mercoledì 27 dicembre 2017

L'ELOGIO QUASI PERDUTO DEGLI ORTAGGI SICILIANI

Ortaggi sui banchi del mercato palermitano di Ballarò.
Le fotografie sono di ReportageSicilia
Sugli scaffali dei supermercati dell'Isola è sempre più normale  trovare limoni provenienti dalla Spagna, asparagi sudamericani o grappoli di "pachino" nati da semi israeliani.
Così, l'elogio di ortaggi e agrumi siciliani - un tempo indicati come più freschi, gustosi e nutrienti rispetto ad altri -  può sembrare ormai inopportuno, a meno di non frequentare produttori locali ancora rispettosi dei cicli produttivi stagionali di frutta e verdura.
L'"Isola di Cerere" insomma resiste sempre più a fatica alle importazioni di prodotti cresciuti ad altre latitudini ed alle logiche commerciali della grande distribuzione alimentare.


Così, la lettura dell'articolo "Ortaggi di Sicilia" pubblicato negli anni Sessanta dalla rivista "Sicilia" edita dall'assessorato regionale al Turismo - a firma di Eric Von Adler - lascia qualche rimpianto ai cultori di ciò che oggi le furbizie del marketing sbandierano come prodotto "biologico":

"Bello è ciò che è buono.
Così i greci dicevano belli gli alberi che davano buoni frutti, così gli arabi stimavano le donne dai molti parti.
Allo stesso modo belli sono detti in Sicilia cetrioli, finocchi, pomidori.
Quando vi venni per la prima volta rimasi ammirato che si vantassero tanto le qualità estetiche degli ortaggi, ignorate invece dai nostri contadini.

 
Mi accorsi poi che la loro venustà si sentiva col palato e con la lingua; gli organi più intimi dell'umano sentire.
Ma subito non me ne resi conto, tanto si accordava invero la più alta idea di bellezza con i frutti di questa terra.
Belle sono le melanzane cha un viola scuro da venerdì santo giungono per infinite variazioni a un bianco candido da colomba eucaristica dalla verde coda.
Più belle, fritte a stelle e poste ad ali spiegate su un piatto bianco rosso e verde di maccheroni pomodoro e basilico: la pasta alla siciliana.
Così fatte a Palermo le chiamano argutamente 'quaglie', come le gallinelle selvatiche dal dorso bruno e dal ventre fulvo.
Una bellezza più segreta hanno i cibi dell'ombra e della frescura: finocchi e zucchine.

 
Ne ho mangiato di queste ultime, a sazietà, in un'osteria oscura e sotterranea come una grotta, verso Imera dalle innumerevoli scale.
Le zucchine erano del colore dell'arancia, ora fritte hanno un bruno dorato.
Nuotano in una bassa pentola di terracotta, nell'olio denso e nell'aceto, freddi e aromatizzati dall'aglio e dalla foglia di menta.
Si cucinano la sera innanzi e si lasciano sul balcone a raffreddare fino all'alba; di quest'ora infatti conservano la purezza e la freschezza e il profumo.
E' come se avessero fermato quel momento, prima che il sole torrido dell'estate siciliana bruci le strade e le piazze: una difesa gastronomica alla calura estiva.
A questa si cerca refrigerio anche col finocchio e il cetriolo.
Si mangiano senza alcun condimento, se ne gusta così l'aroma puro come lo dà la terra.
Il cetriolo vi ha qui un odore da giardino incantato, da notte di mezza estate, tutto richiami misteriosi.

 

Un mio amico francese, odorista dilettante, che si compiace di accostare e classificare gli aromi della terra di tutto il mondo, trovò che quello 'cucuminis sativus' nella sua specie siciliana costituisce una classe a sé stante.
E un aroma particolare ha anche il finocchio siciliano, che, dopo lunga navigazione dalle lontane Canarie sembra abbia trovato in quest'Isola una seconda e più vera patria.
Esso si presenta, come frutto, a forma di bianco cuore con le sue vene ed arterie che si dipartono in verdi piccole foglioline; queste entrano come condimento vegetale nel piatto nazionale siciliano, i maccheroni con sarde e lì adempiono il loro più nobile ufficio.

 

Ma veramente benedetti da un dio sono i pomi d'oro di questa terra.
Le rose di Baghdad e di Smirne divengono pallide di fronte a questi splendidi frutti.
Rossi di un rosso esemplare li vedi come Rainer Maria Rilke vedeva le sue donne e i suoi bambini.
Tendono il loro involucro fin quasi a scoppiarne e invitano e tentano la lama del coltello perché vi si immerga, il dente perché li azzanni nel profondo della loro polpa dolce e granulosa.
Il pomodoro non teme rivali tra gli altri ortaggi, il suo uso è universale, il suo succo scorre a fiumane.
E' il frutto sempre vivo, inverno ed estate: l'ho sempre trovato in tutti i piatti siciliani, un miracolo di vita senza soste e senza riposi..."

 
 
 
 
 

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