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giovedì 30 maggio 2024

COMPIACIMENTO E INSOFFERENZA PER IL "GLAMOUR" SICILIANO

Modelle di Enrico Pucci
a Monreale.
Fotografie di Elsa Haertter
tratte dalla rivista "Sicilia"
dell'ottobre 1956


Negli ultimi decenni l'industria della moda, dello spettacolo e della pubblicità ha sfruttato con profitto la Sicilia, evocandone paesaggi, caratteri, attrattive culturali e gastronomiche. Per molti siciliani, ciò è motivo di compiacimento, tanto da fargli teorizzare l'esistenza di un vero e proprio "brand" isolano; a tanti altri di loro, questo sfruttamento commerciale pare invece spesso insopportabile perché l'immagine data della Sicilia si colloca il più delle volte nell'ambito dello stucchevole folclore e dei luoghi comuni che costituiscono un'opinione preconfezionata della nostra regione. Questa diversità di punti di vista è stata così risolta dal giornalista e scrittore Gaetano Savatteri nel saggio "Non c'è più la Sicilia di una volta", edito nel 2017 da Laterza:

"Già qualcuno dice: è la solita paccottiglia di carretti decorati, maioliche azzurre, mari limpidi e facciate barocche. Forse è vero, ma la questione è che nel teatrino di cartapesta non ci sono più compare Alfio e compare Turiddu ( buoni selvaggi dagli istinti primordiali ), ma Colin Farrell e Laetitia Casta. scusate se è poco..."






L'esposizione della Sicilia sulla scena del "glamour", amplificata anche dall'industria del cinema e della commedia televisiva, ha trovato sin dal secondo dopoguerra numerosi esempi nel campo della moda. Ne sono una testimonianza le fotografie scattate settant'anni fa da Elsa Haertter all'interno ed all'esterno del chiostro di Monreale, per la collezione primavera estate 1955 denominata "Colonne di Monreale" dello stilista fiorentino Enrico Pucci. La descrizione della Sicilia - luogo che in uno dei suoi monumenti più caratteristici ispirò la realizzazione di quella collezione -  fu così evocata in un articolo di Novella Maria Conti pubblicato nel luglio del 1955 dalla rivista "Bellezza":

"Sole, biancheggianti templi greci, preziosi mosaici bizantini, aranceti, ulivi, mare... E' il volto acceso e sfolgorante della Sicilia, l'isola dove le antiche leggende vivono ancora, in un senso di eterno che non può non trovare la sua rispondenza in chi è alla ricerca della bellezza..."  

giovedì 23 maggio 2024

ISNELLO, IL PAESE DEI PRETI E DELLA CHIESA CHE PIACQUE A SCIASCIA

Una veduta di Isnello.
Foto 
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Isnello ( che viene dall'arabo "Isnir", che significa fresco ruscello ) è stato per molto tempo il paese dei preti; per uno strano fenomeno, numerosissimi sono i sacerdoti nati qui e ben 14 operano tuttora"

Così nel 1986 il saggio-guida "Itinerari. Visitare la provincia di Palermo", edito dall'Amministrazione Provinciale di Palermo, segnalò la singolare abbondanza della rappresentanza sacerdotale in questo paese delle Madonie. Nelle stesse pagine, si legge che Leonardo Sciascia durante una visita ad Isnello rimase colpito dalla visita della chiesetta di San Michele:

"All'interno, l'organo, stupendo, intagliato in legno, e un bellissimo crocifisso ligneo attribuibile a padre Umile Pintorno. Sono stati ammiratissimi anche da Leonardo Sciascia, che qualche anno fa si è soffermato a lungo all'interno della chiesetta..."

mercoledì 22 maggio 2024

LE 27 ORE DI VITA DELLA "RADIO DEI POVERI CRISTI"

Le trasmissioni
della "Radio della Nuova Resistenza".
La fotografia è tratta dalla rivista
"Il Mediterraneo" edita dalla
Camera di Commercio di Palermo
nel marzo del 1970


"S.O.S, qui parlano i poveri cristi della Sicilia occidentale attraverso la radio della nuova resistenza. Siciliani, italiani, uomini di tutto il mondo, ascoltate: si sta compiendo un delitto di enorme gravità, assurdo: si lascia spegnere una intera popolazione"

Alle 19.00 del 25 marzo del 1970 con questo accorato appello ebbe inizio la brevissima storia di una delle prime radio che sfidarono il monopolio delle trasmissioni Rai nel settore radiotelevisivo, la cui fine sarebbe stata decretata solo nel luglio del 1974 da due sentenze della Corte Costituzionale. L'iniziativa fu promossa a Partinico dal sociologo Danilo Dolci, con l'intento di denunciare i ritardi dello Stato nell'impiego di 162 miliardi di lire stanziati a favore della ricostruzione del terremoto che nel gennaio del 1968 aveva sconvolto la valle del Belìce. L'emittente - denominata "Radio della Nuova Resistenza", nel ricordo delle radio partigiane clandestine - ebbe come sede il primo piano di palazzo Scalia, che ospitava il "Centro Studi e Iniziative" diretto da Dolci. L'avvio delle trasmissioni seguì una manifestazione promossa quel giorno a Partinico da CGIL, CISL e UIL, dalla Lega Cooperative e dai movimenti studenteschi. 



L'intenzione era quella di irradiare in onde corte, per permettere la ricezione delle trasmissioni all'estero: la programmazione - preregistrata, dalla durata di quattro ore, parte delle quali anche in lingua inglese - propose agli ascoltatori le testimonianze di persone e sindaci dei comuni del Belìce. Non mancarono alcuni interventi di uomini della cultura - fra questi Italo Calvino e l'Abbé Pierre - ed un appello dello stesso sociologo triestino. Ad occuparsi della parte tecnica delle trasmissioni, all'interno di palazzo Scalia, furono Franco Alasia e Pino Lombardo, collaboratori di Dolci. L'attività della "Radio della Nuova Resistenza" andò avanti per circa 27 ore, sino a quando carabinieri e polizia - arrivati in forze a Partinico su ordine del pretore Tessitore e con l'ausilio delle autoscale dei vigili del fuoco - non decisero di bussare al portone del palazzo. Dopo avere atteso l'arrivo di Danilo Dolci per qualche minuto, fu decisa l'irruzione. Alasia cercò di opporsi alla disinstallazione ed al sequestro delle attrezzature: due apparecchi trasmittenti a modulazione di frequenza, uno ad onde corte, tre antenne, due registratori a nastri magnetici, un misuratore di onde radio, un gruppo elettrogeno, 100 litri di benzina. Fra gli oggetti sequestrati finì anche il rasoio elettrico di Lombardo, che insieme ad Alasia e a Dolci venne denunciato per trasmissione clandestina e violazione del codice postale. 



Con le loro rudimentali attrezzature, Lombardo ed Alasia non erano riusciti a trasmettere il grido di aiuto dei "poveri Cristi della Sicilia" oltre le province di Trapani ed Agrigento; lasciarono però un segno nella storia denunce lanciate dalla Sicilia in quegli inizi di anni Settanta sulle omissioni dello Stato negli interventi di sviluppo dell'Isola e del Meridione d'Italia. La loro iniziativa "sovversiva" - raccontata nel 2008 dal saggio di Guido Orlando e Salvo Vitale "La radio dei poveri cristi" ( Navarra Editore Palermo ) - avrebbe indotto in seguito lo stesso Danilo Dolci a farne riferimento nelle raccolte di poesie "Il limone lunare" e "Poema umano".

lunedì 13 maggio 2024

I DUE VOLTI DEL GATTOPARDO

Il ritratto di Giulio Fabrizio Maria Tomasi,
il bisnonno di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Foto pubblicata dal settimanale "Tempo"
del 29 marzo 1960


"La trasfigurazione letteraria realizzata nel romanzo dal pronipote scrittore ci ha offerto una figura vigorosa, avallata o ispirata dal quadro di famiglia raffigurante ( non senza compiacenza del pittore ) un Gattopardo piuttosto giovane, gagliardo. L'immagine del dipinto ha fatto il giro della stampa nazionale ed estera, creando un cliché mentale, attraverso il quale emerge, solenne, una sagoma quasi prussiana, sia nei tratti somatici, sia attraverso le interpretazioni fisiognomiche. Ma tanto la figura letteraria, quanto il compiacente dipinto, contrastano apertamente con i nostri dati storici e non i ricordi dei racconti familiari, ancora vivi nel cuore di alcuni pronipoti. In realtà, il Gattopardo - come sappiamo da questi ultimi - era molto buono, religiosissimo, senza scatti e senza rampate: non sembrano ricordi inconsciamente alterati da una logica affettiva, incline a rilevare e a tramandare i lati positivi di un antenato, tra l'altro ormai famoso; sono ricordi che a noi sembrano chiaramente e diversamente suffragati..." 

Così Andrea Vitello nel saggio "I Gattopardi di Donnafugata" ( S.F. Flaccovio Editore Palermo, 1963 ) sottolineò l'equivoco generato a partire dal novembre del 1958 sulla energica personalità e sui lucidi ragionamenti del  personaggio letterario di don Fabrizio Corbera Principe di Salina, protagonista del romanzo "Il Gattopardo": una figura interpretata nel successivo film di Luchino Visconti da Burt Lancaster ed ispirata in origine dalla figura storica del bisnonno di Giuseppe Tomasi di Lampedusa,  Giulio Fabrizio Maria Tomasi

La fotografia dello stesso bisnonno
di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
pubblicata nel 1963 nel saggio di Andrea Vitello,
opera citata nel post


Alle errate opinioni sul suo carattere contribuì appunto la diffusione della fotografia di un quadro di famiglia raffigurante il bisnonno dell'autore de "Il Gattopardo": un ritratto divulgato da quotidiani e riviste che dedicarono all'epoca numerosi articoli al romanzo ed al film di Visconti. Ottavo principe di Lampedusa e nono duca di Palma, l'avo dello scrittore era nato nel 1815. Coltivò davvero l'hobby dell'astronomia - Andrea Vitello ricordò che possedeva a Palermo due specole, una in una casina di via Villafranca, l'altra nella villa Lampedusa a San Lorenzo - oltre a quelli dei giochi di prestigio, del biliardo e delle recite teatrali a carattere dilettantesco: passioni che spinsero Vitello a concludere così il ritratto del "reale" Gattopardo, fornendone nel suo saggio anche una fotografia di famiglia:

"Chi avrebbe riconosciuto il felino, così spesso austero, del romanzo, candidamente intento ad esibirsi attraverso scherzi così innocenti?"

giovedì 9 maggio 2024

FAMA, VICISSITUDINI E SALVAGUARDIA DELL'ASINO PANTESCO

Fotografie
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Anche l'asino di Pantelleria, più perfetto ed elegante, interessa; e sempre quell'isola è stata celebre per i suoi asini... Ma Pantelleria ha disgraziatamente troppi pochi asini. Non arrivano al migliaio"

Così nel 1934 il giornalista agrario Arturo Marescalchi lamentava l'esiguo numero di asini panteschi presenti nell'isola: una popolazione che nei decenni successivi si sarebbe drasticamente ridotta, causa gli incroci con altre razze e le migrazioni dell'animale dalla Sicilia. Nel 1982 - un anno dopo che il rischio della loro estinzione era addirittura approdato alla trasmissione della Rai "Portobello" - ne erano sopravvissuti 16 esemplari, 12 maschi e 4 femmine. Nel 1985, la sorte dell'asino pantesco parve segnata da uno sfortunato incidente: l'ultimo esemplare maschio - denominato "Arlecchino" - morì annegato nelle acque del porto di Pantelleria per la rottura del cavo di sollevamento utilizzato per lo sbarco nell'isola allo scopo di fargli fecondare l'ultima asina in vita. 



Negli anni successivi, l'Azienda Foreste Demaniali della Regione Sicilia avviò un progetto per il recupero dell'asino pantesco all'interno del demanio forestale di S.Matteo, ad Erice. Grazie a lunghe ricerche anche genetiche su circa 200 esemplari, furono prescelti tre maschi e sei femmine con una percentuale di razza pantesca variabile fra l'80 ed il 95 per cento. 



Nel 1994 si registrarono le prime nascite che sino ai nostri giorni hanno permesso di recuperare gli standard originali vantati dall'asino pantesco, citato per le sue doti anche nel racconto di Luigi Capuana "L'Abate Castagna e l'asino cattivo".

"Assai ricercato per la eccezionale capacità di produzione di ibridi longevi e robustissimi, l'asino di Pantelleria - si legge in "Allevamento degli asini di Pantelleria" edito nel 2002 dalla Regione Siciliana e dall'Azienda Foreste Demaniali di Trapani - era altresì apprezzato per la sicurezza del passo e per la velocità di marcia  ( anche 25 km/h su percorso piano e 15 km/h a tiro leggero ) e veniva preferito di gran lunga al cavallo come cavalcatura comoda e rapida su tutti i terreni. Tra i pregi di questi asini non è certo da trascurare quello di essere stata fra le razze che hanno contribuito alla costituzione della razza ragusana..."

mercoledì 1 maggio 2024

LA SICILIA SENZA POPOLO DI VIRGILIO TITONE

"Pupi" siciliani
all'interno del Museo Internazionale delle Marionette
"Antonio Pasqualino" di Palermo.
Fotografia Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Fra i grandi scrittori siciliani del Novecento - da Tomasi di Lampedusa a Sciascia, da Bufalino a Consolo - è stato argomento comune sottolineare i differenti volti della Sicilia, isola nei millenni abitata da popoli diversi: una condizione storica che giustifica il quasi esclusivo contesto letterario siciliano di questi scrittori, impegnati in una inesauribile analisi e in un'impossibile sintesi di quella storia ( "Non so se altri luoghi in pari misura, ma la Sicilia - causa ne sia un eccesso o un difetto di identità - non fa che investigarsi e discorrere permalosamente di sé...", ha scritto Gesualdo Bufalino ). Il tema dell'identità siciliana ha impegnato anche gli storici, fornendo loro una più articolata chiave di lettura sui mali dell'isola. Ne è un esempio quella fornita da Virgilio Titone in "Storia mafia costume in Sicilia", edito nel 1964 a Milano da Edizioni del Milione. Le conclusioni di Titone costituiscono un giudizio netto sulla impossibilità di assegnare ai siciliani la qualifica di "popolo": 

"L'isola non è mai stata soggetto della sua storia. Dopo i siculi e i sicani, che le testimonianze ci dicono emigrati in Sicilia, ma potremmo in certo modo considerare indigeni, abbiamo i fenici e i greci, poi, dal 210 avanti Cristo, i romani. Sopravvengono quindi le invasioni barbariche con i vandali nel 440 e gli ostrogoti nel 490. La dominazione bizantina va dal 535 al IX secolo, quando ha inizio quella degli arabi. Dal 1070 incomincia il periodo normanno, cui succederanno gli svevi, gli angioini, gli aragonesi, il periodo castigliano, che va Ferdinando il Giusto a Ferdinando il Cattolico, quindi quello degli Asburgo di Spagna, da Carlo V a Carlo II ( 1516-1700 ). Durante la guerra di successione di Spagna si ha un prolungamento della dominazione spagnola con Filippo V di Borbone. Seguono i Savoia dal 1713 al 1718 e gli austriaci sino al 1734. Da quella data al 1860 si hanno i borboni, cui succede, con la conquista garibaldina e piemontese, il regno d'Italia. Alcuni di questi popoli hanno portato con sé una ondata di colonizzatori: la dominazione politica si è, cioè, accompagnata con lo stanziamento di nuove popolazioni più o meno numerose... Un altro ordine di fatti deve essere tenuto presente: la grande mobilità della popolazione siciliana e il rimescolio continuo di genti diverse all'interno dell'isola, che è continuato fino ai nostri giorni. Il che ha reso più difficile la formazione di uno stabile ordine sociale, di una tradizione locale, di una classe dirigente o, almeno, se il termine può sembrare eccessivo, di una classe che abbia goduto del prestigio e dell'autorità dei borghesi di altre regioni d'Italia... La storia dell'isola non è dunque quella di un popolo, ma di alcuni popoli, avversi tra loro e ostili: anzi, se si fa eccezione per le colonie greche prima della conquista romana e per qualcuna delle non greche, e nell'età moderna per Messina e qualche comune lombardo, come Caltagirone, potrebbe dirsi piuttosto che la storia di bande, tribù, clientele, ecc., cui non sarebbe facile dare il nome di popolo..."