giovedì 28 febbraio 2013

PORTOPALO, I DUE MARI DEI TONNI


Portopalo di capo Passero è uno di quei luoghi siciliani che posseggono il fascino proprio delle terre di mezzo: qui si incontrano le acque del mar Jonio e del canale di Sicilia, e qui il vento rende spesso impegnativa la navigazione.
Nei decenni passati – dinanzi l’isola di capo Passero, dominata da un castello d’epoca spagnola e da un faro – questo mare ibrido è stato il luogo di passaggio di migliaia di tonni.
Nelle pagine de “I Siciliani” di Giuseppe Fava ( edito da Cappelli nel 1980, il capo raid della tonnara di Marzameni Armando Calaciura, classe 1897, così descriveva il lungo viaggio dei tonni:
“Essi arrivano dall’oceano e vanno nel mare Tirreno dove passano la stagione dell’amore e si moltiplicano… Appena arriva la primavera, cominciano a scendere verso il mare d’Africa, sono tanto sfibrati di amore che vanno ciecamente sempre appresso ai primi. Davanti a tutti i tonni più grossi, i vecchi che sanno scegliere sempre la via più breve. Così passano lo stretto di Messina e puntano verso il basso. Migliaia, decine di migliaia di tonni così, per sei mesi l’anno. Passavano a cento metri da quello scoglio per doppiare capo Passero e perdersi nel mare aperto…”
La fotografia di Portopalo e dell’isolotto di capo Passero riproposta in questo post da ReportageSicilia è attribuita a Pedone ed è tratta dall’opera “Sicilia”, edita nel 1962 da Sansoni e dall’Istituto Geografico De Agostini.

sabato 16 febbraio 2013

PAESAGGI DI SANTA MARIA LA SCALA

Il borgo marinaro catanese di Santa Maria la Scala in una fotografia
della fine dell'Ottocento.
L'immagine - al pari delle altre postate da ReportageSicilia - è tratta dall'opera "Acireale d'altri tempi",
edita nel 1970 con testi di Cristoforo Cosentini

Le fotografie di Santa Maria la Scala riproposte in questo post da ReportageSicilia sono tratte dall’opera “Acireale d’altri tempi” edita dalla Regione Siciliana-Assessorato per il Turismo e curata nel 1970 da Cristoforo Cosentini, allora presidente dell’Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale.

Una veduta del borgo di pescatori con gli edifici da villeggiatura estiva costruiti dalle ricche famiglie di Acireale

Le immagini del borgo marinaro, lungo il tratto di costa ionica che da Taormina raggiunge Capo Mulini, risalgono alla fine dell’Ottocento, quando – come scriveva ancora nel 1984 Matteo Collura in “Sicilia Sconosciuta, cento itinerari insoliti e curiosi” edito da Rizzoli – “il resto è silenzio, interrotto dal cinguettio degli uccelli, dallo stormire dei platani e dallo sciacquio della vicina risacca; e tanto verde, quel verde prorompente un po’ aspro che in queste zone fa da contrasto con la bruna terra”.

Altra veduta di Santa Maria la Scala,
cui il saggista Matteo Collura - nel 1985 - dedicò uno dei capitoli
del libro
"Sicilia Sconosciuta, cento itinerari insoliti e curiosi
Nell’opera di Cosentini, si ricorda che Santa Maria la Scala venne collegata ad Acireale da una mulattiera panoramica a sette rampe – le “chiazzette” – costruita con grande dispendio economico fra il 1687 ed il 1726.
Sino agli inizi del secolo XIX, il trasporto a dorso di mulo costava cinque centesimi, tariffa che non scoraggiò le più ricche famiglie acesi a costruire intorno al borgo di pescatori le proprie case di villeggiatura estiva.
In due fotografie riproposte da ReportageSicilia, si osservano alcune costruzioni in legno, in prossimità del mare.

Stabilimenti balneari in legno costruiti
sulle rocce laviche della borgata
“Un noto artigiano acese – scriveva a questo proposito Cristoforo Cosentini – costruiva ogni anno gli stabilimenti balneari ( le così dette “baracche” ), tenendo ben separato il reparto uomini da quello donne. C’erano inoltre baracche e baracchini privati dei nobili acesi, che si distinguevano per le loro estrose sagome orientaleggianti”: cineserie ottocentesche approdate allora su queste sponde siciliane del mar Jonio, secondo i gusti di una moda europea accolta all’ombra dell’Etna.



La copertina del libro "Acireale d'altri tempi"
da cui ReportageSicilia ha tratto le fotografie di questo post



venerdì 15 febbraio 2013

IL DOPOGUERRA DI PATELLANI A PALERMO

Un carro trainato da un cavallo e carico di sacchi in una strada di Palermo.
La fotografia - insieme alle altre riproposte in questo post da ReportageSicilia - è stata scattata nel 1946 dal fotografo monzese Federico Patellani,
uno dei fondatori del fotogiornalismo italiano.
Le sue immagini palermitane provengono dall'archivio
del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo.
A Patellani si deve il lancio dei "fototesti", apparsi per la prima volta
nel settimanale "Tempo": "una formula di giornalismo illustrato moderno - scriveva - nella quale il racconto sia affidato in prima linea alla fotografia..." 
Le didascalie che accompagnano le immagini riproducono la schedatura museale dell'archivio di Federico Patellani

Federico Patellani ( Monza 1911 – Milano 1977 ) è considerato come uno dei più importanti maestri del fotogiornalismo italiano.
A lui si attribuisce infatti l’ideazione del “fototesto”, vale a dire – secondo una sua stessa definizione - “una formula di giornalismo illustrato moderno, nella quale il racconto sia affidato in prima linea alla fotografia, mentre alla parola – brevi testi e didascalie – sia affidata la funzione di raccordo e di commento”.


"MACERIE DEI BOMBARDAMENTI ALLEATI"

Le prime esperienze fotografiche di Patellani risalgono al 1935, quando il futuro collaboratore del settimanale “Tempo” – all’epoca ufficiale del Genio – eseguì con una Leica una serie di scatti in Africa Orientale, poi comparsi sull’”Ambrosiano”.
Proprio per “Tempo”, nel 1940 Federico Patellani avrebbe documentato in borghese le operazioni militari in Jugoslavia.


"BAMBINI SEDUTI PER TERRA GIOCANO LUNGO LA STRADA"

Il secondo conflitto mondiale determinò il suo richiamo alle armi, aggregato alle squadre fotocinematografiche in Russia; quindi, dopo l’8 settembre del 1943, Patellani si rifugiò in Svizzera.


"UN BAMBINO VENDE LE SIGARETTE"

Al termine del conflitto, il fotografo monzese avrebbe percorso l’Italia per documentare le difficoltà della ricostruzione e le sue trasformazioni politiche e sociali.


"NEI PRESSI DELLA STAZIONE FERROVIARIA -
DUE BAMBINE  SCALZE CON IL PADRE DAGLI ABITI STRACCI"

Questo impegno avrebbe segnato l’affermazione dei suoi fototesti, nei quali Patellani corredava le immagini con brevi didascalie da lui stesso scritte.
I 22 scatti che accompagnano questo post di ReportageSicilia fanno parte dell’archivio del fotografo lombardo – conservato presso il Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo ( Fondo Archivio Federico Patellani ) http://www.mufoco.org/ - e furono eseguiti a Palermo nel 1946.


"SCOLARI E MAESTRA SUL CIGLIO DELLA STRADA -
ALCUNI SEDUTI SUL MARCIAPIEDE"

Il valore di questi “fototesti” è notevole, perché testimoniano un periodo poco documentato della vita quotidiana palermitana stravolta dagli stenti e dalla precarietà dell’immediato secondo dopoguerra. “Per 14 volte – ha scritto Giuseppe Barbera nel suo recente saggio “Conca d’oro” – da gennaio a giugno del 1943, le fortezze volanti avevano bombardato Palermo, dandole il primato tra le città italiane meridionali più martoriate”.


"PERSONE IN CODA ALL'ESTERNO DI UN EDIFICIO - 
MILITARI SVOLGONO SERVIZIO D'ORDINE"
Alla fine di quell’anno gli alloggi distrutti dalle bombe, in tutta la provincia, erano stati più di 83.000: migliaia di sfollati e senza tetto vivevano così in condizioni di miseria, guadagnandosi poche lire raccogliendo e rivendendo ferro vecchio, rame, stracci, oggetti usati o le bucce degli agrumi; decine erano invece i bambini che andavano in giro per le strade, recuperando il tabacco dalle cicche delle sigarette.


"PERSONE SEDUTE DAVANTI L'USCIO DI NEGOZI - PANNI STESI AI BALCONI"
     
Nello stesso anno del reportage di Patellani – il 13 marzo del 1946 – la città aveva vissuto una giornata di disordini popolari, con in testa reduci di guerra e disoccupati.
Nel giro di poche ore, furono devastati l’Ufficio Comunale delle Tasse e delle Imposte in via Maqueda, l’Esattoria Comunale in via Cavour e la Prefettura in piazza Florio.


"DUE UOMINI SU UN CARRETTO TRAINATO DA CAVALLO TRASLOCANO DEI MOBILI"
L’ultimo assalto – ai danni dell’Ufficio Carte Annonarie, in via Libertà – ebbe un tragico epilogo, con l’uccisione di un poliziotto e di un giovane operaio ed il ferimento di altre dieci persone. 
In precedenza, l’inverno 1944-1945 aveva riservato casi di vaiolo e temperature rigidissime.


"UN ASINO LEGATO AD UN CARRETTO SICILIANO - PASSANTI"
“I mendicanti – informava il “Giornale di Sicilia” del 4 gennaio 1945 - si sono moltiplicati con un crescendo impressionante… Se ne vedono ovunque… spesso si tratta di gente giovane, addirittura ragazzi… talvolta sono vecchi e vecchie… mamme smunte, ridotte fisicamente ai minimi termini, e che pure devono sfamare un pargolo che succhia da quella esistenza avvizzita…”.


"UN CONTADINO AIUTA UN VITELLO AD ALLATTARSI"

Nei giorni trascorsi da Patellani a Palermo un anno dopo, la città mostra ancora tutte le ferite provocate dalla guerra. Il fotografo documenterà nei suoi “fototesti” il freddo e la povertà sofferti in strada da molti bambini; l’edilizia del centro storico sventrata dalle bombe ed i carretti carichi di masserizie di famiglie che cercano ancora un alloggio; i venditori ambulanti di poveri generi alimentari ed un pastore che sullo sfondo di un muro sbrecciato aiuta un vitello a succhiare il latte da una mucca; una classe di scolari – alcuni dei quali scalzi - in compagnia della propria insegnante.


"UNA DONNA SI AFFACCIA DA UN TRAM IN CORSA"

Patellani coglie il clima di povertà e l’incertezza del vivere quotidiano anche negli scatti che ritraggono personaggi che rappresentano le incognite del futuro e la precarietà dei momenti di svago: una chiromante ed un gruppo di suonatori di strada.


"CHIROMANTE"

Altre fotografie, invece, colgono situazioni che raccontano una Palermo che cerca di tornare città normale: persone che aspettano  un autobus nei pressi di un'edicola - dinanzi il Teatro Massimo - o la balia che conduce un passeggino lungo viale della Libertà,  a poca distanza dall’Istituto Gonzaga.


"DANZA POPOLARE ALL'APERTO. FOLLA AMMIRA I MUSICISTI ED IL DANZATORE"

Infine, alcune immagini di Federico Patellani sottolineano le tensioni politiche siciliane del periodo, fra spinte indipendentistiche, richiami ad annessioni agli Stati Uniti ed ideologia comunista. 


"DUE BAMBINI ACQUISTANO DOLCIUMI DA UN VENDITORE AMBULANTE"


"UNA DONNA ACQUISTA UNA BUSTA DI SEMI DA VENDITORE AMBULANTE"

Al fotografo monzese si devono gli scatti del ritorno a Palermo dal confino politico di Ponza di Andrea Finocchiaro Aprile, leader del Movimento Indipendentista Siciliano.

"PERSONE IN ATTESA SU UN MARCIAPIEDE NEI PRESSI DI UN'EDICOLA"


"REFERENDUM 1946 - UNA BALIA CON PASSEGGINO COSTEGGIA UN MURO
CON LA SCRITTA 'PLEBISCITO'"


"PERSONE ATTENDONO L'ARRIVO DI ANDREA FINOCCHIARO APRILE"
"ANDREA FINOCCHIARO APRILE PARLA ALLA FOLLA"

Il 17 febbraio del 1946, la “Leica” di Patellani fissa l’attesa della folla allo scalo di Boccadifalco, l’arrivo del velivolo ed un momento del comizio di Finocchiaro Aprile; la stagione dell'indipendentismo isolano - accompagnata dall'ambigua presenza di Salvatore Giuliano - terminerà 5 anni più tardi, con lo scomparsa del MIS.

"UN MURO RECA LA SCRITTA "W SICILY OF U.S. AMERIC"
"UN MURO CON LA SCRITTA W LA RUSSIA"



   
          


giovedì 14 febbraio 2013

SICILIANDO














"Quando sono venuto in Sicilia non sono venuto per sostituirmi alla iniziativa locale. 
Sono venuto per fare domande; lentamente, anno per anno; e ho scoperto un metodo che permette a ciascuno di crescere. 
Era importante che ciascuno potesse fare domande, non solo io. 
Ho scoperto gente intelligente che sapeva correre il rischio; imparava ad organizzarsi, non sul vuoto, ma sull'interesse concreto"
Danilo Dolci

sabato 9 febbraio 2013

MELLINA E L'INETTITUDINE SICILIANA

Una fotografia di Ernesto Mellina, saggista palermitano autore del libro "Fascino del Sud", edito da Signorelli Editore Roma nel 1958.
La figura letteraria di Mellina, allievo di Salvatore Riccobono - docente di Diritto Romano all'Università di Palermo dal 1898 al 1931 - e legato alla corrente interventista del primo conflitto mondiale - è semisconosciuta
alla critica letteraria siciliana.
In "Fascino del Sud", Mellina dedica alcune pagine alle più note località turistiche isolane e critica l'incapacità riformista
ed imprenditoriale dei siciliani  

Fra tanti scrittori e saggisti siciliani che impegnano pagine fondamentali negli studi critici della letteratura italiana, ve ne sono alcuni completamente dimenticati o mai considerati dagli stessi critici.
Uno di questi è il palermitano Ernesto Mellina, il cui nome è rimasto sconosciuto a ReportageSicilia fino a quando l’autore di questo blog non ha recuperato da una bancarella romana una copia di un saggio a suo nome intitolato “Fascino del Sud”, edito nel 1958 da Signorelli Editore Roma.
Il libro – scriveva Mellina nella prefazione – “è una rassegna di escursioni storiche, estetiche, archeologiche e folcloristiche fatte turisteggiando per la Penisola”.

La copertina del saggio di Mellina, del quale ReportageSicilia ripropone alcune fotografie dedicate all'isola.
Collaboratore di vari quotidiani nazionali e della "Sicilia del Popolo", pubblicò anche due saggi di carattere artistico letterario: "Dante nella pineta di Classe ed altri racconti" ( 1954 ) e "Vita di A.Canova" ( 1961 )
Il “Sud” cui si riferisce il titolo è appunto quello dell’intera Penisola italiana rispetto ad altre nazioni europee, perché le escursioni di cui ha scritto Mellina – oltre che Palermo, Caltanissetta, Taormina, Agrigento, Siracusa e l’Etna - riguardano anche luoghi come i castelli valdostani, Trento, Bassano del Grappa o Venezia.
La narrazione di Mellina – frutto di un viaggio condotto da Nord e Sud d’Italia a bordo degli “elettrotreni” - non consente di ricavare notizie precise sull’autore.

Il porto di Palermo e monte Pellegrino in una delle fotografie siciliane pubblicate in "Fascino del Sud".
Lo scatto - al pari degli altri riproposti da ReportageSicilia - risale agli inizi degli anni Cinquanta dello scorso secolo
Nella quarta di copertina, una scheda fornisce queste indicazioni generiche, che permettono di indicarlo come allievo di Salvatore Riccobono - docente di Diritto Romano all’Università di Palermo dal 1898 al 1931 - e come intellettuale schierato su posizioni interventiste:
“Nato a Palermo, ha formato la propria personalità letteraria in un’epoca in cui una schiera di artisti siciliani, quali il Verga, il Capuana ed il Pirandello, apportava nuovo vigore e nuove idee alla cultura italiana.
E’ questo il tempo in cui è allo zenith la poesia di Carducci, del Pascoli e del D’Annunzio, sul cui esempio egli affina la propria sensibilità artistica. Preso dal vortice della prima Guerra Mondiale, non si contenta di partecipare alla lotta, ma ardente come la sua terra, sente il bisogno di rincuorare le truppe in armi con discorsi e manifesti.

La valle dei Templi.
Scrive Mellina che "c'è in essi un contenuto ieratico
come se una sacerdotessa li alimentasse
ad onta della consumazione dei secoli"
Si rivelano, in tal periodo, le sue particolari doti oratorie e letterarie. Uscito dalla Scuola di Salvatore Riccobono, intraprende la carriera amministrativa senza tralasciare gli studi umanistici. Scrive nel “Gazzettino di Venezia”, nel “Resto del Carlino”, nel “Sicilia del Popolo” e collabora alla Rivista “L’Italia”. Critico letterario, si ferma volentieri a descrivere paesaggi con l’occhio della persona cui piace fermare le immagini in una prosa d’arte limpida e scorrevole”.

Nelle pagine di Ernesto Mellina dedicate a Monreale, emerge chiaramente l'influenza letteraria di Carducci e Pascoli:
"Il chiostro estasia con la melodia delle 216 colonnine binate lavorate ad intarsio, e una fontanina da cui zampillano, da una colonna moresca a fusto di palma, getti d'acqua iridescenti nel cielo d'ametista..."
Oltre a “Fascino del Sud”, Ernesto Mellina ha lasciato le sue tracce letterarie in almeno altri due saggi artistico-letterari: “Dante nella pineta di Classe ed altri incontri”, edito nel 1954 a Siena da Ausonia e “La scultura di A.Canova”, pubblicato nel 1961 ancora da Signorelli Editore Roma.

Personaggi di una processione dei "Misteri" a Caltanissetta
In “Fascino del Sud”, i capitoli dedicati alle località della Sicilia si intitolano “Mandorli nella Valle dei Templi”, “I misteri di Caltanissetta – Il Giovedi Santo”, “Zagare nella Conca d’oro”, “La città di Aretusa”, “Taormina, bella Signora” ed “Appuntamento con le stelle sull’Etna”; a corredo di queste pagine, sono pubblicate alcune fotografie che ReportageSicilia ripropone nel post.

In navigazione sul corso del fiume Ciane.
"I papiri! I papiri! fa il nostro Caronte,
diventato improvvisamente loquace..."
Nel capitolo introduttivo, intitolato “Verso la Sicilia”, Ernesto Mellina esprime alcune attualissime considerazioni sui siciliani, tanto più lucide perché pubblicate 12 anni dopo il riconoscimento all’isola di quello Statuto autonomo che avrebbe dovuto assicurarle sviluppo economico e sociale:
“I siciliani, che lamentano d’essere stati abbandonati nello sforzo di risorgere, non hanno nulla da rimproverarsi per tale abbandono? Possono affermare obiettivamente d’aver dimostrato, nella loro storia, di possedere quelle qualità d’iniziativa e di organizzazione necessarie a realizzare, alla stregua delle altre regioni, un programma costruttivo di lavori e di riforme sì da portare la loro isola su un piano di progresso uguale a quello delle altre regioni? I siciliani, pensosi sopra di ogni altra cosa di sé stessi, sono negati a tutelare un interesse collettivo e a far valere congruamente i diritti della loro regione. Assenti dalle pubbliche discussioni, sono alieni dal rischiare i capitali per le industrie più lucrose; diffidenti e tal volta presuntuosi nel ritenersi furbi, non fanno che attendere la manna dal cielo. Per altro anch’essi sono responsabili del mancato avanzamento di civiltà in Sicilia. Provvisti d’ingegno, poco valgono in casa loro, e soltanto riescono a farsi apprezzare quando vanno fuori dalla loro terra…”





giovedì 7 febbraio 2013

DEVOZIONI PALERMITANE

Due elementi quotidiani tipici - sia pure assai diversi - nella vita del quartiere palermitano dell'Albergheria:
il pane con la "meusa" e padre Pio da Pietralcina 


La fotografia di ReportageSicilia è stata scattata qualche mese fa nel popolare quartiere palermitano dell’Albergheria. L’immagine accosta due elementi imprescindibili nella devozione popolare cittadina, sia pure assai diversi nel genere: il panino con la “meusa” – che nell’incerto richiamo per i turisti stranieri ( “sicilian special” ) conserva un’enigmatica definizione dialettale della parola “milza”, traducendo invece il termine panino in “sandwich” – ed una statua benedicente di padre Pio. 
Non è dato sapere se l’offerente del sandwich con meusa abbia apposto il suo cartello in prossimità del santo sperando di ottenerne l’intercessione per i suoi buoni affari. 
Certo, il panino con la meusa ed il frate di Pietralcina fanno parte dell’imprescindibile patrimonio di certezze nella non facile vita quotidiana dell’Albergheria: l’una di tipo gastronomico, l’altro dal valore religioso e devozionale. 
In comune, del resto, la “meusa” ed il santo vantano a Palermo un fedele fervore popolare, legato a bisogni che nascono spesso dalla precarietà economica; pochi euro permettono il lusso di uno spuntino in strada, mentre una preghiera od un’invocazione a padre Pio affidano alla fede la speranza in un domani migliore.         

mercoledì 6 febbraio 2013

MEMORIE DEI "NANNI" BAGHERESI

"Nanni" di Carnevale esposti lungo una strada di Bagheria.
Lo scatto - al pari degli altri presenti in questo post - risalgono al 1979 e sono opera del fotografo bagherese
e cultore di tradizioni popolari Paolo Di Salvo.
Sino a qualche decennio fa, la presenza dei "Nanni" - pupazzi che rappresentavano il Carnevale - era viva in numerosi paesi della Sicilia.
Nel 1884, Giuseppe Pitrè scriveva che il Nannu "è la personificazione del Carnevale, la maschera principale, massima, l'oggetto di tutte le gioie, di tutti i dolori, de' finti piagnistei, del pazzo furore di quanti sono spensierati e capi scarichi..."  

Ci sono persone che coltivano con discrezione le proprie passioni culturali, facendone tesoro unicamente per una privata crescita intellettuale ed umana. 
Talvolta l’estro permette loro di elaborare quelle passioni con la forza della parola scritta o di un filmato o di una fotografia, facendone oggetto di preziosa documentazione. 
Una di queste persone si chiama Paolo Di Salvo. 
Il centro della sua ispirazione è la cultura popolare di quella Bagheria che, per ragioni che nessuna analisi critica è riuscita ancora a spiegare, ha regalato negli ultimi decenni alla scena isolana personaggi come Ferdinando Scianna, Renato Guttuso, Ignazio Buttitta, i fratelli Ducato e Giuseppe Tornatore.

"...Ordinariamente si immagina e rappresenta il Nannu come un vecchio fantoccio di cenci, goffo ed allegro; vestito da capo a piedi con berretto, collare e cravattone, soprabito, panciotto, brache, scarpe.
Lo si adagia ad una seggiola con le mani in croce sul ventre, innanzi le case, ad un balcone, ad una finestra, appoggiato ad una ringhiera,
affacciato ad una loggia... ( Pitrè, opera citata )"
Con quest’ultimo - come già raccontato da ReportageSicilia – Paolo Di Salvo ha condiviso precoci interessi documentari nei confronti di personaggi e di attività che raccontano tradizioni e costumi culturali bagheresi. 
Oggi Tornatore è un regista da Oscar, vive a Roma e produce film spesso abilmente realizzati per i gusti ridondanti del mercato statunitense. 
Di Salvo – autore di fotografie che colgono gli aspetti più genuini dei riti popolari, oltrepassando la soglia percettiva del puro folclore e cogliendone il loro valore collettivo  - ha invece deciso di rimanere a Bagheria; qui, vi svolge il difficile compito di coltivare un normale lavoro e di far crescere una famiglia.

"Con le sembianze di Ollio - scrive Paolo Di Salvo a commento della fotografia -  questo Nannu orna e reclamizza la bancarella di un venditore di dolciumi, maschere, coriandoli ed altri oggetti legati al Carnevale".
Ai nostri giorni, la tradizione siciliana dei "Nanni" è quasi completamente persa, e con essa è scomparsa anche una manifestazione di cultura popolare che aveva lo scopo di rafforzare il senso di appartenenza delle singole famiglie
ad una comunità

Di tanto in tanto, Paolo riapre l’archivio dove sono conservate le sue storiche fotografie e fatta la scelta, via mail, decide di farne preziosissimo dono ad un blog amatoriale come è ReportageSicilia.  
Anche nel caso di questo post – tempestivamente dedicato al Carnevale - Di Salvo rende note alcune fotografie realizzate a Bagheria in occasione del periodo di quella festa.

Sistemazione dei "Nanni" sull'uscio di un'abitazione,
alle spalle di Palazzo Butera,
il più antico degli edifici residenziali a Bagheria
L’anno degli scatti è il 1979 e l’ambientazione prevalente è quella dei quartieri popolari della cittadina, con l’esibizione dei “Nanni”, i fantocci che rappresentavano sino a qualche tempo fa il Carnevale siciliano.

Il ragazzino con il travestimento da moschettiere  fissa l'obiettivo di Paolo Di  Salvo. Alle sue spalle i  "Nanni"  raccontano oggi i riti
di un Carnevale che non esiste più.
A distanza di 34 anni da questo scatto, la stessa maschera del moschettiere appartiene ad una tradizione letteraria per lo più sconosciuta
ai ragazzini dei nostri tempi

A commento delle sue opere, l’autore cita ciò che dei riti di questa festa scrisse Giuseppe Pitrè nel 1884 in “Usi, costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano”:
“Il Nannu o Nannu di Carnalivari è la personificazione del carnevale, la maschera principale, massima, l’oggetto di tutte le gioie, di tutti i dolori, de’ finti piagnistei, del pazzo furore di quanti sono spensierati e capi scarichi… 
La sua storia è lunga, ma la sua vita è così breve che si compie dall’Epifania all’ultimo giorno di Carnevale. Ordinariamente lo si immagina e rappresenta come un vecchio fantoccio di cenci, goffo ed allegro; vestito da capo a piedi con berretto, collare e cravattone, soprabito, panciotto, brache scarpe. 
Lo si adagia ad una seggiola con le mani in croce sul ventre, innanzi le case, ad un balcone, ad una finestra, appoggiato ad una ringhiera, affacciato ad una loggia; ovvero lo si mena attorno… 
Da alcuni anni in qua le Società Siciliane pel Carnevale fanno un carnevale tutto proprio; e come han creato una Nanna, moglie del Nannu, creazione di cattivo gusto, che in Sicilia non ha nessun fondamento, così hanno importato una cremazione del Nannu… 
Povero Nannu! Trascinato a finire come un eretico di tre secoli fa sopra una catasta di legno in pieno anno 1884, e per opera di tanti begliumori che detestano gli auto-da-fe ed il Sant’uffizio! E non ti è concesso, o vecchio Nannu, di fare un po’ testamento come lo facevi al buon tempo antico nell’antica capitale della Sicilia, e come pur lo fai in carne ed ossa nel sestiere del Borgo e in cento altri luoghi dell’Isola e di fuori! 
Ma così è, mutano i tempi e noi mutiam con essi!”.

Il prologo al rogo del "Nannu", epilogo del Carnevale:
la lettura del testamento scritto dal creatore del pupazzo, con riferimenti beffardi e ironici nei confronti dei parenti e degli amici

Ai nostri giorni, i “Nanni” fotografati 34 anni fa da Paolo Di Salvo nella sua Bagheria sono quasi del tutto scomparsi dalla scena del Carnevale siciliano. 
Bambini e bambine vestono per lo più costumi acquistati negli ipermercati, ispirati a personaggi indicati dal marketing commerciale; padri e madri hanno altri pensieri domestici, e la tradizione di appendere i fantocci sull’uscio di casa sopravvive nei racconti dei loro genitori e nonni. 
Insieme ai “Nanni” bagheresi, sono del resto scomparse anche le maschere siciliane di caratteri e tipi indicati agli inizi del Novecento dall’antropologo di San Fratello Benedetto Rubino: don Liddu ( il damerino ), il Baruni, u Massariotu, u Dutturi, l’Avvucatu, i Judici, il Leramanti ( il negromante ), il Ciraulu ( il ciarlatano ), l’Annimina Vintura ( la zingara indovina ), il Pueta, u Santocchiu, la Marabuta ( la bigotta ), Don Sucasimmula ( lo sdolcinato ), lu Pispisuni ( il farfallone ), Mastru Razzuddu ed ancora – in onore ai tanti invasori della Sicilia - u Francisi, lu Spagnolu ed u Turcu.
Ecco così che le fotografie di Paolo Di Salvo non rappresentano soltanto la documentazione di un costume popolare scomparso: sono anche il racconto di tempi in cui un’intera comunità, anno dopo anno, era capace di identificarsi e ritrovarsi nella celebrazione di riti secolari.

L'ultima fotografia dei "Nanni" bagheresi concessa da Paolo Di Salvo
a ReportageSicilia
ritrae un momento della cremazione del pupazzo.
Ancora una volta, le parole di Giuseppe Pitrè accompagnano
con ironia la comprensione del rito:
"Povero Nannu! Trascinato a finire come un eretico di tre secoli fa sopra una catasta di legna in piano anno 1884, e per opera di tanti begliumori che detestano gli auto-da-fe ed il Sant'Uffizio!..." 
   
            

martedì 5 febbraio 2013

SICILIANDO














"Ci sono percorsi umani che rispecchiano una sola polarità, a volte in forma manichea ed uniforme, con rocciosa coerenza e unicità. 
Ma ci sono siciliani che hanno espresso, nei loro gesti e comportamenti, la stessa molteplicità che la Sicilia espone allo sguardo: archetipi di ambiguità, campioni di equilibrismo morale, maestri nell'arte di conciliare l'inconciliabile".
Gaetano Savatteri

lunedì 4 febbraio 2013

VECCHIE ESCURSIONI SUL FIUME CIANE

Escursione in barca fra i papiri del fiume Ciane, nel siracusano.
L'immagine, insieme ad altre tre riproposte di seguito da ReportageSicilia,
è antecedente
al 1930 ed è tratta dall'opera "Siracusa e la Valle dell'Anapo", edita dall'Istituto Italiano d'Arti Grafiche di Bergamo.
Lo scatto è attribuito al fotografo siracusano
Angelo Maltese ( 1896-1978 )  

E’ di questi giorni la notizia dello stato di degrado in cui versa a Siracusa la Riserva del fiume Ciane http://www.siracusanews.it/node/34325.
La denuncia porta la firma di tre associazioni ambientaliste, che hanno documentato gravi violazioni ( prelievo di acque, accesso di quad ed imbarcazioni a motore, scarsa pulizia ) in un’area che dovrebbe essere invece tutelata dall’ente gestore della riserva, vale a dire la Provincia di Siracusa.
Il fiume Ciane deve la sua fama all’eccezionale crescita del papiro, pianta tutelata d’autorità già dal 1780, quando pescatori e contadini della zona se ne appropriavano per realizzare sandali, corde, ceste ed altri attrezzi da lavoro.

La fitta macchia fluviale di papiri si riflette sulla superfice del Ciane, in un gioco prospettico cui prendono parte le figure umane ritratte da un fotografo rimasto in questo caso senza nome.
I primi provvedimenti di tutela ambientale del Ciane risalgono al 1780.
In tempi moderni, l'istituzione di una vera riserva porta la data del 1984, in conseguenza del clamore suscitato dal rischio di scomparsa dei papiri, causato dallo sfruttamento industriale delle acque del fiume.
Oggi le associazioni ambientaliste siracusane denunciano lo stato di sostanziale incuria sofferto dal Ciane  
Nel 1957, Guido Piovene avrebbe così descritto nel suo “Viaggio in Italia” l’esperienza di una navigazione lungo il corso d’acqua: “Portarsi all’imbocco del Ciane e penetrarvi in barca, specie nell’ora del tramonto, è una delle gite più graziose d’Italia. Si scivola nella prima parte tra gli eucalipti ed i giardini di aranci, nel fondo lontano si può scorgere l’Etna, mentre sulle due rive cominciano a mostrarsi i papiri, prima in gruppi isolati, poi sempre più alti e fitti, finchè ci si trova perduti in quella selva di lunghissimi gambi privi di foglie, un po’ piegati per il peso del ciuffo di crini spioventi che li fa assomigliare a larve di palme”.
Nei decenni passati, i quattro chilometri del fiume siracusano  sono stati più volte messi a rischio dall’azione dell’uomo, in ossequio ad uno sviluppo delle attività industriali che negli anni Cinquanta e Sessanta dello scorso secolo ha fatto scempio di tanto patrimonio ambientale isolano.

Un anziano costruttore di nasse per la pesca delle anguille presenti nel Ciane.
L'uomo utilizza gli stessi fusti dei papiri, già impiegati in passato da pescatori e contadini siracusani per la costruzione di corde, ceste, sandali
ed altri oggetti di lavoro.
Anche in questo caso, il fotografo autore dello scatto è ignoto
Nel 1975, il prelievo di centinaia di ettolitri di acqua per usi industriali compiuto dalla Sincat Montedison di Priolo provocò l’abbassamento del livello del corso d’acqua: prive di sostanze nutrienti ed attaccate da funghi, le piante di papiro – alte sino a cinque metri e con il loro tipico culmo ad ombrello – cominciarono a rallentare la crescita, sino a seccare.
Neppure le gelate del 1929 e del 1962 erano riuscite a piegare la resistenza di una specie botanica rappresentata in Europa solo in quest’angolo di Sicilia. Una relazione dettagliata sulle cause del degrado venne allora compiuta dal botanico inglese Keith Thompson, secondo cui l’abbassamento del livello del Ciane sotto il livello di melma poneva le radici delle piante a contatto con l’ossigeno, causando la perdita della capacità di assorbire le sostanze nutritive.

Raccolta di papiro dalle sponde del Ciane in uno scatto attribuito al fotografo taorminese Giovanni Crupi ( 1859-1925 ).
Crupi è stato autore di numerose fotografie di nudi maschili realizzati 
tra le zone archeologiche di Siracusa e Taormina
Nel 1981, permanendo le condizioni di sofferenza delle piante, Legambiente ed Italia Nostra denunciarono la prossima scomparsa del papiro; soltanto tre anni dopo il comune di Siracusa avrebbe disposto un’ordinanza che vietava la sottrazione di acqua dal Ciane, dando il via libera all’istituzione della riserva naturale.
Le storiche immagini del fiume e dei papiri riproposte in questo post da ReportageSicilia sono tratte da due opere di non facile reperibilità: “Siracusa e la Valle dell’Anapo”, numero 47 della serie “Italia Artistica” edita nel 1930 dall’Istituto Italiano d’Arti Grafiche di Bergamo (a cura dello storico dell’arte siracusano Enrico Mauceri, all’epoca progettista del locale Museo d’Arte Medievale e Moderna di palazzo Bellomo ) e dal volume “La Sicilie”, collana “Couleurs du Monde” edito nel 1955 (?) da Del Duca – Parigi ( a cura di Jean-Louis Vaudoyer ).

L'ultima fotografia storica del Ciane riproposta da ReportageSicilia - malgrafo la didascalia in francese - suscita qualche perplessità sulla sua effettiva ambientazione. Il gozzo ritratto dal fotografo Patrice Molinard alla metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo sembra infatti essere alla fonda
nel più navigabile fiume Simeto.
L'immagine è tratta dall'opera "La Sicile" della collana
"Couleurs du Monde",
edita nello stesso periodo da Del Duca Parigi