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martedì 19 agosto 2025

IL MIRACOLO DELLA "SANTUZZA" CHE ISPIRO' L'ELOGIO DI GOETHE

Fotografie di
Federico Patellani,
opera citata nel post


In un "Fascicolo Speciale" pubblicato in occasione del Natale del 1952 e dedicato alla Sicilia, la rivista "L'Illustrazione Italiana" diede conto della fede dei siciliani verso i santi patroni: da Sant'Agata a San Corrado, da Santa Lucia a Sant'Alfio. L'argomento fu esaminato in un reportage che curiosamente - e a differenza degli altri presenti nel periodico - venne firmato con le semplici iniziali dell'autore: M.R.

Buona parte dell'articolo in questione tratta della devozione dei palermitani nei confronti di Santa Rosalia, che secondo la tradizione nel 1625 liberò Palermo dalla peste. Accompagnato dal fotoreporter Federico Patellani, l'anonimo cronista scrisse il racconto dopo avere visitato il Santuario della "Santuzza", sulle pendici di monte Pellegrino



All'interno della grotta che conserva la teca con la statua della santa e gli ex voto che ne celebrano la fama di patrona, M.R. attribuì ai palermitani l'opinione secondo cui un famoso giudizio espresso da Goethe sul monte Pellegrino sia stato il frutto di un miracolo di Rosalia:  

"Fra i pellegrini del passato venuti quassù in visita al Santuario c'è anche Goethe, il quale ha descritto il monte Pellegrino come "il più bel promontorio del mondo". Una tale asserzione, secondo i palermitani, rappresenta uno dei tanti miracoli di Santa Rosalia: dopo essersi scelto questo monte per guardare dall'alto la sua città, per avere un occhio sui marinai che si spingono al largo sui fragili legni, quelli che partono in cerca di fortuna, quelli che vanno a costruirsi lontano una nuova esistenza, ha guidato la mano di Goethe, ha scritto per mano sua che è il più bel sito dell'universo..."

venerdì 15 agosto 2025

IL VOLTO LUSITANO DEL PAESAGGIO MARINO DI CEFALU'

Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Cefalù ha una dimestichezza così naturale con il mare, così modesta nelle abitudini, da ricordare certi angoli costieri lusitani. Ed è singolare - ha considerato Matteo Collura ( "Cefalù", Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta, 2012 ) - che si possa dire questo di un paese il cui aspetto rupestre sembra avere il sopravvento su tutto. 



Mare e pietra, ( ... ) volendo significare un connubio naturale che incanta gli amanti del mare e nello stesso tempo quanti, come me, prediligono il paesaggio rupestre"



giovedì 14 agosto 2025

IL "TRIONFO DELLA MORTE" PALERMITANO CHE ( FORSE ) ISPIRO' PICASSO

Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Il "Trionfo della Morte", esposto dal 1953 all'interno di Palazzo Abatellis, a Palermo, è una delle opere d'arte più enigmatiche presenti in Sicilia; e per la mancata attribuzione - un tema di irrisolto confronto fra studiosi - e per l'ipotesi ( una suggestione sinora mai diventata documentata certezza ) che questo affresco possa avere ispirato il "Guernica" di Picasso.

Il pittore e scultore di Malaga eseguì la sua opera nel 1937, poche settimane dopo il devastante bombardamento della città basca da parte di aerei tedeschi ed italiani. Il debito di ispirazione di Picasso nei confronti del "Trionfo della Morte" sarebbe suggerito dalle analogie presenti nelle due strutture compositive e in alcuni comuni dettagli anatomici del cavallo, in particolare la testa. Su come Picasso abbia fatto dell'affresco palermitano un modello di riferimento le ipotesi offrono più variabili. La prima, indica la possibilità che l'artista spagnolo - che nel 1917 raggiunse per la prima volta l'Italia, visitando Roma, Firenze, Napoli e Pompei - abbia conosciuto il "Trionfo della Morte" palermitano attraverso una fotografia della collezione Alinari datata 1910



In un'intervista concessa al "Corriere della Sera" nel gennaio del 1998, Jean Clair, all'epoca direttore del Museo Picasso di Parigi, non escluse l'ipotesi - in verità, tiepidamente - che durante quel viaggio l'autore di "Guernica" possa avere raggiunto anche Palermo. Qui Picasso potrebbe avere avuto l'occasione di osservare l'affresco quattrocentesco ancora conservato all'interno di Palazzo Sclafani, prima del suo distacco e di un temporaneo trasferimento all'interno della Sala delle Lapidi di Palazzo Pretorio. In quell'intervista, Clair suggerì l'ipotesi che Picasso conobbe il "Trionfo della Morte" tramite una riproduzione pubblicata da un libro o da una rivista; ma infine, scelse quella secondo cui la fonte di ispirazione di "Guernica" sia stato un altro "Trionfo della Morte" attribuito al fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio e conservato al Museo del Prado di Madrid:

"Picasso vide quel dipinto proprio durante la guerra civile spagnola. Anche se viveva a Parigi, nel 1936 venne nominato, dai repubblicani, direttore onorario del Prado. Non si può però escludere che lo stesso Bruegel abbia eseguito il suo "Trionfo" dopo un viaggio compiuto in Italia fra il 1552 ed il 1555, nel corso del quale sbarcò anche a Palermo. La sua opera è del 1562-1563. E' possibile, quindi, che il fiammingo abbia visto l'opera siciliana e che, a sua volta, Picasso, guardando quella del Prado e avendola "digerita", l'abbia fatta sua. Si potrebbe pensare che Picasso lavorò a "Guernica" avendo in mente il "Trionfo" palermitano, filtrato attraverso Bruegel il Vecchio. Le vie dell'arte sono infinite..."



Infine, ad accrescere la suggestione dell'ipotesi che accosta il "Trionfo della Morte" palermitano al nome di Picasso, c'è da ricordare una testimonianza riferita anni fa da Fabio Carapezza. Il figlio adottivo di Renato Guttuso ha affermato che il pittore di Bagheria - che ebbe modo di frequentare l'artista spagnolo - chiese proprio a Picasso se il "Guernica" fosse stato ispirato dall'affresco oggi conservato a Palazzo Abatellis. Picasso avrebbe confermato la circostanza. Non è però chiaro se abbia precisato se la scoperta sia avvenuta al cospetto dell'opera o grazie alla visione di una semplice fotografia. Chissà se un giorno un archivio o una fonte documentaria potranno sciogliere questo che è solo uno dei tanti interrogativi che rendono l'opera palermitana del secolo XV un affascinante affresco di misteri. 

 

sabato 9 agosto 2025

GLI AGRICOLTORI DELLE SALINE DI TRAPANI

Fotografie
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Si scorge dall'alto di Erice, ai piedi del monte, lunga nella bassa penisola falcata che si stende sul mare, la fragile Trapani. Sembra stretta, quella città, da una parte e dall'altra, da grandi lastre di vetro, risplendenti nel sole, che sono i bassi bacini, le squadrate saline, punteggiate dai coni tronchi dei mulini a a vento sopra gli argini..."

Così Vincenzo Consolo descrisse il paesaggio della saline di Trapani nel saggio "Sicilia teatro del mondo", edito nel 1990 a Torino da Nuova Eri Edizioni Rai. Si racconta che siano stati i Fenici - popolo di mercanti in grado di creare decine di empori commerciali nel Mediterraneo dell'antichità - ad avviare la produzione trapanese del sale: un prodotto allora essenziale per la conservazione degli alimenti di origine animale.

L'attività prosegue ancor oggi, con il supporto di una meccanizzazione che non potrà mai cancellare del tutto le figure dei "salinari": agricoltori del mare muniti di scarponi di gomma, vanghe, pale e carriole.

Le vasche delle saline di Trapani, insieme a quelle di Marsala, superano i 1.000 ettari: una superficie sopravvissuta alla speculazione edilizia operata nel territorio nel secondo dopoguerra e che quest'anno dovrebbero produrre 140.000 tonnellate di sale, l'unico in Italia ad avere ricevuto il riconoscimento IGP.



Il prodotto - compreso quello pregiato ricavato dalla crosta esposta direttamente al sole, denominato "fiore di sale" - verrà esportato anche in Giappone, Canada e, con l'incognita rappresentata dai dazi, negli Stati Uniti

Quest'anno la raccolta del prodotto, che a Trapani vanta ottimali quantità di magnesio e sodio, è stata avviata con qualche settimana di anticipo. La si ripeterà a settembre, continuando un'attività di produzione e raccolta che negli ultimi sessant'anni non si è mai fermata. 



L'ultima volta, accadde nell'autunno del 1965, quando una disastrosa alluvione sommerse i cumuli di sale ed i macchinari, ricoprendo le vasche di melma: uno scenario oggi inimmaginabile al cospetto delle luccicanti "grandi lastre di vetro" descritte 25 anni dopo quella devastazione da Vincenzo Consolo.  

lunedì 28 luglio 2025

LA BREVE EPOPEA DEL CORALLO AL LARGO DI SCIACCA

Barca di Sciacca.
Fotografia tratta da opera citata nel post


"Fra il 1875 ed il 1880 - si legge nell'opera "La Sicilia. Quindici anni di autonomia regionale", edita a Roma nel luglio del 1960 furono pescate 6.219 tonnellate di corallo per un valore complessivo di 44 milioni di lire. Parteciparono alla pesca 4.669 barche tra quelle di Sciacca e di altri compartimenti e 46.000 pescatori..."

Così V. Porrello Cassar descrisse la corsa al corallo che per cinque anni, sul finire dell'Ottocento, fra i mesi di febbraio ed ottobre, alimentò le attività economiche degli armatori di Sciacca e di altre flotte pescherecce siciliane e d'oltre Stretto ( Porto Empedocle, Trapani, Mazara del Vallo, Licata, Termini Imerese, Torre del Greco ed Alghero ).

Sembra che la scoperta casuale del primo e più esteso banco corallifero di Sciacca - nel maggio del 1875, 12 miglia al largo di Capo San Marco, su un fondale profondo fra i 148 ed i 200 metri - sia stata opera di tale Alberto Maniscalco.  In seguito, ricerche mirate portarono alla individuazione di altri due giacimenti - nell'agosto del 1878 e nel gennaio del 1880 - rispettivamente a 27 e 45 miglia da Sciacca

Si trattava di una varietà di corallo nero rimasto in profondità per lungo tempo, durante il quale il "Corallium rubrum"  assorbe maggiori quantità di sostanze organiche, la cui rimozione necessità di lavaggi con sostanze ossidanti.

"Parve a molti - ha scritto Salvatore Costanza in "Coralli talismani sacri e profani", Catalogo della mostra "L'arte del corallo in Sicilia" svoltasi a Trapani al Museo Regionale "Pepoli" nel 1986 ( Novecento, Palermo, 1986 ) - di potere impiegare nuovi capitali in un'impresa che prometteva immensi lucri; e di spingersi fino ad organizzare alcune compagnie armatoriali... Ora il pescatore non lavorava più per proprio conto, ma alle dipendenze degli armatori, che lo ingaggiavano per la campagna di pesca a salario fisso ( da 127 a 150 lire per l'intera campagna, e, se a giornata, con una lira e 70 centesimi, senza altro compenso in natura )..."

La questione dei compensi sfociò presto nel malcontento di molti pescatori trapanesi assoldati per la racconta del corallo. Nel 1880 minacciarono lo sciopero; ma ben altre circostanze incombevano sulle aspettative di trarre ingenti guadagni dall'estrazione degli arboscelli al largo della costa di Sciacca



"Ben presto - ha scritto ancora Costanza - si constatò la scarsa qualità del corallo pescato in quei banchi, che non era neppure compensato dalla sua eccezionale copiosità. Anzi, fu proprio l'abbondanza del grezzo immesso sul mercato a farne precipitare il prezzo, tanto che l'armamento delle barche coralline riuscì alla fine per gli armatori antieconomico..."

Nel 1887, i pescatori e gli armatori di corallo di Livorno sollecitarono provvedimenti per limitare la pesca del corallo a Sciacca; e nel 1891, quelli di Torre del Greco, forse spinti da alcuni speculatori finanziari di Genova, convinsero il ministero dell'Agricoltura e del Commercio a vietare del tutto l'attività di estrazione dai tre banchi siciliani. Il provvedimento venne revocato nel gennaio del 1892, quando la grande corsa al corallo di Sciacca - esauritasi  in meno di due decenni - poteva di fatto considerarsi conclusa.

sabato 19 luglio 2025

UN LEGAME STORICO E GENETICO FRA GLI ULIVI SICILIANI E QUELLI LIBANESI

Ulivi a Castelluzzo, nel trapanese.
Fotografie
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


La Sicilia è al centro di quel Mediterraneo che, come ha ricordato Giuseppe Barbera in "Sicilia. Alberi e paesaggi" ( Libri della Natura, 2024, Milano ), "secondo gli studiosi, è il mare degli uliveti".

Nell'Isola, scrive ancora Barbera, "la pianta è presto coltivata ( quella selvatica era da sempre presente tra i cespugli della macchia ) come testimoniano non tanto le pagine degli scrittori, i disegni sulle anfore, i resti archeologici, i documenti di archivio, ma loro, proprio loro, gli alberi..."



L'origine di una delle varietà di olive diffuse nella Sicilia della provincia di Trapani - la Nocellara del Belìce - testimonia la comune storia di questa coltura, la cui diffusione si deve alle migrazioni ed ai commerci che i diversi popoli, per millenni, hanno portato avanti nel Mediterraneo.



Studi genetici hanno infatti stabilito un legame fra la cultivar Nocellara del Belice e la Baladi, originaria del Libano ed ancor oggi molto diffusa nel Paese da cui i Fenici partirono fra il IX e l'VIII secolo avanti Cristo per colonizzare le coste della Sicilia occidentale.  

lunedì 14 luglio 2025

LA SICILIA DESERTICA DI LUIGI GIANOLI, IL GIORNALISTA CON LA VENA DI SCRITTORE

Il latifondo siciliano.
La fotografia è tratta dall'opera
di Ferdinando Milone
"Sicilia. La natura e l'uomo",
edita nel 1960 a Firenze da Bollati-Boringhieri


Esistono giornalisti capaci di esprimere un sicuro talento letterario, oltre le imprecisioni, i vizi di forma ed i limiti di documentazione che accompagnano il mestiere quotidiano di molti cronisti. Uno di questi giornalisti di talento del Novecento italiano è stato il brianzolo Luigi Gianoli, che nel secondo dopo guerra fu un'apprezzata firma della "Gazzetta dello Sport": "l'unico là dentro - ha scritto nel 2024 Franco Bonera in "Pezzi di colore", Ultra Editore, Roma - a potersi fregiare a buon diritto del titolo di scrittore". 

Ai colleghi più giovani, spiegava che "divertirsi mentre si scrive è il vero segreto per scrivere bene". Fu proprio l'applicazione di questo insegnamento che negli anni Ottanta gli valse il riconoscimento di un "Premio Sain Vincent" e di "Una penna per lo sport".

Gianoli - che fra i suoi estimatori ebbe Gianni Brera, Dino Buzzati, Mario Soldati e Gianni Mura - scrisse soprattutto di cavalli e di ippica: una vocazione giornalistica e saggistica legata alla qualifica di ufficiale del Reggimento di Cavalleria Savoia rivestita durante la campagna di Russia. Per la "Gazzetta dello Sport" pubblicò a suo nome anche articoli dedicati alla Targa Florio. Fu probabilmente in quelle occasioni che Gianoli ebbe modo di scoprire la Sicilia: Messina, Ganzirri, Aci Trezza, l'Etna, Agrigento, Cefalù Palermo, così come è testimoniato da un reportage pubblicato nel settembre del 1965 dalla rivista "Sicilia", edita dall'assessorato regionale al Turismo.



In quelle pagine, il giornalista monzese così descrisse l'Isola delle province più interne, riarsa dal sole e con un paesaggio che gli richiamò l'aspetto dei deserti:  

"E il paesaggio dell'interno? Onde d'un mare rappreso, quasi del colore della sabbia, senza un albero, sovente senza una casa, dove s'ergono improvvisi picchi montani, come immense conchiglie abbandonate dal diluvio. E si continua a camminare, ad andare, forse perché presentiamo che, una volta fermi in un luogo, non avremmo più la forza di ripartire..."