Chimica Arenella, il cui pacchetto di maggioranza era passato all'IRI, nel 1936 - dopo un accorato intervento dell'Unione fascista dei lavoratori dell'industria della città - fu salvata dalla liquidazione già deliberata dall'assemblea dei soci e nel 1940 ceduta al gruppo zuccheriero Montesi"
Il secondo conflitto mondiale ebbe per l'impianto industriale - allora impegnato soprattutto nella produzione di pectina ricavata dalle carrubbe - conseguenze ancora più gravi rispetto a quelle provocate dalla guerra del 1915-1918. La vicinanza della fabbrica al porto - obiettivo primario dei bombardamenti alleati a Palermo - causò danni consistenti.
La ripresa dell'attività dopo la guerra ad opera del gruppo padovano Montesi tentò di rilanciare produzioni sempre più messe in difficoltà dalla concorrenza del mercato internazionale. In una inserzione pubblicitaria pubblicata nell'aprile del 1955 dalla rivista "Sicilia d'oggi", edita dall'Istituto Poligrafico dello Stato, si legge che la "Arenella Società Italiana per l'industria dell'acido citrico e affini" produceva in quei mesi "succhi e sciroppi di agrumi, olii essenziali di agrumi, pectina in polvere, acido citrico e tartarico, acido solforico e cloridrico, lievito per panificazione ed alcool". Dalla stessa inserzione si apprende che la società aveva un capitale di 900.000.000 lire e stabilimenti periferici a Bagheria, Calatabiano ed in Calabria, a Gioia Tauro e S.Gregorio di Reggio Calabria. La parabola dello stabilimento palermitano era però in inarrestabile discesa. L'industria chiuse infatti quasi del tutto l'attività nel 1965. Nel gennaio di due anni dopo, gli ultimi 260 lavoratori attuarono uno sciopero, sollecitando un intervento della Regione Siciliana per l'acquisto di materie prime per 400 milioni di lire: richiesta che non ebbe seguito, mettendo così fine alla storia di quella che oggi viene chiamata semplicemente "ex Chimica Arenella".
A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, si è prospettato un recupero strutturale e funzionale dell'intero complesso industriale, o di parti di esso, con prevalenti finalità turistico-alberghiere. Progetti - come quello presentato da De Fournier&Associados, con un investimento da 120 milioni di euro - rimasti però sulla carta. A frenarli, anche la complessità di ripristino strutturale degli edifici e la necessità di una totale bonifica dell'area ( il cui costo è stimato in 12 milioni di euro ), a causa della presenza di discariche abusive di materiale edile ed industriale. Il Comune di Palermo, che nel 1998 acquistò il complesso, affida in queste settimane un possibile piano di riqualificazione ad un bando internazionale.
Laddove si sono realizzati per decenni prodotti inizialmente ricavati dalla lavorazione dei limoni - attività che hanno in seguito avvelenato per decenni il mare dell'Arenella - si prospetta la creazione di una cittadella che valorizzi urbanisticamente la borgata: un obiettivo ambizioso, che per diventare realtà necessiterà di buone intenzioni e notevoli investimenti.