mercoledì 4 aprile 2012

GLI ULTIMI PESCATORELLI DI SANT'ELIA

Bambini che pescano con un sacco di juta in una secca
nel mare palermitano di Sant'Elia.
L'immagine fa parte di una sequenza realizzata nel 1976 da Paolo Di Salvo e rimanda alla memoria i 'pescatorelli' ritratti dal pittore Francesco Lo Jacono lungo le stesse coste nella metà del secolo XIX 

Ci sono scene che, a distanza di decenni, testimoniano le stesse pratiche e gli stessi gesti di persone nate nel solco della cultura dei luoghi da loro vissuti.

Uno scorcio della borgata di Sant'Elia - luogo della sequenza scattata da Paolo Di Salvo - in una fotografia di Ezio Quiresi pubblicata dal volume 'Sicilia', edito da Sansoni nel 1962 
Così, quando Paolo Di Salvo ha concesso a ReportageSicilia altre fotografie dal suo personale scrigno di immagini siciliane – gli scatti di un gruppo di bambini che pescano su una secca del mare palermitano di Sant’Elia, nel 1976 – il riferimento immediato è andato verso i ‘pescatorelli’ ritratti da Francesco Lo Jacono a Palermo nella seconda metà del secolo XIX; da qui la scelta di corredare questo post con un intreccio di scatti in bianco e nero di Di Salvo ed di colori di Lo Jacono, pittore che – nel giudizio dello scrittore Salvatore Spinelli, “ci ha lasciato immagini indimenticabili per la luminosità, le trasparenze, la vaporosità del cielo, le sfumature e striature di toni del mare, il vivo senso della stagione e dell’ora”.

Una tela di Francesco Lo Jacono ( Palermo 1838-1915 ) coglie un gruppo di pescatorelli che giocano alla ricerca di telline ed altre piccole prede di scoglio lungo la costa palermitana
Da parte sua, Di Salvo ricorda che i bambini che in quella giornata di 36 anni fa pescavano sulla secca, “sono attori di un gioco appartenente ad un mondo fanciullesco, oggi profondamente modificato dalla civiltà tecnologica, che tende all’imitazione dell’attività e del lavoro degli adulti.

All'interno di un pentolino di latta smaltata il trio di giovanissimi pescatori di Sant'Elia raccoglie il bottino di un gioco che è la riproposizione di antiche pratiche familiari. 
L'odierno declino delle attività di pesca ha cancellato quasi del tutto la possibilità di documentare la presenza di 'pescatorelli' palermitani documentati in questo post 

Il sacco di juta usato per la cattura dei pesci non è che una riproduzione rudimentale della rete strumento di lavoro; appaiono inoltre evidenti l’azione di squadra e la gerarchia dei ruoli.

Scrive Di Salvo a commento della sua sequenza fotografica, "i bambini che pescano sulla secca sono attori di un gioco appartenente ad un mondo fanciullesco, oggi profondamente modificato dalla civiltà tecnologica, che tende all'initazione dell'attività e del lavoro degli adulti..."
Come scriveva Giuseppe Pitrè in ‘Giuochi fanciulleschi siciliani’, in Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, volume XIII, 1883, ‘lo spirito di imitazione è il primo e principale carattere della fanciullezza… molti dei suoi giochi… sono ripetizione, contraffazione di atti, di pratiche, di abitudini degli uomini…’”

Ancora un'opera di Lo Jacono che fissa la scena veristica di un gruppo di bambini che ripetono gesti e pratiche familiari apprese nel contesto delle comunità che a Palermo, ancora alla fine dell'Ottocento, si sostentavano grazie alle attività di pesca
La quasi scomparsa delle attività artigianali di pesca – sostegno economico e patrimonio culturale per migliaia di famiglie siciliane, sino a qualche anno fa – già ai nostri giorni ha cancellato la possibilità di rappresentazione di altri ‘pescatorelli’; un motivo in più per conservare memoria di quelli fissati – con diversi strumenti documentari - da Lo Jacono e da Di Salvo.
Nella riproduzione pittorica dei suoi pescatorelli palermitani, Lo Jacono sembra fissare con i suoi colori le parole di Giuseppe Pitrè, che nel 1883 scriveva "lo spirito di imitazione è il primo e principale carattere della fanciullezza... molti dei suoi giochi... sono ripetizione, contraffazione, di atti, di pratiche, di abitudini di uomini..."

Ancora Di Salvo aggiunge che "il sacco di juta usato per la cattura dei pesci non è che una riproduzione rudimentale della rete strumento di lavoro; appaiono inoltre evidenti l'azione di squadra e la gerarchia dei ruoli..."







2 commenti:

  1. Bei ricordi di un tempo passato......., mi rivedo in quei bambini "pescatorelli" ai quali bastava un sacco di juta ed una barchetta costruita con delle latte vuote, per passare una giornata di divertimento, immedesimandosi nel ruolo e facendo un lavoro di gruppo per catturare le "prede". In effetti bastava prendere qualche muletto (cefalo) e qualche gamberetto per divenire subito felici e appagati di quel risultato.Il sole cocente non faceva impressione, un'intera giornata in acqua a piedi scalzi tra sassi e quant'altro, tra tuffi e pesca,c'è chi pescava con la "latta", c'è chi approfittando della bassa marea svuotava le buche per prendere qualche murena o cernia ed altro ancora,c'è chi scavava con le mani sott'acqua a pochi metri dalla riva per raccogliere "accielli" (vongole) ed ogni tanto sentivi un grido di qualche pescatorello "un puilpu c'è",allora tutti li per vedere. Poi al tramonto quando si intravedevano le barche di lampara alla fonda ci ritiravamo stanchi ma soddisfatti,su richiamo delle mamme che dalle terrazze o balconi gridavano " acchiana ca iè tairdu, bei tempi e bellissima Sant'Elia.

    Luigi Alioto - Sant' Elia

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  2. belle immagini e haimè memorie di un passato che purtroppo non può più tornare, difficilmente potranno trovarsi delle pozze in cui la bassa marea lasci al suo interno dei pesci degni di essere così chiamati; il massacro sconsiderato del nostro territorio ormai è un dato di fatto e dal mio modesto punto di vista occorre proteggere quel che rimane. Guardare la costa palermitana dal mare è una pena infinita case e case una dietro l'altra scarichi abusivi che terminano dove magari prima c'era una spiaggia; la mia età mi impedisce di arrivare con la memoria ai tempi delle foto, ma il mio profilo di studi mi fa capire che degli scempi immani sono stati fatti e tuttora continuano a essere fatti per cui sarebbe bello che ognuno di noi possa, nel proprio piccolo, custodire quello che rimane e rendersi portatore di quel che si è perso
    Mauro Castellini

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